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  La Sicilia di Sciascia
 
Attraverso un articolo apparso
  sul settimanale EPOCA, lo scrittore
  ricordava gli anni dell'adolescenza.
 

Per saperne di più  

 
   
 
  Cara Sicilia    
     
Testo di Ernesto di Nunzio    

 
 
A sei anni Sciascia, involontariamente, sente per la prima volta il nome di Suor Maria Crocifissa, parente di quel  Tomasi di Lampedusa, scrittore siciliano che la Sicilia e il mondo hanno conosciuto solo dopo la scomparsa. Seppure “idealmente” è un primo contatto con la grande letteratura isolana, solo idealmente, perché quel viaggio a Girgenti ricorre nelle memorie di adolescente, quando più tardi, verso i quattordici anni, cominciò a leggere Pirandello. Iniziò dalle novelle. “Tutto mi si svolgeva nella Girgenti che ricordavo da quel primo viaggio: anche quando Pirandello nemmeno accennava ai luoghi; e quando vidi Il fu Mat­tia Pascal di Marcel L’Herbier, con quell’indimenticabile Ivan Mosjoukine (che fu poi Casanova), la quasi totale mancanza di esterni mi diede la suggestione che dietro ci fosse la Girgenti che avevo conosciuto, che conoscevo. Che ancora oggi si può ritrovare”.

Tornando da quel primo viaggio ad Agrigento, il piccolo Leonardo scopre con meraviglia “che non dovunque l’aria sapeva di zolfo, e l’acqua, e i frutti”. In tutti i paesi e in tutte le città è dunque possibile non solo osservare costruzioni  o ascoltare gente parlare, cantare, ma scoprire persino il profumo che hanno le cose. Il suo secondo viaggio fu a Palermo, a dieci anni. Sciascia, anche di Palermo ricorda gli odori. “L’odore di frittura dei quartieri popolari: l’odore di limoni, alghe, polpo bollito e pesce fresco dei mercati; l’odore di gelsomini di via della Libertà”.  Della città ricorda però anche le sue bellezze monumentali. “Le cupole rosse di san Giovanni degli Eremiti e di san Cataldo, le palme, la pietra del palazzo dei Normanni, gli stucchi barocchi, i mosaici, i ferri battuti del liberty. E la meraviglia delle strade dritte. Ma lo stupore più grande lo ebbi al palazzo dei Normanni: il soffitto della Palatina, i mosaici della sala di re Ruggero (gli animali soprattutto), la sala dei vicerè con quei ritratti intorno a grandezza naturale. Mi colpiva il gesto d’imperio in cui erano stati ritratti alcuni, il contrasto che c’era in altri tra la decadenza fisica e l’autorità e ricchezza di cui erano vestiti e circondati. Non so se perché allora se ne parlasse, ché volevano rimetterla o l’avevano già rimessa, o forse perché avevo letto qualcosa sui viceré che condannavano o facevano grazia, ma dentro quella sala mi assalì angoscioso il pensiero della pena di morte: e ancora oggi, appena vi metto piede, automaticamente mi scatta quel pensiero”.

 

 
 
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