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  Mario Luzi
 
Capita di rado di avere il privilegio
  di vivere momenti speciali
accanto
  ad un poeta come Luzi
 

Per saperne di più  

 
   
 
  Riflessioni e pensieri
  a casa di Mario
   
     
Testo di Teresa Lazzaro    

     

Il viaggio per chi è precario costa troppo e siamo così lontani che  mi accontento di sentirlo  per telefono.  Dopo la morte di papà quando è stato male, sono partita e con  tanti sacrifici sono stata felice di accudirlo. Quando morì Bilenchi fu per me una tragedia e papà cercando di consolarmi  fu sconvolto dal pensiero di come avrei reagito se lui o Mario fossero morti.  Purtroppo papà  morì solo qualche mese più tardi e Mario ora ha preso il suo posto, sempre pronto a condividere le mie gioie ed i miei dispiaceri.  Così è una gioia immensa rifargli il letto, preparargli la colazione, mettere ordine tra le sue cose!

Quando finisce di battere il foglio mi chiama ed io ne preparo altri due. Mi mostra lo schema.  Leggo queste nuove poesie ma mi sembra di invadere l’officina del poeta. Vorrei fissare per sempre questo momento magico perché nonostante la sua grandezza Mario è nel contempo umanamente semplice.  Si alza e viene a sedersi accanto a me. Apre la posta  e c’è un libro di Roger Martin du Gard, premio Nobel 1987. Poiché confesso di non  conoscerlo mi racconta che negli anni 30 se ne parlava tanto. “Tutti lo leggevano. Poi è caduto in disuso.  Ogni generazione ha le sue letture. Oggi si ricordano le sue traduzioni.”

Mario ricorda le traduzioni di Traverso, Macrì e Bo e con rammarico annota che oggi non ci sia nessuno di tale levatura “ però il dibattito è aperto per l’attualità dell’argomento, tornato alla ribalta in sede critica e teorica”  e aggiunge che al tempo di Anceschi, negli anni dell’ Ermetismo “io sono stato sordo a quelle sirene. Ho sempre sostenuto che il problema della traduzione fosse da trattare più empiricamente che teoricamente” come fece quasi per scommessa nella premessa “o meglio confidenza” del volume di traduzioni La cordigliera delle Ande.

Parliamo del  Nobel e precisa che i francesi non ci tengono. Ricorda che quando Quasimodo ne fu insignito “c’era molta rabbia nell’ambiente, tutti s’aspettavano  Ungaretti o Montale. Così gli scrissi una lettera  Era aggraziato, cercava anche la dolcezza, la bellezza delle immagini“.  Riprende a scrivere ma si stanca anche perché la macchina ha i tasti duri. Si ferma, legge, rilegge, corregge, riflette e  mi chiama perché gli legga uno dei pezzi dall’agenda. Riesco a decifrare la sua  grafia  e lui, raggiante e felice, può finalmente incasellare le parole al posto giusto.  Suona il telefono. E’ Quiriconi, cui lui è affettuosamente legato.  Arrivano i saluti di Rafael Alberti e la promessa di una visita di Nilde Jotti.

 

 
 
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