GIUFA E LA STATUA DI GESSO
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Si racconta che
cera una mamma e aveva un figlio chiamato Giufà ; questa mamma di Giufà
campava da poverella. |
Sto Giufà era babbo
(stupido), lagnoso e mariolo. |
Sua madre aveva un
po di tela e (un giorno) disse a Giufà: <Prendiamo un po di questa tela;
vai a venderla in qualche paese lontano, ma (fai attenzione) lhai da vendere a
quelle persone che parlano poco>. |
Giufà se ne partì con
la tela in spalla e andò a venderla. |
Arrivato in paese
cominciò a vanniari (ossia, gridare in pubblico come un banditore): <Chi vuole
la tela!>. |
Le persone lo
chiamavano, ma cominciavano a parlare assai: a chi (la tela) pareva grossolana, a chi
pareva cara. A Giufà (invece) pareva che parlassero assai, e non glie ne voleva dare. |
Cammina di qua, cammina
di là, si infila in un cortile. Non cera nessuno; ma ci trovò una statua di gesso
e Giufà le disse: <La volete comprare la tela?> |
La statua non gli dava
conto; ma intanto Giufà vide che parlava poco: |
<Ora, a voi, che
parlate poco, vado a vendervi la tela>. |
Prende la tela e gli la
stende di sopra. |
<Ora, domani vengo
per la grana>, e se ne andò. |
Quando fece giorno, ci
tornò per riscuotere i quattrini, ma la tela non la trovò, e (incazzato) le ripeteva: |
<Dammi la grana
della tela>. |
Ma la statua non gli
diceva niente. |
<Giacché non mi
vuoi dare la grana, ti faccio vedere chi sono io>, e afferra uno zappone e va a
prenderla a mazzate fino a ridurla in pezzi. |
Ma (sorpresa ! ) nella
pancia ci trova una pentola di denari. |
Si mette i denari nel
sacco e se ne torna da sua mamma. |
Arrivato da sua madre
le disse: <La tela la vendetti a uno che non parlava, ma la grana la sera non me ne
dette; poi ci tornai la mattina col zappone, lammazzai di legnate, la gettai a terra
e (finalmente) mi dette sti denari >. |
La mamma, che era sperta
(sveglia, per esperienza), gli disse: <Non dire niente a nessuno, che a poco a poco
nni jemmu manciannu (ce li andremo mangiando) sti denari>.
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GIUFA E LA PEZZA DI TELA
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Un'altra volta la madre
gli disse: < Giufà, ho questa pezza di tela che m'abbisogna di fare tingere; vai dal
tintore, quello che colora verde, nero, e gliela lasci per tingermela>. |
Giufà se la mise in
collo ed uscì. |
Cammina cammina, scorse
una serpe bella grossa; vedendola che era verde, disse: <Mia mamma, (ossia) mia madre,
vuole tinta questa tela. - E gliela lasciò là. Domani me la vengo a
riprendere>. |
Tornò a casa, e quando
sua madre sentì laccaduto cominciò a strapparsi i capelli: <Disgraziato! Come
mi consumasti! ... Corri e vedi se c'è ancora! >. |
Giufà tornò, ma la
tela s'era (ormai ) involata
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GIUFA' E IL GIUDICE
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Si racconta che Giufà
una mattina se ne andò per finocchi (ed erbe selvatiche) e si ridusse a tornare in paese
che era ormai notte. Mentre camminava c'era la luna annuvolata, che si affacciava e
scompariva. Si sedette su d'una pietra e si mise a fissare la luna che si affacciava e
scompariva, e le diceva quando si affacciava: <Affaccia, affaccia>; quando spariva:
<Sparisci, sparisci>. E non smetteva di ripetere: <Affaccia, affaccia! Sparisci,
sparisci!>. |
Intanto sotto la strada
c'erano due ladruncoli che squartavano una vitellina che avevano rubato. Quando intesero
dire: <Affaccia e sparisci> si spaventarono che venisse la Giustizia; se la diedero
a correre e lasciarono la carne. |
Giufà, quando vide
scappare i ladri, andò a vedere e trovò la vitellina squartata. Prese il coltello,
cominciò a tagliarne la carne, ne riempì un sacco e se ne andò. |
Arrivato da sua madre:
<Ma', aprite> |
Sua madre gli disse:
<Perché sei venuto così di notte?>. |
<Venni di notte
perché ho portato la carne che domani dovrete vendere tutta, ché mi servono denari>. |
Gli rispose sua madre:
<Domani tu torni in campagna, che io vendo la carne>. |
Quando il mattino
(seguente) fece giorno Giufà se ne andò fuori (in campagna) e sua madre vendette tutta
la carne. |
La sera tornò Giufà e
le disse: <Ma' l'avete venduta la carne?>. |
<Sì, l'ho data a
credito alle mosche>. |
<E la grana quando
ve la dovranno dare?>. |
<Quando
l'avranno>. |
Passarono otto giorni,
ma denari le mosche non ne portarono; si parte Giufà e va dal Giudice e gli dice:
<Signor Giudice, voglio fatta giustizia, ché detti la carne a credito alle mosche e
non sono (ancora) venute a pagarmi>. |
Il giudice gli rispose:
<Sentenzio che dove ne vedi l'ammazzi>. |
Giusto giusto una mosca
andò a posarsi (in quel mentre) proprio sopra la testa del Giudice, Giufà (senza farselo
ripetere due volte) gli sferrò un cazzotto (tanto forte) che gliela fracassò.
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GIUFA' E LA BERRETTA ROSSA
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Giufà di lavorare non
ne voleva a brodo (come dire che non ne voleva sapere) e l'arte di Michelaccio (ovvero di
mangiare, bere e non far niente) gli piaceva molto. |
Pranzava e poi usciva e
andava bighellonando di qua e di là. |
Sua madre faceva la
bile (per la collera) e sempre gli ripeteva: <Giufà, e questa che maniera è? Non
prendi nessuna occasione per fare qualche cosa! Mangi, vivi, e così come riesce si
racconta! ...Ora io di continuare così non me la sento più: o tu ti vai a buscare il
pane o io ti getto in mezzo ad una strada>. |
Allora Giufà, una
volta se ne andò al Cassaro (una popolata strada di Palermo piena di negozziucci e di
bancarelle) per andare a vestirsi. |
Da un mercante si prese
una cosa, da un altro mercante se ne prese un'altra, fin quando non si vestì di tutto
punto, perfino di una bella berretta rossa - che a quei tempi tutti i giovanotti portavano
il berretto, oggi il più scalcagnato mastro va con il cappello a cilindro o con la
bombetta -. |
Ma Giufà non le pagò
queste cose, perché denari non ne aveva. Diceva: <Mi faccia credito, che uno di questi
giorni gliela la vengo a pagare>. Così diceva a tutti i mercanti. |
Quando si vide bene
acconciato, disse: < Ahm! Ora ci siamo, e mia madre non avrà più a che dire che io
sono un perdigiorno. Ora (però) per pagare i mercanti come fare?... Ora mi fingerò
d'essere morto e vediamo come finisce...>. |
Si gettò sopra al
letto (e cominciò a gridare): <Muoio! Muoio!...Son morto!>, e si mise le mani in
croce e i piedi a palla. |
<Figlioli! Figlioli!
Che fuoco grande - sua madre si mise a piangere dirottamente strappandosi i capelli -.
Come mi capitò 'sto focu granni (questa sciagura)! Figlio mio!...>. |
La gente sentendo
queste gran voci correva e tutti si facevano compassione di questa povera madre. |
Appena si sparse la
notizia della morte di Giufà, i mercanti lo andarono a visitare e, come lo vedevano
morto, dicevano: <Povero Giufà! Mi doveva dare -mettiamo- sei tarì, ché gli ho
venduto un paio di brache ... glieli benedico!> E tutti andavano a visitarlo e tutti
gli rimettevano (quanto dovevano avere). Così Giufà si levò tutti i debiti. |
Quello della berretta
rossa, ebbe un non so che di rabbia; disse: <Ma io la berretta non ce la lascio>. |
Va e gli trova la
berretta nuova fiammante in testa; e che fa? La sera, quando i beccamorti si presero
Giufà e lo portarono in chiesa per poi seppellirlo, andò loro d'appresso e senza farsi
scorgere da nessuno si infilò nella Chiesa. |
Dopo un pezzo che era
entrato, poteva essere si e no verso mezzanotte, entrarono (in Chiesa) poco alla volta dei
ladri che s'erano dati appuntamento per spartirsi un sacchettuccio di denari che avevano
rubato. |
Giufà non si mosse per
niente dal catafalco, e quello della berretta si rintanò dietro una porta senza manco
fiatare. |
I ladri riversarono
sopra ad una tavola i denari, tutte monete d'oro e d'argento - che a quei tempi l'argento
correva come l'acqua - e ne fecero tanti mucchietti, quanti erano loro. Restò una moneta
da dodici tarì e non si sapeva chi l'avrebbe dovuta prendere per primo. |
<Ora, per eliminare
ogni questione - disse uno di loro- facciamo così: qua c'è un morto, tiriamogliela
addosso e chi lo piglia in bocca si piglia i dodici tarì>. |
<Bella, bella!>
Tutti approvarono. |
Ecco che si sono
preparati per tirare addosso a Giufà, quando Giufà, visto tutto questo, si alzò (di
scatto) nel mezzo del catafalco e gettò una gran vociata: <Morti, resuscitate
tutti!>. |
Li vedeste più i
ladri?! Mollano tutto in tredici e "santi piedi, aiutatemi"! Che ancora corrono. |
Giufà, appena si vide
solo, si sorse e corse verso i mucchietti di denaro. Nel mentre esce quello della
berretta, che era stato (fino ad allora) rintanato come un gatto, senza manco fiatare e
(anche lui) corre verso la tavola per afferrarsi i quattrini. |
Basta: decisero di fare
metà per uno e si spartirono questi denari. |
Restò (tuttavia) un
pezzo da cinque grani. |
Si voltò Giufà:
<Questo me lo prendo io>. |
<No quel cinque
grani tocca a me>. |
Rispose quello: <A
me i cinque grani>. |
<Vattene che non ti
tocca, il cinque grani è mio !>. |
Giufà afferrò una
spranga e si gettò per scaricargliela in testa, a quello della berretta, dicendo:
<Dammi qua i cinque grani! Voglio i cinque grani!>. |
A questo punto i ladri
stavano girando e rigirando (intorno alla Chiesa) per vedere cosa facessero i morti, ché
pesante gli pareva di rimetterci tutti quei denari. Vanno per incugnarsi dietro la porta
della Chiesa e sentono 'sto contraddittorio e 'sto chiasso per i cinque grani. |
Dissero: <Cazzo!
Cinque grani per uno si sono spartiti e i denari manco gli bastarono! Chissà quanti sono
i morti che uscirono dal sepolcro>. Si misero i tacchi nell'eccetera, e se la
presero... |
Giufà ebbe i suoi
cinque grani, si caricò il suo sacchetto di monete e se ne tornò (soddisfatto) a casa.
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GIUFA' E L'OTRE
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La madre di Giufà,
vedendo che con questo suo figliolo non si poteva reggere, lo mise come sguattero da un
taverniere. |
Il taverniere lo
chiamò: < Giufà, va a mare e lava questo otre, ma lavalo bene ,sai! Altrimenti le
buschi!>. |
Giufà si prese
loste e se ne andò in riva al mare. Lava, lava; dopo avere lavato per una
mattinata, disse: < E ora a chi lo domando se è ben lavato? >. |
In quel mentre scorge
un bastimento che stava salpando, esce un fazzoletto e si mette a far segnali ai marinai e
a chiamarli: < A voi! A voi! Venite qua! Venite qua!>. |
Il capitano lo scorse e
disse: < Ferma, ragazzi, ché chi sa cosa ci siamo dimenticati a terra
>.
Scese a terra e andò da Giufà: < Che cè?>. |
<Vossia, mi dica: è
ben lavato questotre?>. |
Il capitano uno era e
cento si fece (per la collera): afferrò un pezzo di legno e gliele suonò ben bene. |
Giufà piangendo di
chiese: < Allora come devo dire?>. |
< Devi dire:
gli rispose il capitano Signore, fateli correre!, così ci rifaremo del
tempo perduto (a causa tua). |
Giufà con le spalle
belle calde (per le botte), si prese lotre e fuggì per una campagna, ripetendo
sempre: < Signore, fateli correre! Signore, fateli correre!>. |
Incontra un cacciatore
che teneva stretti due conigli. Di colpo Giufà disse : < Signore, fateli
correre! Signore, fateli correre!>. |
I conigli scapparono. |
< Ah! Figlio di
puttana! Ti ci metti pure tu?> Gli disse il cacciatore e lo prese a colpi di culatta
con lo schioppo. |
Giufà
piangendo-piangendo gli disse: < Allora, come devo dire? >. |
< Come devi dire? Signore
fateli uccidere! >. |
Giufà si prese
lotre e (sincamminò) ripetendo cosa doveva dire. Si imbatté con due che
litigavano. Disse Giufà: < Signore fateli uccidere! >. |
< Ah infame! Pure tu
attizzi! >. Gli dicono questi due, smettono di litigare e prendono a schiaffi Giufà. |
Povero Giufà, restò
con la schiuma alla bocca e non poteva parlare. Dopo un pezzetto, disse singhiozzando:
< Allora, come devo dire? >. |
< Cosa devi dire?
rispose quello Devi dire: Signore, fateli spartire! >. |
< Allora, Signore,
fateli spartire! incominciò a ripetere Giufà - Signore, fateli spartire! >. E
se ne andava camminando con lotre in mano e sempre ripetendo la stessa cantilena. |
Camminando, camminando,
a chi incontra? A due sposi che uscivano dalla Chiesa, maritati allora allora. |
Appena sentono <
Signore, fateli spartire! Signore, fateli spartire! >, corre il marito, si scioglie la
cintura e picchia e ripicchia (colpi) sopra Giufà, dicendogli: <Uccellaccio di
malaugurio! Mi vuoi fare separare da mia moglie!.. >. |
Giufà, non potendone
più si gettò per morto. |
I parenti degli sposi
si avvicinarono per vedere se Giufà fosse morto o vivo. Dopo un pezzo, Giufà rinvenne e
si rialzò. Gli diceva la gente: < Dunque così arrivi a dire agli sposi? >. |
< E come dovrei
dire? >, domandò Giufà. |
< Dovresti dirgli: Signore
fateli ridere! Signore fateli ridere! >. |
Giufà si prese
lotre e se ne tornò alla taverna. Passando per una strada, in una casa cera
un morto con le candele davanti e i parenti che piangevano lacrime a dirotto. Appena
sentono dire Giufà: < Signore fateli ridere! Signore fateli ridere! >, cioè quel
che avevano detto quelli del corteo nuziale, parve loro una cosa fatta apposta. Esce uno
con un bastone e a Giufà ne dette per lui e per un altro. |
Allora vide Giufà che
era meglio starsi zitto e correre alla taverna. Il taverniere appena lo vide gli dette il
resto, ché lo aveva mandato con tutta la mattina e si raccolse verso le undici di sera. E
per (concludere) gli dette pure il benservito.
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GIUFA' E I VESTITUCCI SUOI
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Giufà, giacché era
mezzo rimbambito, nessuno gli faceva una cortesia, come sarebbe a dire di invitarlo o
dargli qualche cosa (in denaro o da mangiare). |
Giufà una volta andò
in una masseria, per avere qualcosa. I massari appena lo videro così malandato poco
mancò che non gli scagliassero il cane addosso; e lo mandarono indietro più storto che
dritto. |
Sua madre capì la
cosa, e gli preparò una bella camicia, un paio di calzoni e un gilè di velluto. |
Giufà, vestito come un
campiere, ritornò nella stessa masseria e lì, dovevate vedere che gran cerimonie!
e lo invitarono a tavola con loro. Anche a tavola tutti continuavano con le cerimonie. |
Giufà, per non sapere
né leggere né scrivere, quando gli servivano il mangiare, con una mano si riempiva la
pancia, con laltra mano ciò che avanzava se lo riponeva nelle tasche, nel berretto,
sotto la camicia. |
Ad ogni cosa che
riponeva, diceva: < Mangiate, vestitini miei, chè voialtri siete stati invitati,
non io! >. |
Sommario |
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