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Il resto della Sicilia, Sciascia, lo conosce da adulto, dopo le molteplici esperienze che si assommano a quelle indelebili, immaginifiche, di bambino. “Messina, Catania e Siracusa le conobbi più tardi, dopo che avevo visto Roma, Firenze, Siena. A Messina, dove spesso andavo, mi era carissima la chiesa dei Catalani: più volte in un giorno passavo a guardarla, le giravo intorno. A Catania, la via dei Crociferi e palazzo Biscari. Ma mi sono anche, sempre, piaciuti i catanesi: l’ironia, che in tutta la Sicilia è greve, a Catania è leggera; c’è il senso del comico; c’è il vivere e il vedersi vivere e il non prendersi sul serio. C’è del Brancati in natura, e benissimo si accorda al barocco. Ma il grande amore resta per me Siracusa: stupenda nelle cose, civilissima nella gente. Che Weininger abbia detto che a Siracusa si può nascere o morire, non vivere, fa pensare (e non ci vuol molto) che c’era tanto di storto in Weininger quanto di armonioso in Siracusa. A Siracusa si può vivere, è anzi una città da vivere”. Una volta che si è cresciuti, conta dunque meno la scoperta e più la sensazione emotiva che lega ai luoghi, ad alcuni specifici luoghi, magari quelli di una “città deserta, bella, amabile”. La città si può allora girovagare svagatamene, solo per riposare lo spirito, attraverso strade che delimitano soltanto un brano dell’abitato che ci si è ritagliati, come per Sciascia, e da cui raramente si esce.
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