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  Agrigento
 
Ad Agrigento, un tempio
  del tutto particolare
 

Per saperne di più  

 
   
 
  Il tempio di Giove Olimpico    
     
Testo di Caterina De Salvo    

     
 

Tempio di Zeus ad Agrigento, la parte occidentale crollata.

 

Clemensfranz - 24 Maggio 2006

 


 
da Wikimedia Commons
   

Notizie storico-critiche           

Dalle fonti letterarie, in primis Diodoro e Polibio, sappiamo che il tempio venne costruito dagli agrigentini, dopo la vittoria riportata sui cartaginesi ad Imera. Vi lavorarono un gran numero di schiavi, che sotto la direzione del famoso ingegnere Feace, ne portarono la costruzione sino al tetto lasciandolo incompiuto a causa della guerra contro Cartagine. Imilcone, generale cartaginese, lo saccheggiò e sebbene all'interno furono distrutte sculture e divelti ornati,  gli invasori non riuscirono ad abbatterlo per la grandiosità e la robustezza della sua stessa architettura, perché non aveva una peristasi con colonne isolate, ma era circondato da mura, nelle quali le colonne si trovavano per metà incassate.

Polibio trovò l'edificio in piedi e così si mantenne  fino  al medioevo, rovinando poi  lentamente a causa delle calamità naturali, terremoti, intemperie ma anche a causa delle devastazioni compiute dagli uomini che ne asportavano le pietre utilizzandole in nuove costruzioni ,quali il molo di porto Empedocle ai tempi di Carlo III Borbone, che venne costruito con pietre tolte dall'Olimpo. Il 9 dicembre 1801 i resti crollarono definitivamente a terra. A questo proposito scriveva Fazello che, benché con l'andar del tempo la restante parte dell'edificio fosse caduta in rovina,  si mantenne ancora per molto una parte sostenuta da tre giganti, e alcune colonne. Ma anche quei giganti vennero meno. In memoria di questi  telamoni si adottò, per la città moderna un nuovo stemma con "tre giganti che, ritti in piedi sostengono tre torri".

Nel 1801 il prof. Raffaele Politi ricompose uno solo dei telamoni che, formato  dall'unione di 26 pezzi di pietra di tufo calcareo, è lungo 7,61 metri e ancora oggi un calco  giace  disteso nel luogo stesso del tempio. Degli altri tre, scoperti negli scavi del 1926, sussistono le teste custodite nel museo civico. Il telamone, gigantesca figura maschile, raffigura Atlante, gigante figlio di Giapeto e Asia condannato da Giove, per aver aiutato i tiranni, a reggere il mondo sulle spalle. Il suo capo ha i capelli pettinati a onde, e un berretto di forma frigia.

La collocazione di questi telamoni ha rappresentato un problema affrontato da molti studiosi ma è certo che essi non avevano funzione soltanto decorativa bensì anche statica. Il professore Anselmo Prado  riconobbe il posto dei telamoni tra i pilastri. Altro problema insorse per quanto riguarda l'accesso al tempio che non poteva essere al centro dato il numero dispari di sette colonne, come osservò il Prado ritenendo quindi che le entrate del tempio, in numero di due, dovevano essere verso oriente.

La maggior parte delle rovine del tempio si trovano accumulate sul lato di ponente, dove caddero le parti colossali di quell'edificio, e dove si trovano frammenti di mezze colonne, nelle cui scanalature, come aveva osservato Diodoro Siculo, può comodamente trovare posto un uomo. Diodoro ricorda le raffigurazioni di una gigantomachia a est ed una presa di Troia ad ovest, che si pensa decorassero il frontone. I ruderi attuali e l'area scoperta dell'Olimpo confermano pienamente le asserzioni di Diodoro.

Per quanto riguarda la costruzione della copertura, l'Olimpo ne rimase sprovvisto per la sopraggiunta guerra e gli agrigentini non furono in grado di portarlo a compimento.

 

 
 
     

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