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  La Sicilia di Sciascia
 
Attraverso un articolo apparso
  sul settimanale EPOCA, lo scrittore
  ricordava gli anni dell'adolescenza.
 

Per saperne di più  

 
   
 
  Cara Sicilia    
     
Testo di Ernesto di Nunzio    

 
 

Per ricordare Leonardo Sciascia, a quindici anni dalla scomparsa, vogliamo riferirci non alla sua vasta bibliografia, ma ad un articolo che pochi ricorderanno, uscito negli anni settanta su Epoca, il settimanale di Arnoldo Mondadori, oggi non più in edicola. Costituiva uno di quegli inserti illustrati che caratterizzavano la rivista, redatti dalle grandi firme di quegli anni. La serie era intitolata “Cara Italia” e ciascuno scrittore commentava una regione. Sciascia ha descritto la Sicilia e Mario De Biasi (che invece della penna usava la sua impeccabile macchina fotografica) ne ha illustrato in modo emozionante i paesaggi. 

Vogliamo cominciare dalla conclusione dell’articolo, perché ci sembra possa essere d’incitamento a guardare meglio quest’isola, senza preconcetti. “Si può anche non veder nulla, della Sicilia. Basta lo starci, l’esserci. Basta come bastò a Roussel l’albergo delle Palme. La Sicilia, come disse un americano dell’America, è «nella testa». Può essere cioè, soltanto, l’idea che della Sicilia ci facciamo. Ma questa nota vuole essere contro la Sicilia che è «nella testa». E’ per la Sicilia com’è: una bellissima, isola, con centinaia di bellissimi paesi e alcune bellissime città. E posso dirlo conoscendo ormai quasi tutti i paesi e tutte le città; e avendo in ogni paese trovato almeno una cosa per cui vale la pena fare un viaggio, e tante nelle città”. 

Il suo viaggio alla scoperta della Sicilia Sciascia lo descrive da lontano, da Milano, componendo il suo articolo in una stanza d’albergo, sul filo della memoria. “Da lontano, dico, come se dalla Sicilia mancassi da venti, da trenta, da quarant’anni - ricordandola, amandola, senza affilarvi sopra ragione e rancore. Difficile operazione, per me. Non ho mai potuto amare la Sicilia interamente, senza una controparte di insofferenza, di risentimento, di avversione. Ho sempre dovuto e voluto fare i conti con lei, restandoci. Ho dovuto e voluto fare i conti con quello che c’è in lei di vecchio, di stupido, di tremendo; e col nuovo che diventa vecchio, come in quel film di Frank Capra, Orizzonte perduto, in cui si vede un volto giovane di colpo orribilmente invecchiare, rugarsi, rinsecchire”. 

 

 
 
     

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