MM - Aprile 2006 |
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Il 1200, dato dagli storici come indicativo terminus ad quem per la scomparsa della civiltà micenea, se determinò la cessazione delle importazioni egee, non ostacolò comunque un perpetrarsi a livello culturale della civiltà egea in Sicilia dove, così come già in precedenza era avvenuto nell'area sud italica, iniziarono a essere attive officine indigene di imitazione, documentate, ad esempio, dalle forme fittili e metalliche ispirate al patrimonio egeo rinvenute a Pantalica. Il ricorrere di motivi egei ben al di là dei limiti cronologici effettivi della civiltà minoico-micenea è testimoniato, fra gli altri, da alcuni reperti di oreficeria rinvenuti presso Sant'Angelo Muxaro, nell'agrigentino. Si tratta di due anelli le cui iconografie, rispettivamente un lupo a fauci spalancate e una vacca che allatta un vitellino, rimandano chiaramente a una derivazione egea, ma la cui lavorazione, pertinente alla medesima officina, sembra essere locale. Per questo, dopo numerosi studi, si è giunti all'affermazione che nel VII sec. a.C. circolassero ancora in Sicilia motivi iconografici e tipologie di origine micenea, retaggio degli antichi e persistenti contatti tra le due aree. Ulteriore testimonianza di questo è, fra le numerose altre, un bronzetto a tridente rinvenuto a Polizzello, vicino Caltanisetta, che ben incarna la semantica degli idoletti micenei con le braccia alzate, sia pur traducendola con una sensibilità indigena molto più schematica. Non solo la toreutica e la piccola bronzistica vengono a suffragio della tesi di una persistenza culturale di motivi egei, ma anche l'archeologia funeraria. Grandiose sono infatti le tombe a tholos, tipiche del mondo miceneo, visibili ancora oggi nella Valle del Platani e databili tra VII e VI sec. a.C.
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