Arrampicandosi per una
strada di montagna, a poco a poco si svelano fra la fitta macchie
mediterranee i pilastri di cotto, le absidi, la cupola di un maestoso
complesso architettonico, si tratta di un’abbazia basiliana di rito greco
cioè S. Filippo di Fragalà o di “Demenna”. Il cenobio si erge su un ripiano
aperto a pochi chilometri da Frazzanò da cui si domina tutta la valle, da
“le rocche del Castro” al “bosco di Mangalavite” tutte antiche pertinenze
del monastero.
Secondo la tradizione orale,
il convento sarebbe stato fondato nel 495 da S. Calogero di Calcedonia in
realtà fu proprio durante l’impero bizantino, in continuo conflitto col
papato, che fu agevolata , per scopi politici, la fondazione in Itali di
numerosi metochi con monaci greci dipendenti dal Patriarcato
di Bisanzio. I monaci nelle loro pratiche religiose s’ispiravano agli
insegnamenti e precetti di S. Basilio, senza però che questi si
strutturassero in una vera e propria regola scritta.
Il convento riuscì a
resistere alla dominazione araba, tant'è che lo Scaduto, parlando dei
monasteri della zona del Valdemone, afferma: “quando i normanni entrarono in
Sicilia…nel Valdemone…restavano ancora in piedi S. Angelo di Brolo, San
Filippo …”
Importanti notizie storiche
ci sono fornite da una serie di pergamene che il monastero ha custodito per
vari secoli e oggi conservate presso l’Archivio di Stato di Palermo, questi
documenti riguardano registrazioni di donazioni di terreni attuate dalla
corte o da funzionari normanni, privilegi o conferme di essi indispensabili
per la ricostruzione socio-economica del monastero.
Alcune pergamene, come
l’atto di donazione del conte Ruggero, sono andate perdute, ma per fortuna
altre si sono conservate, i come i testamenti del primo abate, Gregorio, che
ci danno la possibilità di tracciare un quadro abbastanza esaustivo su
quella che doveva essere la vita e la gestione dell’abbazia, sulle proprietà
del cenobio e sui ricorrenti dissidi col Vescovo.
Gregorio scrisse tre
testamenti tra il 1096 e il 1105, l’abate dichiara di essere entrato da
giovane nel monastero, quando la Sicilia era sotto il dominio saraceno,
donando ad esso tutti i suoi beni, ciò dimostra che nonostante la dura
oppressione esercitata gli arabi consentivano alla chiesa bizantina la
conservazione e l’accrescimento di alcuni dei propri beni patrimoniali.
L’ultima parte dei primi due testamenti è riservata ai ringraziamenti al
conte Ruggero, ai funzionari normanni e alla contessa Adelasia per l’opera
da questi compiuta.
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