"Ricerca, censimento, tutela, vigilanza,
valorizzazione e fruizione del patrimonio archeologico subacqueo, storico,
naturalistico e demo-antropologico dei mari siciliani e delle sue isole
minori": sono questi i fini per i quali è stata creata recentemente in
Sicilia la prima Soprintendenza d'Italia per il Mare, ufficialmente
istituita il 17/09/2004, tramite l'applicazione dell'art. 28 della legge
finanziaria 2004.
La creazione di tale specifica istituzione, oltre a
rimarcare la ricchezza e l'unicità del patrimonio archeologico subacqueo
isolano, fornisce un deciso input allo studio dei beni sommersi, non solo
nell'ottica di una raccolta di reperti utili ai fini della musealizzazione,
dell'incremento del terziario turistico, del censimento delle risorse, ma
anche e soprattutto per promuovere la consapevolezza della ricchezza dei
dati di carattere storico, economico, sociale che provengono da questa
ricchissima documentazione. I fondali siciliani infatti, oltre ad avere
restituito reperti "eccezionali" - ci riferiamo, ad esempio, al Satiro di
Mazara del Vallo, o al rostro di imbarcazione punica rinvenuto al largo
delle Egadi -, meritano particolare attenzione soprattutto in relazione a
ritrovamenti apparentemente meno eclatanti ma non per questo poco
significativi dal punto di vista della possibilità di una ricostruzione dei
commerci, del business economico, delle rotte mediterranee al centro delle
quali la Sicilia si poneva come fulcro.
Oltre fondamentali scoperte
subacquee quali, ad esempio, i resti della presunta struttura portuale di Akragas o di Camarina, la copiosissima presenza di relitti a largo delle
coste siciliane e la continuità diacronica dei rinvenimenti - si consideri
che solo per l'area eoliana ne vengono annoverati 21 che coprono un arco
cronologico che oscilla dall'VIII sec. a.C. al XVII d.C. - diventa
inestimabile spia della continua vitalità degli approdi isolani
nell'economia degli scambi mediterranei. Inoltre, al di là dell'indubbio
valore ai fini della ricostruzione delle tecnologie navali utilizzate
nell'antichità, lo studio di un "contesto chiuso" come quello offerto dal
relitto, la cui vita è bloccata al momento del naufragio, offre una
preziosissima cristallizzazione di un processo economico in movimento, al
pari di quanto, sulla terra ferma, avviene in situazioni straordinarie quali
quelle di Pompei e Ercolano.
Spesso poi le navi antiche trasportavano anche
materiali da costruzione monumentali come marmi o colonne, la cui analisi ci
può offrire utili dati e preziose conferme per evidenziare la provenienza di
prodotti edilizi commissionati spesso per la messa in opera di grandi opere
pubbliche. Esemplare è il caso del cosiddetto "relitto delle colonne" di Camarina, il cui nome deriva dal reperimento, insieme a un vasto corredo di
bordo e a anfore per vino e garum (salsa di pesce utilizzata per il
condimento di svariate pietanze) provenienti dall'Africa proconsolare, di
due colonne in marmo giallo antico della Numidia, del peso di circa 18
tonnellate, caricate longitudinalmente sulla nave. Le colonne, simili per
altro a quelle utilizzate nella costruzione del Pantheon da Adriano,
dovevano costituire materiale per la costruzione di un monumento, forse un
tempio, e, insieme al resto della documentazione, consentono una datazione
al III sec. d.C.
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