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  La Sicilia
 
Una città con le case
  “di pietra dorata”
 

Per saperne di più  

 
   
 
  Mistretta    
     
Testo di  Walter Bertrand    

 
 

Scuola a Mistretta, Provincia di Messina.

 

Clemensfranz - 6 Giugno 2006

 

 

 
da Wikimedia Commons
 

Chi volesse ammirare una città con le sue case “di pietra dorata” - lavoro paziente di scalpellini oramai scomparsi - può lasciare la statale 113, che da Messina porta verso Palermo, ed affrontare i tornanti della statale 117. Si raggiungerà Mistretta, uno dei centri storici meglio conservati della Provincia di Messina. E’ la testimonianza di una vivacità culturale, politica ed economica che ha prodotto segni tangibili nei suoi monumenti. Le note storiche ricordano che la città appartenne quasi sempre alla corona, e pertanto fu sottratta al vassallaggio feudale, fin quando Filippo IV di Spagna, per sostenere le sue spese militari, decise di vendere la città ad un tal Gregorio Castelli, conte di Gagliano, per la somma di 80.000 scudi. Era l’anno 1632 , che nella storia di Mistretta segna un punto nodale. I cittadini uniti decisero di sostenere l’ingente sforzo economico di riscattare la città. Rimangono memorabili le parole del consigliere Giuseppe Valenti, che nella seduta di votazione esclamò: «Bisogna procurare il prestito a qualunque patto perché devesi stimare la liberà come la propria salute».

L’animo patriottico degli abitanti di Mistretta è nuovamente testimoniato durante la rivoluzione antiborbonica, che porterà all’unità italiana. La città fu, dopo Palermo, la prima che insorse, inalberando la bandiera nazionale, allestita clandestinamente, sulla torre del Castello, la sera dell’otto aprile 1860. Questo Castello è stato il fulcro degli avvenimenti storici che hanno interessato l’esistenza di Mistretta; venne numerose volte distrutto e ricostruito, per essere infine devastato definitivamente da una frana. E’ proprio ai piedi del Castello che si è accentrato Il primo nucleo dell’abitato, sorto in epoca prenormanna, arroccato al costone roccioso che emerge sui declivi della valle, e preannuncia le alte e boscose cime dei Nebrodi.

I toponimi dei quartieri richiamano alla memoria le particolari vicende dei luoghi o degli edifici, generalmente di culto, che ne hanno costituito il punto emergente, come i quartieri di S. Vincenzo, del Carmine, della Madre Rivinusa, del Roccazzo, di S. Nicolò, che si distendono ai piedi del Castello. Il quartiere Purgatorio, ad esempio, prende il nome da una chiesa dedicata alle Anime Purganti. Di fronte vi era la chiesa di S. Antonio Abate, fondata in epoca normanna. Alle sue spalle, quello che un tempo era il quartiere arabo (Rabah). Il tratto di Mistretta circoscritto fra via Libertà, piazza Vittorio Veneto e piazza Dogali, è il "cuore" della città, comprendendo la Chiesa Madre dedicata a Santa Lucia (edificio esistente già nel secolo XII e completato nel Rinascimento), e le chiese di S. Sebastiano e S. Francesco.

Il quartiere S. Caterina, intitolato alla martire alessandrina, annovera diversi rioni: "A Nivera", perché durante le nevicate invernali vi si raccoglieva la neve gelata da mettere in vendita; "L’acqua ramata", per l’acqua ramosa che sgorga dalle sue fontane; "U risittaculu", sede dell’acquedotto comunale; "A maredde", ovvero la strada che porta alla "Santuzza", ossia la chiesetta dedicata appunto “a Maria”. In questo quartiere di S. Caterina, si ammirano palazzi a due o tre piani, con portali, balconi e finestre decorati, dove l’occhio attento può avvertire il passaggio dalle forme barocche allo stile neoclassico. Sono i palazzi della nuova urbanizzazione che si rafforza nel Sei-Settecento e si consolida nell’Ottocento con il quartiere Saddio, che con i suoi dodici palazzi testimonia l’elevato reddito dei residenti appartenenti all’alta borghesia.

Dai quartieri più arroccati, quindi, la città si espande nei luoghi più accessibili. Il tessuto urbano si articola in ampie vie rettilinee. Le strade principali divengono acciottolate; due fasce di basolato rendono più agevole e spedito il transito dei carri che trasportano le merci per le fiere che si tengono fuori dalla porta S. Caterina. Nel quartiere di S. Biagio, troviamo "U munte" e "U palo. I toponimi ricordano "u munte" dei Pegni e "u palo" al quale in epoca saracena, si impiccavano i condannati a morte. Nel quartiere di S. Giovanni la presenza della via Ughetti, ossia "U ghetto", fa ipotizzare la presenza di una comunità ebraica, la stessa tipologia delle abitazioni sembra confermare tale tesi. Nel quartiere di S. Giuseppe è possibile trovare il cosiddetto "ospedale vecchio” opera cinquecentesca del benefico finanziatore Filippo Pizzuto. Gli ospedali fornivano un prezioso servizio sociale, impegnati a curare malanni e pestilenze. La vita materiale emerge nel rione Petra Pilata (pietra viva) del quartiere del SS. Rosario, per la presenza delle pietre del lavatoio utilizzate dalle donne di casa sino alla fine dell’Ottocento. Come dire: la città dell’arte e del quotidiano.

Per approfondire vedi i TEMI di questo numero

 

 
 
           

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