COMUNE DI

P
ALERMO
Capoluogo di Provincia

 

 
 
     
 

Palazzo La Cuba a Palermo

 
     
 

Attilios - 7 Dicembre 2005

 
     
     
     
   
     
  da Wikimedia Commons  
     


Città (comune di 158,88 km2 con 697 000 ab.) della Sicilia settentrionale, capoluogo della regione e della provincia omonima, posta a 14 metro s.l.m. in magnifica posizione sul golfo che da essa prende il nome, al margine della Conca d’Oro. Si addossa a Nord al monte Pellegrino, avendo come sfondo a Nord-Ovest e a Ovest rispettivamente i monti Castellaccio e Cuccio.

Il nucleo antico, a Sud, sistemato nel XVII sec., è diviso in quattro settori delle due vie principali, corso Vittorio Emanuele e via Maqueda, incrociantisi ad angolo retto nella piazza Vigliena, detta i Quattro Canti. Vi si ammirano i più celebri monumenti cittadini: l’ex Palazzo Reale; la cattedrale, costruita tra il 1170 e 111185 sul luogo di un’antica basilica cristiana; il castello della Zisa, insigne monumento arabo-normanno; il Teatro Massimo; le chiese di S. Domenico e dl S. Caterina, tra i migliori esempi del barocco palermitano; altre chiese e palazzi hanno grandiosità tutta spagnolesca.

I quartieri più recenti si sono allargati verso Nord nella piana che si inserisce tra i monti Castellaccio e Pellegrino e sono in continuo sviluppo.

Palermo è il principale centro di traffici della Sicilia e ha il suo polo di attrazione nel porto vasto e ben attrezzato, cui convergono strade e ferrovie da ogni parte dell’isola. Tutt’intorno sono sorti complessi industriali di primaria importanza, attivi nei settori siderurgico, chimico, del vetro, del cemento, del legno, tesssitura, conserviero. Aeroporto a Boccadifaico (militare) e a Punta Raisi.

Sede dell’Assemblea e della Giunta regionali. Rinomata sede universitaria. Interessanti l'Orto botanico, i musei e raccolte d’arte e scientifiche. Sviluppato il turismo.

 

    Palermo    
    HOTELS
Palermo/Mondello
Palermo/Sferracavallo

AFFITTACAMERE
Notizie storiche Beni monumentali

Fu la principale delle colonie che i Fenici provenienti da Tiro e da Sidone fondarono in Sicilia, tra l’undicesimo e il nono secolo avanti Cristo, per commerciare con i Siculi, gente italica già passata in gran numero dal continente vicino nell’isola. Non Si sa con certezza qual nome fosse dato a questa città nei tempi più antichi, ma pare che ad essa si riferisca il nome punico "Ziz" o "Sis" (fiore, aia), che si legge in alcune monete, e che restò a una delle sue campagne e al palazzo che vi sorse tra il secolo XI e XII dopo Cristo, ancor oggi esistente col nome di "Zisa". Il nome Panormos che è rimasto a questa città è un nome greco che ebbero anche parecchi porti in Asia e in Europa, il qual nome fu spiegato dallo storico Diodoro Siculo come risultante dalla composizione delle due voci greche "pan" (tutto) e "ormos" (porto), indicando il porto spazioso che essa aveva. Veramente l'antichissimo porto di Palermo era molto grande, poiché lo stesso Diodoro narra che 480 anni prima di Cristo vi entrò tutta quanta la flotta cartaginese composta di molte migliaia di navi, e noi sappiamo che l’attuale cala di Palermo è quanto rimane di quello spazioso porto che, in tempi molto remoti, sino al decimo secolo dopo Cristo si internava nella città, formando in essa, come scrisse allora il geografo arabo Ibn Hawqal, due bacini, dei quali il più grande fu detto "porto destro o settentrionale" e il più piccolo "porto sinistro o meridionale".

I fenici venuti da Tiro e da Sidone in Sicilia, per fondarvi colonie commerciali, fecero lega con i Fenici di Cartagine, e nel secolo VII a. C. quando approdarono nell'isola i Greci, più intraprendenti e meno pacifici dei coloni Fenici, e incominciarono con essi le rivalità, l'autorità di Cartagine sui suoi protetti di Sicilia si accrebbe, e questi si raccolsero nelle loro sedi più sicure di Panormo, di Solunto e di Mozia.

Allora Panormo diventò il centro delle operazioni e la principale fortezza dei Cartaginesi dell’isola. La città, la quale era sorta sul luogo che oggi è il tronco superiore dell’attuale Vittorio Emanuele, si accrebbe di una nuova parte che, alcuni secoli dopo, lo scrittore Polibio indicava, nei suoi scritti, col nome di "Neapolis" o "città nuova", per distinguerla dalla vecchia "Paleopolis"; ma non sappiamo se ciò sia avvenuto per opera dei Fenici, ovvero dei coloni Greci che erano venuti ad abitare nell’antica città fenicia. La supremazia di Cartagine sulle colonie fenicie in Sicilia è evidente nel 480 a.C. quando il condottiero cartaginese Amilcare, movendo alla guerra contro Imera si ricovera col numerosissimo naviglio nelle acque di Palermo (Diodoro); continuò quindi la mite dominazione dei Cartaginesi, i quali lasciando sempre ogni libertà di commercio nell’isola, trovarono nei porti di essa sicure stazioni marittime, ed ebbero Panormo come loro capitale residenza navale (Polibio). Nel 405 a.C. durante la guerra contro Dionisio, tiranno di Siracusa, il cartginese Imilcone con la sua flotta trovava sicuro asilo nel porto di Panormo (Diodoro), e nel 383 a. C. essendo riarsa la guerra tra Dionisio e i Cartaginesi, questi ponevano il loro quartiere generale in Panormo. Intanto i Greci che da molto tempo dimoravano in questa città, esercitandovi il commercio, avevano dato ad essa quel nome che quidi le rimase per sempre. Dopo che i capi di Siracusa invocarono l'aiuto di Pirro, re dei Molossi, per continuare la lotta contro i Cartaginesi, quel valoroso condottiero portò vittoriosamente le sue armi per l’isola: presso Panormo assalì 1e ben munite fortezze di "Heirkte" (oggi monte PeIlegrino), e quindi riuscì ad impadronirsi della città, la quale , per lo innanzi, non era mai caduta in potere di nessun greco; ma Pirro ben presto fu costretto a partire dalla Sicilia e ad abbandonarla per sempre (Diodoro). Più tardi, mentre questa era dominata in gran parte dal siracusano Gerone, i Romani, chiamati dai Mamertini, portarono le loro armi in Sicilia contro Annibale, e quest’isola divenne allora il teatro di quel grande duello tra Roma e Cartagine che durò per ben 23 anni dal 264 al 241 a.C., ed è ricordato nella storia Romana col titolo di prima guerra punica. Appena incominciata l’aspra lotta, i Cartaginesi occuparono con le loro squadre Panormo, che, siccome afferma Polibio, era la città più notevole della provincia Cartaginese in Sicilia; essa nel 254 a. C., fu tolta agli stessi con grande difficoltà dai consoli romani Aule Atilio e Cneo Cornelio (vedi Polibio 1,38).

Quindi Panormo fu la principale stazione navale dei Romani nelle loro strategie contro i Cartaginesi, e in essa rimase una forte guarnigione. Ne1 251 a.C. i Cartaginesi, condotti da Asdrubale tentarono di riprendere Panormo, e attacarono battaglia contro le legioni romane di L. Cecilio Metello tra le mura della Neapo1i e il corso del fiume Oreto, ed allora quel cosole romano, con l’aiuto degli artigiani di Panormo, riportò vittoria (Polibio 1,40).

Nel 248 a.C. Cartagine affidò il comando in Sicilia al giovano Amilicare Barca, che era il più valoroso condottiero, e questi si accampò con i suoi soldati alle falde dell’Heirkte contiguo a Panormo, quartiere generale dei Romani nella Sicilia; lì rimase per molto tempo ingaggiando non meno di 15 battaglie coi Romani, i quali d’altra parte si attendarono in un campo trincerato fra la città e il monte e dopo tre anni riuscirono con le loro armi a scacciare gli avversari: questi rinunziarone per sempre a Panormo. I romani dopo aver conquistata la Sicilia, classificarono le città in federate, in città libere e immuni e in città decumane: Panormo divenne con Segesta Centuripe, Alesa ed Alicia una città municipale. Il governo dell’isola fu affidato a un pretore, eletto annualmente, che ebbe sede in Siracusa splendida metropoli ellenica e a due questori dei quali uno in Siracusa e l'altro in Lilibeo. S teneva curia e s’impartiva ragione, a intervalli in Panormo ed in altre quattro città principali. Cicerone accenna, nelle sue orazioni contro Verre, a Panormo come a città florida, popolosa e dedita al commercio, e rammenta che essa reclamò per le ingiustizie di quel pretore. Duarante la lotta tra Ottaviano e Sesto Pompeo (verso l'anno 39 a.C.) la Sicilia soffrì molto, e lo scrittore Strabone che visitò l’isola più tardi, cioè tra il regno di Augusto e quello di Tiberio, notò che le città della Sicilia erano decadute dal loro antico splendore, specialmente dopo quella guerra civile, e che Panormo era una colonia romana: e veramente nel 20 a.C. vi si erano mandati alcuni coloni, siccome testimonia Dione Cassio. Più tardicioè sotto l’imperatore Vespasiano, e quindi sotto Adriano, furono mandati alcuni coloni militari ad accrescere la Colonia Augusta Panormitanorum. Sin dai tempi di Augusto la Sicilia, nella divisione delle provincie, era stata assegnata al Senato e ne era affidato il governo a un proconsole; Panormo, la maggiore delle città romane esistenti nell’isola, rimase durante il lungo periodo imperiale decorso da Augusto sino a Teodosio senza alcuna importanza politica; ma fu sempre una delle più belle città marittime, e sino ad oggi possiamo ammirare alcuni avanzi di sontuosi edifici che sorgevano in essa al tempo della dominazione romana. Il nome latinizzato Panormus è nell’ "Itinerarium Antonini" e nella "Tabua Pentiugeriana".

I Barbari che invasero l’Italia al decadere dell'Impero Romano d'Occidente, nel V secolo dopo Cristo, non passarono in Sicilia; ma sin dall'anno 440 Genserico proveniente dall'Africa sbarcò in Sicilia coi suoi Vandali, assediò e prese Panormo. Nel 491 l'isola passò in potere dei Goti e fu annessa al Regno Gotico d'Italia. Nel 535 dopo Cristo sbarcò in Sicilia il generale bizantino Belisario per conquistarla in nome dell'imperatore Romano d'Oriente, e Panormo assediata per mare, fu 1'ultima città che i Bizantini tolsero ai Goti. Essi scelsero Taormina come capoluogo per l'amministrazione: il loro dominio in Sicilia durò da quell'anno sino a quando essa cadde in potere dei Saraceni. cioè sino all'831. Palermo, in questo periodo, fu città popolosa e ricca, siccome risulta dalle epistole scritte nel VII secolo da S. Gregorio Magno. –

I Saraceni sbarcarono nell'isola per conquistarla nell'827, e incominciarono con l'impossessarsi di Agrigento; quindi posero l'assedio a Palermo, e dopo un anno ed anche più, nell'831, si impadronirono di questa città; poi, nello stesso anno, presero Messina, quindi sottomisero a poco a poco gran parte dell'isola e soltanto nel 902 vennero in potere di Taormina che fu l'ultimo baluardo da loro conquistato. Palermo divenne la sede principale e il centro di governo dei Mussulmani, i quali ben presto si resero indipendenti dal principato dell'Africa, poiché l'emiro africano Mansùr la rese provincia autonoma retta da un emiro locale: l'emirato di Sicilia poi diventò indipendente ed ereditario nella stirpe dell’emiro siciliano Hasan. La operosità degli Arabi si manifestò meglio che altrove in Palermo, e i benefici effetti di essa durarono a lungo, anche quando i Normanni tolsero a loro il dominio sull’isola: un gran numero di edifici dei quali alcuni furono costruiti soltanto dai Saraceni ed altri dai Saraceni stessi con la cooperazione dei Normanni, sono un bel documento della prosperità di Palermo al tempo degli Arabi.

Il geografo arabo Ibn Hawqal visitò questa città nell'anno 972, e la trovò e ce la descrisse divisa in cinque regioni popolose, con sobborghi in uno ,stato di floridezza industriale e commerciale forse non inferiore del presente. Però le interne lotte abbatterono la potenza dei Mussulmani, e ben presto gli stranieri irruppero ardimentosi nell'isola. L'imperatore di Bisanzio mandò il suo generale Giorgio Maniace sperando di riconquistare la Sicilia, e in questa impresa i Bizantini trovarono aiuti in un manipolo di cavalieri Normanni. Questi condotti da dieci dei dodici figli di Tancredi d’Altavilla si erano partiti dalla Normandia ed erano venuti in Italia in cerca di avventure; quindi incoraggiati dai primi successi avuti nella penisola, erano passati in Sicilia. I Normanni conquistarono a poco a poco tutta quanta l’isola per conto loro: dapprima, nel 1061, s’impadronirono di Messina e di Rometta, cercando di occupare quella parte nord-est della Sicilia che non era stata mai invasa dagli Arabi; poi scorazzando e predando, 700 di essi s’incontrarono nei pressi di Castrogiovanni, con un esercito di 15000 Saraceni, dei quali secondo lo storico Malaterra, furono uccisi 10000; nel 1062 il conte Ruggiero occupò Troina, città alpestre, e vi lasciò un presidio: nel 1063, dato l'assalto a Cerami, batté i Saraceni quivi rinchiusi; nel 1064 egli e il fratello, il duca Roberto Guiscardo, assediarono Palermo, ma dopo tre mesi di vani sforzi abbandonarono l'impresa: il duca partì per le Puglie e il conte restò in Sicilia per continuare ad estendervi i suoi domini. Nel 1068 Ruggiero, le cui mire erano rivolte sempre alla capitale dell'isola, si incontrò presso Misilmeri con un esercito di Saraceni venuto fuori da Palermo e ne fece strage Soltanto quando ebbero espugnata Bari (1070), i due fratelli Roberto e Ruggiero, avendo già conquistata tutta la Puglia. vennero in Sicilia col fermo proposito di espugnarne la capitale: riunirono le loro forze di terra e di mare in Catania presso Ben al Themanh, signore di quella città e di Siracusa, il quale sin dal 1060 aveva invitato i Normanni alla conquista dell'isola e aveva promesso di accompagnarli in quella spedizione, e mossero di lì a stringere d’assedio la città di Palermo. Si era già all'anno 1071 quando Roberto si accampava a mezzogiorno di questa città, sulla destra del fiume Oreto, il conte Ruggiero piantava le sue tende dirimpetto il luogo dove ora sorge Porta Nuova, e la flotta dei Normanni bloccava il porto. Dopo un assedio di cinque mesi mentre le forze degli Arabi era a sostenere l'assalto dato da Ruggiero alla Galka cioè alla parte superiore della città, Roberto Guiscardo riusciva a penetrare per una delle porte della Kalesa, e la città di Palermo veniva subito conquistata dai Normanni. Seguirono poi nel 1077 l’assedio e l’espugnazione di trapani e di Castronuovo, nel 1078 di Taormina e di quei castelli di Val Demone che restavano ancora ai Saraceni, nel 1079 la sottomissione di Jato e di Cinisi, e da ultimo furono conquistata Siracusa, Girgenti (1086), Castrogiovanni, Butera, Noto (1091): così in trent’anni di lotta i Normanni tolsero l’isola ai Saraceni.

Roberto Guiscardo dapprima tenne per sé Palermo e quella parte nord-orientale dell'isola che era detta Val Demone e lasciò gli altri possedimenti e tutti gli acquisti da farsi al fratello Ruggiero questi però ottenne più tardi dal fratello la cessione del Val Demone e dal nipote Ruggiero duca di Puglia una metà di Palermo, prese poi il titolo d Gran Conte di Sicilia e di Calabria quindi, nel 1098, ricevette dal papa Urbano II il titolo di Legato Apostolico Ereditario in Sicilia. Ruggiero visse sino a 70 anni, e morendo nel 1101 lasciò due figli della terza moglie Adelaide: Ruggiero, il più giovane, alla morte del padre aveva appena quattro anni: egli ne fu l'erede e il successore, e nel 1127 estintosi il cugino Guglielmo, ebbe anche il ducato di Apulia: nel 1130 prese il nome e il titolo di Ruggiero II di Sicilia, e nel 1139 costrinse il papa, Innocenzo, a confermarglielo ed anche ad investirlo della Puglia, della Calabria e di Capua. Alla morte di Ruggiero II, nel 1154 il regno passò al figlio Guglielmo, che fu detto il Mulo: questi nel 1166 lo lasciò a Guglielmo II detto il Buono, che regnò poi sino al 1189, nel quale anno, con la morte di questo secondo Guglielmo, si spense la discendenza maschile della casa normanna, ma con l'affetto e la devozione dei Siciliani verso di essa.

I Normanni, col loro spirito nobile e conciliante, formarono la dinastia veramente nazionale della Sicilia: essi, capi potenti di baroni e di cavalieri nobili e ardimentosi, di un clero ricco e divenuto patriota, riunirono in mano di capi vigorosi, tosto identificati col popolo conquistato, tutte le forze vive, tutti gli elementi diversi del paese, e seppero reggere la numerosa e svariata società siciliana piena di vita e di originalità, formata di popolazioni diverse che parlavano il greco, l'arabo, il latino e alcuna anche l'ebraico. Durante il dominio dei Normanni la civiltà, le comunicazioni e i commerci dell'Europa e dell’Asia incontrandosi insieme, in quest'isola, vi formarono sempre un nucleo di forza, di vita e di prosperità nazionale Appena ebbero conquistata Palermo, i Normanni fissarono in questa città la loro abituale dimora : quivi restituirono al culto cristiano il duomo che gli Arabi avevano trasformato in grande moschea del venerdì, e fondarono molte chiese, ma lasciarono liberi e sicuri i Saraceni, rispettandone le proprietà e le leggi, allo stesso modo come permisero che continuasse il libero commercio coi Pisani, Genovesi, Veneziani che dimoravano nella città, anzi si valsero degli stessi Saraceni per molte costruzioni: rafforzarono una fortezza all'imboccatura del porto che fu detta Castellammare, munirono l'antica cittadella degli emiri arabi detta la Galka, che questi avevano abbandonata sin dal IX secolo, e la trasformarono innalzandovi fortezze e palazzi stupendi per sontuosità ed eleganza. Costanza, figlia dell'estinto re normanno Guglielmo II e sposa di Arrigo VI lo Svevo, nel 1189 ereditava per testamento del padre tutti i possedimenti paterni; ma il partito nazionale eleggeva re di Sicilia un figlio naturale di Ruggiero, Tancredi, duca di Puglia. Nel 1194 essendo morto Tancredi, il figlio del Barbarossa Arrigo VI venne in Palermo con le sue truppe alemanne, e in nome di Costanza reclamò l'eredità di Guglielmo, funestando questa terra col ferro e col fuoco. Morto Arrigo, per malattia, nel 1197, il figlio Federico, ancor bambino nella tenera età di quattro anni, fu incoronato in Palermo re di Sicilia, nel maggio 1198. La tutela del piccolo re della casa di Hohenstaufen fu assunta dalla madre Costanza, col consenso del papa, ma nel settembre dello stesso anno la augusta donna se ne moriva, dopo aver nominato tutore di suo figlio il pontefice Innocenzo III. in seguito alla morte della regina, Federico fu educato in Palermo, vegliando su di lui la cittadinanza palermitana: quivi egli crebbe amante della poesia, delle arti belle, delle scienze, accogliendo nella stia corte e proteggendo specialmente quei poeti che usavano già la lingua volgare italiana, la quale sin dai tempi di Guglielmo II correva in bocca al popolo. Il periodo della dominazione sveva in Sicilia fu splendido, e, appunto per la residenza della casa di Hohenstaufen in Palermo, questa città fu allora, per alcuni anni, la capitale di Europa, il centro dei grandi affari diplomatici; ma dopo che Federico fu eletto imperatore la Sicilia fu involta dagli Hohenstaufen in una questione per essa non nazionale, cioè nella secolare guerra tra il papato e l’impero; quindi gli errori degli Hohenstaufen condussero nell'anno 1266 la casa d'Angiò a prendere le armi per il papa.

Allora la Sicilia fu conquistata da Carlo d’Angiò conte di Provenza, fratello di Luigi IX re di Francia. La dominazione angioina fu assai funesta per la Francia, per la Sicilia stessa e per il papato. Carlo non fu coronato in Palermo, né pose mai piede in questa città, preferendo per la sua sicurezza di fissare la sua dimora in Napoli: egli nulla fece per Palermo, e il suo malgoverno per tutta l’isola diede luogo ad una congiura ordita contro di lui tra i più potenti baroni di Sicilia, per opera di Giovanni da Procida salernitano, con l’aiuto di Alaimo da Lentini e di Gualtiero da Caltagirone. e quindi alla celebre rivoluzione dei Vespri Siciliani, che scoppiò sul tramonto del martedì dopo Pasqua 31 marzo 1282 in Palermo, presso la chiesa di Santo Spirito. La strage dei prepotenti Francesi, incominciata nella capitale al grido dell’ardimentoso capitano del popolo Ruggiero Mastrangelo, si estese in tutta quanta la Sicilia, e fu seguita da una guerra tra Angioini e Aragonesi, che duròper ben 21 anni. Avvenuta la strage dei Francesi, i Siciliani, nello stesso anno 1282, acclamarono loro re Pietro d’Aragona, il quale accettata l’offerta venne in Sicilia insieme con la moglie Costanza erede degli Svevi, e il 30 agosto di quell'anno fu accolto in Palermo e festeggiato: quindi prese il titolo di re di Sicilia. Così nel 1282 ebbe principio la dominazione degli Aragonesi, durante la quale Palermo rimase la capitale e sede dell’amministrazione. Alla morte di Pietro I, avvenuta nel 1285, i Siciliani riconobbero loro re il secondogenito Giacomo, indicato dallo stesso Pietro quale successore sul trono della Sicilia; dovettero poi sostenere un’aspra lotta contro i Papi i re di Francia e perfino contro gli stessi Aragonesi. Nel 1295, poiché si diceva che Giacomo avesse ceduto il regno di Sicilia a Carlo lo zoppo, alcuni baroni dell’isola riuniti a parlamento in Palermo acclamarono loro re Federico, fratello di Giacomo: poi tutti i baroni riunitisi novellamente in Catania, ripeterono la proclamazione in forma solenne, e ne parteciparono la notizia in Aragona a Giacomo, il quale fece rinunzia del trono e approvò l’elezione del fratello. Nell’agosto del 1302 ebbe termine l’aspra guerra che era scoppiata in seguito alla rivoluzione dei Vespri Siciliani e allo sterminio dei Francesi in Sicilia ed era durata per ben 21 anni: la pace fu conclusa in Caltabellotta: Federico in data del 31 di quel mese ne trasmise la notizia al comune di Palermo ordinando che si sospendessero gli armameti da lui disposti, e subito dopo Filippo, re di Francia, fu di accordo con Federico che questi si avesse il titolo di re della Trinacria vita sua durante.

Ben presto però ricominciarono le ostilità contro gli Angioini: il re, violando i patti sanciti in Caltabellotta, volle assicurare la successione al suo primogenito Pietro II col farlo incoronare associandolo al governo ciò avvenne in Palermo il 19 aprile 1322. Allora gli Angioini si diedero ad apparecchiare in Genova una grande armata, la quale sbarcò in Palermo il 26 maggio 1325, mentre il re Federico II dimorava in Catania e in Palermo governava per il re, il vecchio conte di Modica Giovanni Chiaramonte: l'esercito, condotto da Carlo duca di Calabria figlio del re Roberto d'Angiò, pose campo sotto le mura orientali della città, e dopo aver devastato le campagne fino a Misilmeri e Trabia, e distrutto i giardini reali della Cuba, diede l'assalto a Palermo rinnovandolo poi per tre giorni a porta di Termini, presso porta dei Greci , alle porte di Mazzara e di Carini, e pugnò accanitamente, sperando ma invano, di entrare in città: durante quell’assedio il Chiaramonte provvide di frumento gli abitanti, aprendo i suoi granai e poi quelli del pubblico; bea presto però gli Angioini, richiamati dal re Roberto levarono gli accampamenti e se ne ritornarono per via di mare. A questi avvenimenti ne seguirono altri molto dolorosi che travagliarono l’isola e specialmente la capitale: le guerre civili causate dalle scellerataggini dei fratelli Palizzi, Matteo e Damiano mentre regnava Pietro II (1337-1342); poi la peste nera del 1348, e nello stesso anno, la insurrezione del partito paesano o Latino, alla quale presero parte alcune schiere di Palermitani che condotte dai baroni, levarono le armi contro la parte Catalana; la quale lotta scoppiata durante la sovranità apparente di Ludovico che regnò, ma soltanto di nome, sino al 1355, continuò oltre mezzo secolo. In quel tempo la città di Palermo rimase, e lungamente, in balia dei prepotenti Chiaramonte che governarono di fatto mentre nulla valse l’autorità del re, Federico III, giovinetto di tredici anni, successa all’estinto fratello Ludovico: egli che per la sua dappocaggine fu detto il Semplice, nel suo lungo regno durato 22 anni, cioè sino al 1377, restò dapprima in balia della sorella maggiore Eufemia, poi del conte di Geraci, lottando sempre coi sudditi ribelli e riuscì ad entrare in Palermo per esservi incoronato nel Duomo, soltanto nel 1374, coll’aiuto del potente Manfredi Chiaramonte. Avvenuta la morte di Federico, nel 1377, ed essendo rimasta erede la giovinetta Maria , il gran giustiziere del Regno scelse altri tre compagni nel governo, e la Sicilia fu divisa in quattro Vicariati: in Palermo, a capo del Val di Mazzara, fu vicario il Chiaramonte signore non meno potente dei Visconti in Milano, degli Scaligeri in Verona, degli Estensi in Ferrara, Modena e Reggio, padrone di Palermo, possedeva un palazzo sontuoso e spendeva largamente per migliorare con nuove fortificazioni ed edifici ammirevoli. I quattro vicari non furono mai d’accordo tra di loro, e governavano indipendente ognuno dagli altri; quando poi l'orfana Maria fu sposa di Martino il giovane, figlio del secondogenito Pietro IV, i baroni siciliani cominciarono a temere il principio di una novella dominazione straniera e che in tale occasione venisse in Sicilia una nuova folla d'Aragonesi a prendervi stanza e arricchirsi: allora Andrea Chiaramonte, nuovo conte di Modica, si trovò solo in Palermo a resistere contro l'invasione, e, non potendo lottare e sostenersi contro il re Martino sbarcato nell'isola con forze non indifferenti, fu preso prigioniero a tradimento ed ebbe mozzato il capo in piazza Marina, dinanzi il suo castello. Il re Martino però non seppe conciliarsi gli animi dei sudditi, e per la sua cupidità e alterigia dovette lottare contro i Siciliani che insorsero in arme contro di lui, e trovò ostacoli e rischi gravissimi in Palermo, dove i cittadini non volevano riconoscerlo, benché rispettassero la consorte Maria, quale regina di Sicilia. Quando poi si spense Maria; venne meno il diritto che Martino il giovane vantava sulla Sicilia, ma egli sposò la principessa Bianca, unica figlia del re di Navarra, e venuto con lei in Palermo il 30 novembre 1402, fu incoronato re nel duomo. Pochi anni dopo, nel 1409, il giovane Martino morì in Sardegna, e il padre, Martino il vecchio, conosciuta la fine del figlio, confermò subito alla regina Bianca, sua nuora il vicariato. Se non che il conto di Modica, gran giustiziere del regno, mal sopportando di essere escluso dal governo, si mostrò ribelle e sarebbe venuto ben presto alle armi contro i sovrani, se Martino nel maggio del 1410 non si fosse spento lasciando vacante il trono di Spagna e quello di Sicilia.

In tal modo si presentò opportuna ai Siciliani l’occasione di rendersi indipendenti e di eleggersi da se stessi il sovrano, ma, per le fazioni dei baroni che tenevano divise le città tutte, per le rivalità tra Palermo, Messina e Catania, e perché Palermo, tenuta sempre capitale del regno aveva perduto il credito dei Siciliani e il predominio nell’isola, specialmente a causa della lunga dominazione dei Chiaramonte su questa città, non fu possibile venire ad un accordo nella scelta del sovrano da eleggere anzi la Sicilia fu lacerata ed immiserita dalle fazioni, e dovette accettare la elezione di Ferdinando di Castiglia, figlio di una sorella di Martino il vecchio, decretata nel congresso che si tenne in Ispagna nel castello di Caspe nell'anno 1412 senza che la Sicilia avesse alcuna parte alla scelta. Ferdinando però seppe ottenere il giuramento di fedeltà da baroni e da Comunità e ben presto fu riconosciuto sovrano virtuoso tanto da meritare il soprannome di Giusto dalla maggior parte dei sudditi, benché altri, e primi i Palermitani, protestassero, ma invano, alla giustizia di Ferdinando per avere un proprio re, che risiedesse nell'isola come era avvenuto nei secoli precedenti. Così la Sicilia rimaneva legata a una politica straniera e riceveva ordini da una corte estera: conservava però autonomia, leggi, parlamenti e magistrati suoi. Venuto a morte il re il 2 aprile del 1416, la Sicilia apparve designata nel testamento di quel monarca come inseparabile dall'Aragona, e quando il primogenito Alfonso prese il governo e destinò che nell'isola facesse le veci di lui un Antonio Cardona, i Siciliani docilmente prestarono il giuramento di fedeltà al vicerè e la Sicilia si poté considerare quindi innanzi quale provincia!

Questa fu la conseguenza della progressiva decadenza dovuta alle guerre civili e alle gare municipali suscitate accortamente dai baroni aragonesi che si erano stanziati nell'isola: il coraggio e la stretta unione dei Siciliani, che avevano tenuta alta la gloria e temuto il nome isolano al tempo dei normanni e degli svevi, non eransi manifestati più in difesa della patria sin dai tempi del semplice Federico III, e quindi innanzi la storia narra i fatti dei re dominanti e non più quelli della Sicilia. Alfonso I d'Aragona per sostenersi nella guerra che lo condusse nel giugno del 1442 all'acquisto del regno di Napoli trasse dalla Sicilia non soltanto gran quantità di viveri e denari ma anche valorosi guerrieri, tra i quali il conte di Geraci Giovanni Ventimiglia che da lui ebbe il titolo di marchese; ma tutto questo non valse all'isola che la fortuna di essere unita al Napoletano, e di dare al sovrano il nuovo titolo di Re delle due Sicilie. Alfonso, che governò 42 anni cioè sino al 1458, apportò notevoli miglioramenti in Sicilia e meritò il titolo di Magnanimo che gli fu dato dai sudditi: determinò meglio e riformò in parte le leggi, concesse il permesso di erigere una università in Catania, protesse i cultori delle lettere, le quali a quei tempi risorgevano in tutta Italia sotto l'influsso vivificante dell'umanesimo. Ai tempi di Alfonso e durante il regno del fratello Giovanni, re di Navarra, la città di Palermo ebbe presso di sé il celebre umanista Antonio Beccadelli, detto il Panormita, Pietro Ranzano autore di una storia universale, e valenti architetti, pittori, scultori, i quali restaurarono ed abbellirono molti edifici ed altri magnifici ne innalzarono, tra i quali sono ancora lotevoli il palazzo arcivescovile, quello del Comune, il palazzo di Francesco Patella (in via Alloro), quello del pretore Pietro Speciale (in via S. Chiara) ed altri; allora furono innalzati in vari posti della città, più di trenta nuove torri, molte case nei dintorni, e furono eretti nuovi granai pubblici. Ferdinando I che fu detto il cattolico fu riconosciuto re di Sicilia sin dal 1464 nel parlamento che si in Messina, e nel 1468 fu dichiarato re di Sicilia insieme col padre Giovanni I; morto quest'ultimo, nel 1479, egli assunse il governo dell'isola; quindi sposò Isabella figlia ed erede di Giovanni II re di Castiglia, riunendo così questo regno con quello di Aragona; poi, cupido di estendere i suoi domini, si valse di un tradimento per togliere al nipote Ferdinando II, figlio di Alfonso II, il trono di Napoli, e, con l'aiuto dei Francesi, vi riuscì nel 1503. Venuta meno Isabella nel 1504 e poi Ferdinando nel gennaio del 1516, cominciò a regnare Carlo II, primogenito di Giovanna, unica erede di suo padre Ferdinando, la quale dolente per la morte dell’arciduca d’Austria, Filippo il Bello, suo consorte, aveva perduto la ragione, onde era detta Giovanna la Pazza. Quando in Palermo fu nota la morte di Ferdinando, i cittadini, mal sopportando il governo del viceré don Ugo de Moncada, uomo avaro e di costumi licenziosi, insorgeva contro costui e lo caciava dalla città, levando le armi anche contro il terribile tribunale dell’inquisizione di Spagna che si era stabilito in Sicilia sin dal 1514; e un anno dopo, cioè nel 1517, crescendo il malcontento del popolo per la severità del luogotenente Ettore Pignatelli conte di Monteleone, che tutto faceva col consiglio dei magistrati partigiani dell'espulso Moncada, fu ordita una cospirazione per opera dell'esiliato Gian Luca Squarcialupo e di altri nobili, e i congiurati uccisero l'avvocato fiscale, i giudici della Gran Corte e il maestro razionale; allora altri disordini sarebbero avvenuti, se alcuni patrizi, di comune accordo, non avessero tosto ucciso a tradimento nella chiesa dell'Annunziata i caporioni e lo Squarcialupo non vi fosse stato trafitto da Pompilio Imperatore. Dopo la morte di Massimiliano imperatore di Germania, Carlo II re di Spagna e di Sicilia fu eletto imperatore (1519), e, preso per tanto il nome di Carlo V, nel maggio del 1520 ricevette la corona imperiale in Aquisgrana: allora incominciò quella lotta con Francesco I, re di Francia, la quale durò sino alla morte di uno dei due contendenti. Delle ostilità tra i due potenti monarchi approfittarono i fratelli Imperatore, banditi dalla Sicilia, i quali nel 1522, si accordarono con Marco Antonio Colonna, generale del re di Francia, per levare a sommossa il popolo di Palermo e dare la Sicilia a Francesco I; però la congiura fu scoperta e i congiurati furono messi a morte nel giugno del 1523. Sei Inni dopo, avvenne il sanguinoso caso di Sciacca, che ebbe origine dalla secolare inimicizia tra due potenti famiglie, cioè la famiglia Perollo e quella dei Luna. Intanto la Sicilia già funestata da tante stragi era continuamente depredata da corsari d’Africa, e temeva sempre un’invasione dei Turchi, perciò nel settembre del 1535, Carlo V, che poco prima aveva tolto Tunisi ad Ariadeno Barbarossa, ammiraglio di Solimano il Magnifico, appena entrò in Palermo, fu accolto festosamente; quindi fu acclamato con gioia appena egli giurò di osservare le antiche franchiglie e di rispettare la libertà del regno; ma di fatto la Sicilia se ne stava sempre aggiogata al pesante carro della monarchia spagnola, e Carlo V, in seguito alle sue belle parole dette in Palermo, lasciando l'isola per altri lidi portava seco la somma di duecentomila scudi, tributo non indifferente che i Siciliani gli pagarono sotto lo strano titolo di donativo!

D'altra parte non si può negare però che Palermo, città principale dell'isola, godesse molte prerogative e onorificenze, e fosse retta liberamente da rappresentanti che avevano grande autorità e potenza: difatti il Consiglio Civico, convocato al suono della campana del palazzo del Comune, su proposta del Pretore votava tasse spese, regolamenti urbani, alla presenza del popolo e dei Consoli delle Arti, che erano capi delle 72 maestranze; i sei Giurati (oggi detti assessori), i quali insieme col Pretore costituivano il Senato della città, amministravano l'azienda comunale, sorvegliando l'annona, la salute pubblica, i lavori edilizi urbani; il Sindaco o Procuratore della città difendeva i privilegi di questa e sorvegliava gli atti dell'amministrazione; il Maestro Notaro, funzionario dipendente dal viceré, assisteva alle consulte, vigilando per gli interessi del sovrano; il Capitano Giustiziere badava alla sicurezza interna, e il Pretore, nella sua qualità di capitano a guerra, aveva ai suoi comandi un Sergente Maggiore della città con due compagnie di soldati di marina a cavallo per la custodia dei litorale, ed inoltre comandava alle milizie civili composte delle 72 maestranze: tra di questi militari si resero celebri alcuni uomini d'arme valorosi. Il regime comunale di Palermo abbastanza libero e l'autonomia di altre città dell'isola, le immunità e i privilegi dei quali Palermo insieme con tutta la Sicilia era gelosissima, la gloria e la grandezza del passato formarono il vanto e la felicità dei Siciliani; questa però veniva temperata dai legami verso il sovrano, il quale governava nell’isola per mezzo del viceré e di un gran consiglio del quale facevano parte come altrettanti ministri, i sei giudici biennali della Regia Gran Corte, che deliberavano le più importanti cause criminali, civili e feudali; i tre giudici biennali del Tribunale del Concistoro, che decidevano le cause civili in appello; i giudici del Tribunale del Real Patrimonio, i quali amministravano il tesoro dello stato; un numero considerevole di ufficiali completava l’esercizio dei poteri del re nell’isola. I sovrani spagnoli, da Ferdinando II il Cattolico sino all’ultimo, trovarono in Sicilia la nobiltà e il clero asserviti alla corona, perché i nobili e gli ecclesiastici, sperando di ricevere dal re feudi, titoli, privilegi, diritti, impieghi lucrosi, nelle loro riunioni a parlamento concedevano facilmente al loro sovrano lauti donativi a spese del popolo, protetti essi dal diritto d’immunità tributaria.

Appunto la pressione tributaria del sovrano sui Siciliani, gli orrori dell’Inquisizione le ineguaglianze sociali troppo vive e profonde il protezionismo commerciale, il fiscalismo delle tratte di frumento dall’isola, la corruzione venale dei numerosi ufficiali, e lo stato economico tristissimo che per conseguenza ne venne, tutto rese esoso il governo dei prepotenti re di Spagna in Sicilia. E nella stessa Palermo, ingranditasi a poco a poco, migliorata ed ingrandita per il prosciugamento della palude del Papireto e di alcune parti di terreno strappate al mare, per la costruzione di un molo che costò una somma ingente di denaro, per il prolungamento in linea retta della via Marmorea o Cassaro dalla Chiesa di Sant'Antonio sino alla Chiesa di Porto Sant’Antonio sino alla Chiesa di Portosalvo e quindi da questa sino alla Porta Felice, per l’apertura della ridente Strada Colonna lungo la marina (oggi Foro Italico o Umberto I), per il collocamento della fontana in Piazza Pretoria, per la costruzione della via Maqueda e della piazza Vigliena, crebbe il mal contento dei cittadini col crescere delle gabelle imposte dal sovrano e delle privazioni alle quali si sottoponevano i meno abbienti, durante il regno di Filippo I (II di Spagna) successore di Carlo V, dal 1554 sino al l598, e sempre più sotto Filippo II che regnò quindi sino al l621, e sotto Filippo III finche' i Palermitani, stanchi di soffrire, nel 1647, tumultuarono, e avendo trovato in Giuseppe D’Alesi un nuovo Masaniello, misero in fuga il viceré e i magistrati, abolirono le gabelle. Allora le classi migliori della cittadinanza cospirarono, sperando di liberarsi dal pesante giogo degli Spagnoli; ma invano, perché ben presto questi riuscirono a risottomettere la città. A Filippo III che si spense il 15 aprile 1665, successe l’unico figlio Carlo bambino di tre anni, il quale fu assunto al trono col nome di Carlo III di Sicilia, II di Spagna, V di Napoli Durante la minore età dei re, il governo affidato alla regina madre fu assai debole: ben presto rinacquero i torbidi in Messina specialmente per la carestia del 1671 e del 1672, agevolati dall’ambizioso re di Francia Luigi XIV, che allora era in guerra con la Spagna: il 2 giugno del 1676, mentre nel golfo di Palermo lottavano le navi di Spagna e di Francia, i Palermitani, ridestatosi in essi l'antico odio contro i Francesi, e temendo che questi sbarcassero a far le vendette delle stragi dei Vespri Siciliani, si levarono in massa e fulminarono con le loro artiglierie l'armata vincitrice! Nel 1678 poiché il re di Francia abbandonò Messina, questa ricadde nelle mani degli Spagnoli, i quali trassero atroci vendette. Nel novembre del 1700 cessò di vivere Carlo III dopo avere designato suo successore nel trono di Spagna Filippo duca d’Angiò, secondogenito del delfino di Francia: i Siciliani proclivi ad accettarlo si riunirono a parlamento e prestarono omaggio al nuovo re. Indi a poco però si destò una nuova guerra in tutta Europa per la successione al trono di Spagna, perché l'imperatore di Germania, l'Inghilterra, l’Olanda si dichiararono ostili a Filippo. Il teatro principale della guerra fu il Piemonte: dopo tredici anni di lotta si venne alla pace, che fu stipulata in Utrecht, e la Sicilia fu data a Vittorio Amedeo II duca di Savoia, che prese il titolo di re. Rinacque allora per i Siciliani la speranza di tornare all’indipendenza e al benessere d'altri tempi, e l’11 ott. del 1713 i Palermitani accolsero Vittorio Amedeo con grande gioia, lieti di vedere nella propria città un loro re, dopo alcuni secoli di abbandono Quando poi il re di Spagna Filippo V, consigliato dal suo ministro il cardinale Giulio Alberoni, tentò di rioccupare la Sardegna e la Sicilia, e le principali potenze d’Europa minacciarono di prendere contro di lui le armi, l’Austria approfittò dell'occasione e impose a Vittorio Amedeo II di cambiare la Sicilia con la Sardegna. In tal modo seguì una guerra che durò due anni, nella quali i Siciliani combatterono insieme con gli Spagnoli contro Tedeschi, Inglesi e Savoiardi, e finalmente fu decisa un’aspra lotta tra i due eserciti, spagnolo e tedesco, nelle campagne di Palermo; allora l’imperatore Carlo VI d'Austria fu re di Sicilia col nome di Carlo IV. L'Austria non conservò a lungo la Sicilia ed il Napoletano, perché uno dei figli del re di Spagna, Carlo di Borbone approfittando della guerra di successione di Polonia, che mise sossopra mezza Europa, occupò quelle terre togliendole all'imperatore Carlo VI d'Austria, e vi fondò nel 1734 la dinastia Borbonica napoletana. I Siciliani, sperando miglior fortuna dal cambiamento avvenuto, e fidando nelle virtù del nuovo re, delle quali molto si parlava, accolsero con giubilo gli Spagnoli, e nel giugno 17335 ricevevano in Palermo con gran pompa e incoronavano Carlo, che fu V re di quel nome in Sicilia, VII in Napoli, III nella Spagna.

Durante il governo dell'assennato e leale re Carlo di Borbone, la cittadinanza di Palermo ricominciò a godere la felicità di altri tempi: rifiorirono il commercio, le industrie, le lettere, le belle arti in tutta l'isola, e si vide sorgere in Palermo il Grande Albergo dei poveri per la liberalità di quel re. Il 6 ottobre del 1759 Carlo, chiamato al trono di Spagna per la morte del fratello maggiore Ferdinando VI, cocesse i regni delle due Sicilie a Ferdinando suo terzogenito. Anche durante il regno di Ferdinando III re di Sicilia (VI di Napoli) Palermo fu una città florentissima: vi sorsero la Villa Giulia, l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico, fu abbellito il passeggio della Marina, fu introdotta la pubblica illuminazione, e, nel 1787, il Goethe nel suo breve soggiorno in Palermo poté avere così belle impressioni da potere scrivere poi quelle pagine della sua "Reisen in Italien" (Viaggio in Italia) che si leggono ancor oggi in lode di questa bella città. Nel novembre del 1798 il re Ferdinando III, imbaldanzito per i prosperi successi ottenuti per mare dagli Inglesi sui Francesi in Egitto, osò dichiarare guerra alla Francia e muovere contro Roma; ma gliene incolse male, perché i Francesi lo respinsero e lo inseguirono costringendolo alla fuga. Allora Ferdinando, presi seco i suoi tesori, se ne venne con la sua corte in Palermo: quindi i Siciliani, commossi dalle sventure del loro re e temendo il pericolo di una invasione straniera, lo accolsero bene e lo ebbero ospite per due anni. La Repubblica Partenopea creata in Napoli nel gennaio 1799 ebbe breve durata, e i Francesi furono costretti ben presto ad abbandonare quel paese. Appena fu restaurato il governo borbonico e ritornarono i sovrani in Napoli caddero vittime illustri e seguirono torture, supplizi, confische, che pesarono tristemente sul nome del re, su quello della vendicativa regina Maria Carolina, e sulla fama dell'ammiraglio inglese Nelson che permise quelle crudeltà. Anche in Sicilia incominciò in quel tempo il terrorismo, perché il governo credeva di vedere dappertutto giacobini. Nel 1806 l'imperatore Napoleone fece cacciare da Napoli il Ferdinando, e innalzò a quel trono suo fratello Giuseppe Bonaparte, che assunse il semplice titolo di re di Sicilia; allora Ferdinando riparò una seconda volta in Palermo, ma vi fu accolto con freddezza e riserbo dai siciliani, i quali erano indignati per le crudeli repressioni avvenute. Il re dimorò quindi in Palermo per nove anni sotto la protezione degli Inglesi; da questa città nel 1808. Apprese la notizia che Napoleone poneva il fratello Giuseppe sul trono di Spagna, e dava quello di Napoli a Gioacchino Murat; in Palermo egli sempre in attesa di nuovi eventi, poneva speranza di riacquistare con le forze della sola Sicilia il regno di Napoli. Egli e la regina Maria Carolina, sovrani dispotici e crudeli, durante la loro permanenza in Palermo, rinfocolarono sempre più il rancore dei Siciliani: si appropriarono dei capitali del Monte di Pietà e del denaro depositato dai cittadini nel banco di Palermo, arricchendone i napoletani che essi avevano condotti seco, e soltanto a napoletani conferirono cariche, onori, pensioni, e perfino tentarono di annullare la deliberazione presa dai Siciliani in Parlamento, nel 1810, di abolire i donativi e di istituire invece di questi un dazio del cinque per cento su tutte le rendite di ogni cittadino abbiente, ma non ebbero la forza di commettere anche tal sopruso.

Le estorsioni e le violenze perpetrate dai Borboni in Sicilia continuarono quindi nei 1811: da una parte il sovrano si appropriò indebitamente di tutti i beni degli ecclesiastici e dei Comuni, i quali beni furono messi in vendita, e come se ciò fosse poco si impose d'altra parte un novello tributo senza consenso del Parlamento: fatto nuovo in Sicilia, per il quale si stabilì il dazio dell'un per cento sopra tutti i pagamenti di qualunque natura; quindi fece arrestare in Palermo ed imprigionare quei cinque baroni che osarono protestare contro quegli abusi di potere; tutto ciò inasprì il popolo e ne accrebbe l'odio contro la dinastia regnante. Né la tracotanza dei Borboni si fermò a tal punto ma andò ancor oltre: essi dall'avversione che già da qualche tempo avevano manifestato contro gli Inglesi dimoranti in Palermo passarono al disprezzo e agli insulti coi quali risposero alle giuste querele di quelli; ed allora l'Inghilterra mandò una prima volta in Palermo lord Guglielmo Bentinck quale plenipotenziario, perché si ponesse riparo alle offese ed alle ingiustizie, ed una seconda volta quale capitano generale di un armata che fu inviata insieme con lui. Quando il Bentinck, avendo trovato una ripulsa ad ogni sua richiesta in favore dei Siciliani, fu pronto alla minaccia di mettere mano alle armi, la viltà dei Borboni fu manifesta: essi, dimessa la loro alterigia, implorarono clemenza; il re nominò il principe ereditario, Francesco I, suo vicario plenipotenziario, e permise che in Palermo si riunisse il Parlamento e dettasse una costituzione a somiglianza della inglese.

Riunitosi il Parlamento dal giugno al novembre del 1812, i baroni siciliani in solenne adunanza proclamarono l’indipendenza della Sicilia, abdicarono spontaneamente quei pochi diritti feudali che loro restavano, abolirono perfino i nomi di feudi, e i Comuni dichiarati tutti eguali in diritto. riacquistarono la rappresentanza in Parlamento: a questo fu riservato il potere legislativo, al re quello esecutivo, gli ordini giudiziari furono migliorati si organizzò una milizia contro i briganti per la sicurezza delle strade rurali. Compiutasi in tal modo la riforma costituzionale, Palermo era festante e più bella e rigogliosa appariva mentre l’Inghilterra vi spendeva tesori per il mantenimento di presidi e di flotte, in tempo in cui l'attenzione dei sovrani alleati contro il potente Napoleone era rivolta a quest'isola centro strategico del Mare Mediterraneo. Poiché Gioacchino Murat fu vinto dagli Austriaci. contro i quali aveva mosso le armi, Ferdinando IV approfittando del momento opportuno rientrò in Napoli, e ne occupò il trono: ciò avvenne nel maggio del 1815. Poco dopo, il 18 giugno, mentre il Murat si preparava a ritornare in Napoli, Napoleone Bonaparte cadeva a Waterloo, e per sempre; quindi i rappresentanti delle potenze della Santa Alleanza riuniti a congresso in Vienna confermavano il Regno delle Due Sicilie a Ferdinando che mutò il titolo di IV in quello di I. Dal normanno Ruggiero sino a Ferdinando III, per ben sette secoli, nessun re di Sicilia, tranne l'usurpatore Carlo d'Angiò. aveva mai osato assumere il titolo regale in quest'isola, senza farlo riconoscere in Parlamento dai Siciliani sempre gelosi della loro indipendenza e senza giurare con contemporaneamente l'osservanza delle leggi del regno; ma il dispotico Ferdinando I osò questo ed anche più: appena rassicurato sul trono egli, spergiuro, sospese la costituzione Siciliana del 1812, e mediante due decreti emanati 1’8 e l’11 dicembre del 1816 ridusse la Sicilia a far parte del Regno, cancellando quest'isola dal novero delle nazioni, spogliandola di tutti i diritti legislativi e politici, promulgò una legge organica per la divisione amministrativa e giudiziaria, costringendo i Siciliani a subire gli ordini dell'amministrazione accentrata in Napoli e a rinunziare ai loro privilegi, alle loro leggi, alla loro bandiera, sottoponendoli quindi innanzi a tutte le vessazioni inventate da Napoleone, cioè alla coscrizione militare, alla carta bollata, alla tassa su registro e ad altre siffatte gravezze angariche. In tal modo il Regno di Sicilia, che per sette secoli aveva avuto una costituzione, scompariva per la violenza di Ferdinando, e veniva frazionato in sette provincie dipendenti da Napoli. L’indignazione degli isolani, spogliati di tutti i loro diritti e oppressi fu al colmo, e l'odio non ebbe limiti contro quel Borbone il quale, per la garanzia dei potenti che nel Congresso di Vienna lo avevano rimesso sul trono, se ne stava sicuro, ma l'unione dei governi per soffocare i diritti dei popoli, dette origine alle unioni segrete dei popoli per rovesciare i governi, e così la Carboneria dal suo centro che era il Napoletano, trovò largo campo di espansione in Sicilia. Quivi il sentimento nazionale si fece sempre più vivo, il risentimento contro il tiranno s’inasprì per le continue e sempre nuove vessazioni del ministero napoletano, finché nel 1820, i Siciliani, allo scoppiare della rivoluzione in Napoli, si levarono in armi per rivendicare i loro diritti. I Palermitani combatterono sperando allora di separare l'isola dal Regno e di risorgere a libertà, elessero una Giunta di governo provvisorio, e mandarono una deputazione in Napoli per. domandare 1'indipendenza della Sicilia.

Ma il tentativo dei Palermitani non fu seguito da prospero successo, perché si ebbero una promessa a voce dallo spergiuro Ferdinando, la quale fu tosto smentita dai fatti: il 15 settembre furono mandati in Sicilia l0000 uomini condotti dal generale Florestano Pepe, e poiché questi venne a patti coi Palermitani, fu richiamato, e invece di lui s’inviò il generale Colletta che si mostrò più severo. Quindi il Parlamento napoletano dichiarava Messina capitale della Sicilia ridestando l'antica rivalità tra le due primarie città dell’isola e causando una divisione delle forze degl'isolani. I sovrani d’Austria, Russia e Prussia, i quali nel 1815 avevano fondata la Santa Alleanza per mantenere l'assetto politico dato all’Europa nel Congresso di Vienna, mandarono un esercito austriaco in Napoli e riuscirono a rassicurare sul trono il Borbone (1821); tosto inviarono in Sicilia un distaccamento di 6000 uomini, che s’impadronì di Palermo, e ne affidò il governo a un luogotenente generale. Nel 1825 a Ferdinando I successe il figlio Francesco I; questi venuto a morte nel 1830, lasciò il trono a Ferdinando II, il quale mandò in Sicilia ad assumere la carica di luogotenente generale suo fratello Leopoldo principe di Siracusa. Allora corse qualche anno meno triste per i Siciliani sino al 1835, manifestandosi un risveglio nella vita pubblica, un nuovo rigoglio delle 1ettere e delle scienze sociali; ma ben presto sopravvennero nuove sventure: nel 1837 il colera spegneva in Palermo, nel breve decorso di un mese o in poco più, le vite di 24000 abitanti; nel seguente ano 1838 il peso del dominio Borbonico si faceva sentire più grave con nuove disposizioni per le quali si voleva rendere sempre più uniforme lo stato, si volevano accomunare i due regni, trascurandosi gli interessi o il decoro della Sicilia. I Siciliani si sollevarono; il ministro Del Carretto cercò reprimere la rivolta nel sangue e spezzare le forze separando gli animi dei Siciliani. Ma le sventure affratellano gli uomini e le città. sicché il governo non riuscì a tenere divise quelle di Sicilia; che anzi sempre più si sentivano unite Palermo e le città sorelle dell'isola nei grandi dolori causati dalla tirannide, e quindi nel prepararsi alla riscossa. La cittadinanza di Palermo il 12 Gennaio 1848 dopo aver lanciato per quel giorno la sua sfida al tiranno insorse percorrendo le vie al grido "Viva la Costituzione del 12!". Incominciò la lotta che durò continuata tutto un mese tra la pioggia di bombarde lanciate dai soldati del Borbone e i combattimenti sanguinosi, destandosi la rivolta in tutta l'isola, manifestandosi novellamente quell’ardimento e quell'accordo che aveva reso celebri i Siciliani nella rivolta dei Vespri. Allora il Governo provvisorio di Palermo, presieduto da Ruggiero Settimo, dichiarò il 3 di febbraio, che i Siciliani non avrebbero deposto le armi prima che il Parlamento si riunisse e adattasse la costituzione alle circostanze; poi, convocatosi il Parlamento fu deposto Ferdinando II ed eletto re Ferdinando, duca di Genova. Questo principe però non volle accettare la corona offertagli; poco dopo il Borbone mandò in Sicilia un’armata, la quale riuscì a prendere Catania e poi Siracusa: il 29 aprile 1849 anche Palermo cedette. Seguirono poi undici anni di stato di assedio, di esilii e di condanne ed esecuzioni capitali con cui il Borbone sperava distruggere la cospirazione che si ordiva contro di lui. Nel 1859 incominciava la guerra italo-franca contro gli Austriaci dominanti nel Lombardo-Veneto, e al primo ripercuotersi dello armi Ferdinando si ammalava e il 22 maggio periva presentendo la prossima rovina della dinastia Borbone. Breve e travagliato fu il regno del successore Francesco II. Dopo le grandi battaglie di Magenta, di Palestro e di San Martino, il 4 aprile 1860 i congiurati Siciliani, ai rintocchi della campana della Gancia, si levavano in armi, combattevano né a frenarli bastarono gli sforzi dei Borbonici. La mattina dell’11 maggio 1860 avveniva lo sbarco di Garibaldi e dei suoi Mille a Marsala, e ne giungeva vaga notizia ai rappresentanti del Borbone in Palermo, ma con certezza veniva appresa dai patrioti, i quali, rincuorati e pieni di entusiasmo per l'approssimarsi di Garibaldi, ne attesero la venuta. L’esercito dei Garibaldini si ingrossò lungo la marcia verso Palermo: molti volontari o picciotti di Marsala, Trapani, Calatafimi, Castelvetrano, Salemi ne aumentarono le file; il 15 maggio il Garibaldi essendo pervenuto insieme con le squadre del La Masa presso il monte detto Pianto dei Romani in quel di Calatafimi attaccò il nemico e sostenne una memoranda battaglia; poi si avviò per la via di Misilmeri e di Gibilrossa alla volta di Palermo, e in questa città finalmente irruppe con le sue milizie il 27 maggio, preceduto dal maggiore Tuckery, che perdette la vita, dal La Masa, da Nino Bixio e seguito dal Carini. Palermo, benché fosse occupata da 24000 soldati borbonici, i quali nelle prime 24 ore dal solo Castello scagliarono 2600 bombe sulla città, fu redenta a libertà dai Garibaldini: il 29 il generale napoletano Lanza domandò un armistizio, che fu concluso con Garibaldi nel palazzo municipale il 31, e allora la Banca fu consegnata a Francesco Crispi che vi trovò 5 milioni e mezzo di ducati sonanti, dei quali soltanto 200000 appartenevano allo Stato e il resto erano depositi di privati. Il 6 giugno Garibaldi permise che i 20000 soldati borbonici sopravvissuti si partissero poco alla volta per Napoli, e finalmente il 20 giugno Palermo fu in potere del dittatore Giuseppe Garibaldi che trasportò il suo quartiere generale nel palazzo Reale. I Palermitani stanchi di combattere, in mezzo a case incendiate o crollanti e a cadaveri di cittadini, sentivano pero di essersi finalmente liberati dal giogo pesante ed odiato dei Borboni, che a lungo era pesato su di loro; e ai 21 di ottobre poiché appresero la rovina dei governi dispotici d'Italia, non esitarono a votare con entusiasmo la loro unione politica ai resta della Nazione Italiana, immolando tutte le aspirazioni e i voti tradizionali d'indipendenza della Sicilia. Ma, se dopo la rivoluzione del 1860 Palermo non è tornata ad essere il centro di una politica autonoma della Sicilia, non vi è dubbio che questa città è rimasta ancora il centro dove le forze principali dell'isola convergono e si fecondano e si svolgono.

 

S. Maria dell’Ammiraglio e Martorana, SS. Apostoli Pietro e Paolo, Sant’Agata la Guilla, Sant’Agostino, Sant’Anna, Sant’Andrea degli Aromatari, Annunziata, S. Antonio di Padova, S. Antonio Abate, S. Biagio (convento), Del Carmine, Cattedrale, Capppella Paladina, S. Carlo, S. Maria della Pace (convento dei Cappuccini), S. Caterina, S. Chiara, Collegio di Maria Castiglia al Carmine, Consolazione, Santi Cosma e Damiano, S. Croce, Crociferi, Crocifisso all’Albergheria, SS. Crocifisso dei Murati, Santi Crispino e Crispiniano (Oratori), Maria Santissima della Cintura (Confraternita), Compagnia dei Bianchi, S. Cristoforo (Oratorio), Ex Conservatorio delle Croci, S. Demetrio, S. Domenico, SS. Ecce Homo, S. Eligio degli Argentieri, S. Eulalia dei catalani, S. Francesco di Paola, S. Francesco di Sales, S. Francesco D’Assisi, S. Francesco Saverio, Gesù Casa Professa, S. Gioacchino, Giuseppe dei Teatini, S. Gregorio, Giorgio in Kemonia, Giorgio dei Genovesi, S. Giosafat, S. Giovanni Battista della Kalsa, S. Giovanni dei Napoletani, S. Giovanni degli Eremiti, S. Chiara Assunta, S. Giovanni l’Origlione, La Guilla, S. Giuseppe dei Falegnami (Oratorio), S. Ignazio all’Olivella, Immacolata, Immacolata (oratorio), S. Ippolito, S. Maria degli Angeli o di (Baida), S. Maria degli Angeli o (Gancia), S. Maria degli Agonizzanti, Del Cancelliere, S. Maria della Catena, Madonna delle Grazie, S. Maria dei Miracoli, Madonna della Provvidenza, Madonna del Soccorso(Detta la Mazza9, Madonna di visita Poveri, S. Maria la Nuova, S. Maria di Gesù al Capo (oratorio), S. Maria delle Grazie ai Calderari (oratorio), S. Maria di Portosalvo, SS. Nome di Maria e S. Anna, S. Maria delle Vergini, S. Maria della Vittoria, S. Maria della Volta, S. Massimiliano in S. Cita, S. Cita, Rosari di S. Cita (oratorio), S. Matteo, Mercede al Capo, S. Mercurio, S. Michele Arcangelo, dei Miseremini, S. Maria di Piedigrotta, S. Maria della Pietà (Monastero), Ex Monastero di S. Maria Valverde, S. Maria di Monte Oliveto, S. Maria di Monserrato, S. Nicolò Lo Gurgo, S. Nicolò Tolentino, S. Ninfa dei Crociferi, S. Onofrio, Dame al ponticello (oratorio), S. Elena e Costantino (oratorio), S. Lorenzo, Maria SS. di tutte le Grazie (oratorio), Montesano a Boscogrande, S. Stefano alla Zisa, S. Nicolò all’Albergheria, Monastero della Concezione, S. Giovanni Battista (oratorio), Filippine al Papireto (Monastero), SS. Rosario della Chiesa di S. Domenico (oratoio), Sacra Cera al Ponticello (oratorio), Sabato a casa Professa (oratorio), Santa Maria della Pinta, S. Orsola, Parocchiale Borgata Settecannoli, Quattro Coronati, 40 Martiri al Casalotto, 40 Martiri Pisani, S. Pietro Martire, S. Paolino di Nola (oratorio), S. Silvestro, S. Sofia, S. Spirito, S. Stanislao al Noviziato, S. Stefano, S. Teresa alla Kalsa, I Tre Re, Trinità dei Brunaccini, Oratorio di S. Venera, Chiesa delle Vergini, Galleria d’arte Moderna, Palazzo Reale, Quattro Canti, Villa Paino, Villa Whitaker, Porta di Mazara, Istituto Statale d’arte, galleria Regionale Sicilia, Galleria Regionale Sicilia, Chiesa della madonna del Lume, Chiesa della Madonna del Lume, S. Nicolò dei Greci, S. Lucia in Valverde, Oratorio S. Nicolò Reale, Chiesa della Trinità della Magione 115, Chiesa della Madonna della Pietà, Chiesa della Madonna della Pietà,Chiesa dell’albergo dei poveri, Oratorio di S. Alberto, Cappella Chiaramonte, Cappella della Soledad, Cappella della Zisa, Cappella di S. barbara, Chiesa di S. Cataldo, Chiesa di S. Caterina di Alessandria, Chiesa di S. Cristina, Chiesa di SS. Elena e Costantino, Chiesa di S. Eulalia dei Catalani, Oratorio del Giardinello, S. Giovanni dei Lebbrosi, S. Giovanni dei Gerosolimitani, Chiesa dei S. Giuliano Euno, Oratorio di S. Lorenzo, Chiesa di S. Luigi, Chiesa della madonna dell’Itria o della Pinta, Chiesa di S. Marco, S. Maria dei rimedi, S. Maria di Giusino, Chiesa S. Maria della Grotta, S. Maria della Speranza, Chiesa di s. Maria del Piliere, Chiesa di S. Maria di Gesù, S. Maria di Montevergini, S. Maria Maddalena, Oratorio di S. Giuseppe dei falegnami, S. salvatore, Chiesa di S. Sebastiano, SS. Quaranta Martiri alla Guilla.

VILLE. Baglio Calvello (portale del baglio con motivi Barocchi), Collegio Romano Guggino o Oliveri secolo XVII-XVIII – Colli (manieristico portale esterno), Palazzina Cinese o Real Casina dei Colli- Venanzio Marvuglia secolo XiX (mobili sete e spogliatoio in stile pompeiano, saletta di ricevimento in stile turco), Villa Adriano Casaro secolo XVIII-Colli (salone afffrescato da V. D’Anna, prospetto con ornati in stucco), Villa Airoldi secolo XVIII affreschi del pittore neoclassico G. Crestadoro, Villa Amari di S. Adriana secolo XVIII- Cardillo (Statua di S. Rosalia di Giacomo Serpotta nella cappelladella villa, decorazioni in stucco, portale decorato, pavimento in maiolica con stella),Villa Anfossi secolo XVIII, Villa Arcuri secolo XVIII, Villa Aspra secolo XVIII, Villa Atenasio secolo XVIII- Piana dei Colli, Villa Auria secolo XVIII- villabate, Baglio Cassara secolo XVIII- Stradone Monreale (due interessanti portali di accesso al cortile), Villa Belmonte all’Acquasanta Architetto V. Marvuglia secolo XIX (decorazioni esterne romane-greche, saloni fregi monocromati con soggetti mitologici di gusto classico), Villa Belmonte alla Noce Architetto fra Felice (marvugliano) – Corso olivuzza (decorazioni neoclassiche), Villa Bonocore Maletto secolo XVIII- Colli, Villa Bonvicino Turrisisecolo XVII – Passo di Rigano (Portale settecentesco), Villa Borsellino secolo XVIII – Località Petrazzi, Villa Boscogrande secolo XVIII – Colli (affreschi all’interno, nella facciata formelle in stucco raffiguranti le Stagioni e il Fastigio), Villa Bruccia secolo XVIII, Villa Bonocoro o Amari Maletto secolo XVIII- Località Margiferaci ( finestra gaginesca, fontana marmorea, stemmi sul balcone fontana sul portale), Villa Carbone secolo XVIII – Partannna, Villa Cardillo secolo XVIII – Colli, Villa Castelfortesecolo XVII – Colli, Villa Castelnuovo Architetto A. Gentile secolo XIX – Colli (statua della Musica di I. Marabitti, padiglione neoclassico, piloni sormontati da allegorie attrezzi agricoli), Villa Castrofilippo secolo XVIII – Colli, Villa Castrone secolo XVI – Pagliarelli (soffitti lignei a motivi rinascimentali), Villa Certobi secoloXVII-XVIII – Località Petrazzi (portale decorato con rari motivi romboidali), Villa Cesaro secolo XVIII – Mezzo Monreale, Villa Conte Federico secolo XVII – Ciaculli, Villa Crifeo Graffeo secolo XVII – Falsomiele, Villa Crisafi o Cavarretta secolo XVIII - San Lorenzo, Villa De Gregorio secolo XVIII – Località Petrazzi ( affreschi del Cofee House del Piano nobile, a piano terra affreschi a trompe l’oeil di un soffitto raffigurante un solaio di pagliaio, decorazioni esterne in stucco), Villa De Cordova secolo XVII – Piano dei Colli (all’interno resti di affreschi, fastigio), Villa De gregorio secolo XVII – Villagrazia, Villa De Simone secolo XVII – Colli (soffitti lignei con decorazioni pittoriche9, Villa De Spuches secolo XVII- Contrada Molara, Villa Di Matteo secolo XVIII – Colli, Villa Favarolo Di Stefano G. B. Filippo Basile secolo XIX

(affreschi), Villa Federico secolo XVII – Contrada Favara (volte decorate con affreschi, soffitto ligneo dipinto), Villa Fernandez secolo XVII- Villagrazia (portale manieristico sormontato da sculture), Villa Ferreri secolo XVIII – Colli pitture Pompeiane nelle volte), Villa Filangeri secolo XVII – Santa Flavia, Villa Filippina secolo XVIII- Piazza S. Francesco di Paola (porticato affreschi di V. D’Anna e di A. Manno, medaglione marmoreo scolpitoda I. Marabitti, fontana di G. Vitaliano), Villa Florio 1899-1900 E. Basile – Viale regina Margherita, Villa Gallidoro 1892 E. Basile – Via delle Croci (decorazioni interne di E. Basile), Villa Geraci secolo XVII – Colli, Villa Grifotta secolo XVII . Boccadifalco, Villa Lanterna secolo XVII – Acquasanta, Villa Larderia secolo XVII – Romagnolo, Villa Lo Giudice Pecoraro secolo XVII – Falsomiele, Villa Luparello secolo XVII – Baida, Villa Malfitano Architetto Ignazio Greco secolo XIX – via Dante (preziosi oggetti d’arte), Villa Maniscalco o Procida secolo XVII – Favorita (fastigio con stemma dei Procida), Villa Marrafea secolo XVII – San Lorenzo, Villa Malvagno secolo XVII – Borgata Palaavicino, Villa Mango o Roccapalumba secolo XVII- Colli (portale manieristico), Villa Mercadante Baglio Lagumina secolo XVII – Colli ( mezzobusto di prelato raffigurante cardinale Lagumina), Villino Moresco inizi secolo XIX – via Messina, Villa Montalbo al Molo secolo XVIII (decorazioni e affreschi tardo settecenteschi), Villa Molne di sotto secolo XVII – Ciaculli, Villa Merlo secolo XVII- Fcarazzelli, Villa Mortillaro Arenasecolo XVII- Colli, Villa Molllica Politi secolo XVII – Colli, Villa napolitani o Imbornone secolo XVII – Resuttana, Villa Natale secolo XVII – Colli, Villa Olivella Rossi secolo XVII- Uditore, Villa Pandolfina secolo XVII- Colli, Villa Pantelleria secolo XVII – Colli (affreschi all’interno, decporazioni a stucco), Villa Parisi Villabianca, Villa Partanna secolo XVIII (portale secentesco),Villa Pietratagliata secolo XVII – Mezzomonreale, Villa Pietra Molara secolo XVII – Colli, Villa Raffo secolo XVII – Colli ( stanza da pranzo: pannelli affrescati di gusto Luigi XVI raffiguranti scene di caccia e di pesca, pavimenti maiolicati, soffitto dipinto a cassettoni), Villa Ranchibile Pandolfina Monroj A. E. Marvuglia secolo XIX – Colli (decorazioni nel cornicione e nei piloni), Villa Rossi secolo XVII – Tommaso Natale, Villa S. Antimo D’Isnello Lucchesi – via Claudio Monteverdi, Villa Salerno secolo XVIII- Corso Calatafimi, Villa S. Cataldo secolo XVII- Porticello, Villa Santa Croce Trigona secolo XVIII – Fondachello (affreschi all’interno, stemma famiglia Trigona), Villa Santa Domenica secolo XVII – Monreale(portale della cappella), Villa S. Isidoro secolo XVIII – Aspra, Villa Savona <(ex Marchesi Vannucci) Via S. Lorenzo (statue in stucco), Villa Scala secolo XVII – Falsomiele, Villa Scalea secolo XVII – Mezzo Monreale (affreschi architettonici, fontana con ornati barocchi e cariatidi in marmo), Villa Solanto secolo XVII – Rocca di Solanto, Villa Sperlinga secolo XVIII- Contrada Malaspina( decorazione interne attr. V. D’Anna F. Mannoe G. Fumagalli), Villa Spina secolo XVII – Colli (affreschi, fastigio maiolicato), Villa Spinelli della Scala secolo XVIII – Villagrazia (affresco di Vito D’Annna), Villa Tasca Macastra secolo XVI- Corso Calatafimi (pavimenti maiolicati figuranti), Villa Terrasini Resuttana secolo XVIII- Coll (affreschidi V. D’Anna e G. Fumagalli), Villa Trabia Campofiore secolo XVII- Trabia (fontana con macchia scenica di stile rococò), Villa Valdina secolo XVII (affreschi), Villa Valguarnera secolo XVIII – Valguarnera (stucchi, sculture che coronano il cornicione della villa, pavimento maiolicato, ingresso della cappella, acquasantiera, altare in marmo, crocefisso in agata e bronzo), Villa Valguarnera secolo XVII- Colli, Villa Verona secolo XVII – Piazza S. Lorenzo, Villa Ziino piazza Alberico gentili, Villa Zito Colluzio secolo XVII- tra Villabate e Ciaculli.

FONTANE. Acquario 1796 – Orto Botanico, Cavallo Marino Ignazio Marabitti fine 700 – Piazzeta Santo Spirito, Fontana 1722 – Piazza S. Francesco d’Assisi, Fontana Rosolino La Barbera 1855 – via Tirassegno, Fontana secolo XIX – Villa Bonanno, Fontana secolo XVIII- Palazzo Belmonte-Riso, Fontana presso Porta Felice, Fontana dell’Abbondanza I. Marabitti 1770 – Villa Trabia, Fontana dell’abbondanza Ignoto secolo XVII – Villa Tragliavia, Fontana con Bassorilievi secolo XVII- Palzzo in via S. Basilio, Fontana del Chiostro secolo XVI – S. Agostino, Fontana dei Cigni B. Civiletti secolo XIX Villa Giulia, Fontana circolare fine 700 – Via Lincoln, Fontana con conchiglie secolo XVII – S. Caterina D’Alessandria, Fontana a conca mistilinea fine secolo XVIII – Palazzo Cutò, Dea Mirthia secolo XVIII – Zisa, Fontana con delfino 1790 circa- Orto Botanico, Fontana dei Dragoni accanto al Maria Adelaide, Fontana ad edicola 1660 Ignoto- Monreale, Fontana ad emiciclo Ignoto - Monreale, Fontana con Ercole Farnese secondo 800 – Parco della Favorita, Fontana con figure allegoriche fine secolo XVIII- Palazzo S. Croce – S. Elia, Fontana del Garraffello Garraffello 1591 – Piazza Garraffello, Fontana del GarraffoPaolo Amato progetto 1698 – scolpita da G. Vitagliano – Piazza Marina, Fontana dl Genio I. Marabitti 1778 – Villa Giulia, Fontana del Genio Fluviale Ignoto fine 700- Villa Valguarnera – (Bagheria), Fontana del Glauco C. Camilliani secolo XVI- Chiostri Filippini, Fontana con Moschea secolo XVII – Cortile Casa Professa, Fontana con mostri marini secolo XVIII-XIX. – Casina Cinese, Fontana murale secolo XVII – Palazzo Arcivecovile,Fontana Nifeo secolo XVII- Palazzo Mirto, Fontana con orologio solare Atlantino di I Marabitti 1783 – Villa Giulia, Fontana Palazzo Reale Ignoto secolo XVII, Fontana con Paride Nunzio Morello 800 – Orto Botanico, Fontana del Pescatore I. Marabitti 1754 – La Rocca, Fontana di Piazza Alberico Gentile, Fontana di Piazza Indipendenza, Fontana di Portoslvo 1300-1400 – Chiesa di Portosalvo, Fontana Pretoria Michelangelo Nacherini e Francesco Camillari 1554-55, Fontana secolo XVIII – Palazzo Comitini, Fontana con puttosecolo XVIII – Palazzo Gangi, Fontana dei Quattro Canti Giuliano Lasso MarianoSmiriglio e Giovanni De Avanzato 1608-1620 tra Corso Vittorio Emanuele e via Marqueta, Fontana di S. Benedetto B. Pampillonia secolo XVII- S. Martino delle Scale, Fontana S. Giorgio fine secolo XVI- Palazzo Castrone (S. Ninfa), Fontana e sarcofago fine 700 – Orto Botanico, Fontana con sarcofago romano secolo XVIII – Palazzo Arcivescovile, Fontana con stemma secolo XVI – Palazzo Beccadelli, Fontana del Tritone M. Rutelli secolo XIX – Monreale, fOntana con Tritone e Ninfe secolo XVIII – Villa Tasca, Fontana con vasca polilobata secolo XIX – Villa Tasca, Fontana Piazza Rivoluzione.

PALAZZI. Casa del secolo XIV secolo XIV – Via Divisi (cortile Cannella), Casa del secolo XV Via Brancaccio (cortile La Rocca), Casa di Groffedo Martorana secolo XII – Via marqueta, Casa di Via S. Basilio casa medioevale con avanzi – Via Basilio 19, Casa Ingraiti secolo XIV (finestra bifora)- Via Marotta, Casa Medievale con avanzi di Torre Via S. Basilio, Convitto Nazionale Via Gerani Paternò- Csaena Grande Moncada – secolo XVII- Piana Colli (portale della cappellla di P. Amato), Istituto Agrario Castelnuovo secolo XVIII – Padiglione di A. Gentile, Loggia di S. Eulalia dei Catalani – Via Argenteria (finestre antiche), Palazzo secolo XVIII- Via S. Nicolò degli Scalzi (balconi a petto d’oca), Palazzetto Agnello Vicolo dei Pellegrini, Palazzetto delle Dogane XVI – Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Aiutamicristo secolo XV M. Carnalivari – Via Garibaldi, Palazzo Amari Bairdi secolo XIX- via S: Cristoforo, Palazzo delle Aquile secolo XV- trasformato secolo XIX- Piazza Pretoria, Palazzo Arago secolo XV- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Aragona Villafiorita secolo XVIII Via garibaldi, Palazzo Duca Archirafi secolo XVIII- Via Tavola Rotonda, Palazzo Arcivescovile secolo XV – Via Matteo Bonello, Palazzo Arcuri secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele, palazzo Artezzo secoloXX – Via Roma, Palazzo Artale secolo XVIII – Salita Artale, Palazzo Atanasio secolo XVIII – Piazzetta S. Sofia, Palazzo Airodi o Giardinelli secolo XIX – Via Mastrangelo, Palazzo Balsamo Via Marqueta, Palazzetto secolo XVIII- Via Sant’Agostino, Palazzo fine secolo XVIII – Via Vittorio Emanuele, 47, Palazzo secolo XVIII – Via Vittorio Emanuele 39, Palazzo Benforte Via Magnisi, Palazzo Bissana Via Lungarini, Palazzo Bonagia secolo XVIII – A. Giganti – Via Alloro, Palazzo Bongiordano Via del Bosco, Palazzo Bonocor secolo XVI – rifatto nel XIX secolo – Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Bordonaro secolo XVIII – Piazza Pretoria, Palazzo Bosco Principe di Valdini – secolo XVI – Via Bosco 21, Palazzo Brolo secolo XVIII- Via S: Nicolò all’Alberghiera, Palazzo Butera secolo XVIII – Via Butera 20, Palazzo Calvello secolo XVI (portale e balconi) – via Alloro 12, Palazzo Campofranco prima metà del secolo XIX – Piazza Croce dei Vespri, Palazzo Canitello Via Alloro, Palazzo Capaci secolo XVIII (portale) – Via Lungarini 4, Palazzo Capani secolo XVIII – Piazza Malaspina, Palazzo Carini secolo XIX – Corso Vittorio Emanuele, Palazzo della Cassa di Risparmio E. Basile – secolo XX – Piazza Cassa di Risparmio, Palazzo Castellana Via Venezia, Palazzo Castelluccio secolo XVIII- Via dei Giovenchi, Palazzo Castrofilippo secolo XVIII – Via Alloro 64, Palazzo Castelnuovo Vicolo Castelnuovo, Palazzo Castrone Santa Ninfa secolo XVI G. Giacalone -Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Catania - Via Paternostro, Palazzo cattolica secolo XVII- attribuito G. Amato – Via Paternostro 48, Palazzetto Cesarò secolo XIX- Corso Calatafimi 190. Palazzo Cesarò secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Chiaramonte detto "Steri" secolo XIV – Piazza Marina, Palazzo Barone Coglitore Architetto Marvuglia -Via Sebastiano 6, Palazzo Coglitore Architetto Mrvuglia1784- Piazza Fonderia 40, Palazzo Colnago secolo XVIII- Vicolo Muzio 12, Palazzo Conti di Capaci (avanzi architettonici secolo XVI) via Alloro 97, Palazzo Comitini secolo XVIII- Via Maqueda 100 (sede della Prefettura), Palazzo Costantino secolo XVIII – A. Giganti e V. Marvuglia – Via Marqueda 217, Palazzo Graco Via Lungarini, Palazzo Cutò secolo XVIII- G. Amato Via Maqueda, Palazzo Damiani secolo XX- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo D’Angiò Gioeni Petrulla secolo XVIII- Via Torremuzza 6, Palazzo Dara Via Jannello, Palazzo del Bono Via Maqueda, Palazzo del Gugno Via Lungarini, Palazzo Denti di Piraino (poi Calderoni di Baucina poi Fatta del Bosco) secolo XVIII – Piazza Marina 19, Palazzo De Spunches secolo XVIII – Via della Reggia Zecca, Palazzo della Commedia (Schettina dei Cavalieri di Malta) Via dell’Albergaria, Palazzo Barone di Maggio Via Maqueta, Palazzo di Maria fine secolo XIX – Corso Vittorio Emanuele, Palazzo di Salvo Via Lincon, Palazzo Duchessa delle Grazie Via Cavour, Palazzo della Favara o di Maredolce Via E. Giafar, Palazzo dei Conti Federico secolo XVIII- Via dei Bisconti, Palazzo delle Ferrovie secolo XX – Via Roma, Palazzo e Treatro Biondo secoloXX – Via Roma, Palazzo e Villa D’Orleans Piazza Indipendenza 21, Palazzo Fatta secolo XVII- Via Marqueda, Palazzo Ferruzza Via Lincoln, Palazzo Fici secolo XVIII- Corso Calatafimi 89, Palazzo della Finanze E. Palazzotto –secoloXIX- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Fiume Torto Piazza S. Nicolò 8, Palazzo Florio secolo XIX – Piazza S: Giacomo alla Marina, Palazzo Forcella poi Baucina secolo XIX – Via Foro Umberto, Palazzo Fortunato secolo XV- Via Celso 23, Palazzo Gaetani secolo XVII- Corso Vittorio Emanuele 480, Palazzo Galati V. Marvuglia- Via Ruggiero Settimo, Palazzo Galletti XVII – Via Alloro, Palazzo gallidoro Via Marqueta 148, Palazzo Gangi secolo XIX- Via dei Bottai, Palazzetto gazzini fine secolo XVIII – Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Giardinelli Via Divisi, Palazzetto Gran Montagna secolo XIX- Corso Vittorio Emanuele 249, Palazzo Grassellini secolo XVIII- Via Marqueta 331, Palazzo Grasso Vermengo Via Iudica, Palazzi Gravina di Palagonia secolo XIX – Corso Calatafimi 631, Palazzo Isnello secolo XIX – Corso Vittorio Emanuele / Via Isnello 10, Palazzo Greco secolo XIX – Piazza Marina, Palazzo Jannello Via Alloro, Palazzo Barone Judica secolo XVIII –Via Marqueda, Palazzo del Duca La Motta Via Cappuccinello, Palazzo Lamped8usa secolo XVI- Via Lampedusa, Palazzo Lampedusa secolo XVI – Via Lampedusa, Palazzo Lampedusa secolo XVIII- Via Butera 26, Palazzo Lanza Via Lincoln, Palazzo Larderia Via Villa Larderia – secolo XIX, Palazzo La Rosa Via Alloro, Palazzo Linguaglossa Piazza S. F. d’Assisi, Palazzo Lo Mazzarino secolo XV- Piazza Garaffello, Palazzo Lungarini secolo XVIII- Via Lungarini, Palazzo Majone secolo XVIII- Via del Celso 31, Palazzo Maletto secolo XVIII- Via dei Giovenchi Via Maletto 3, Palazzo Malvagno secolo XVIII – Via Montesano 34, Palazzo Marchesi XV- Piazza Santissimi 40 Martiri, Palazzo Marra secolo XVIII – Via Celso 95, Palazzo Mortillaro secolo XVIII- Via dell’Albergaria, Palazzo Matrtinez Via Butera 42, Palazzo Maurici Via Maqueda, Palazzo Maurici Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Merlo secolo XVI- Via Merlo 20, Palazzo Mezzojuso secolo XVII – Via Divisi, Palazzo Milazzo secolo XIX- Corso Vittorio Emanuele 65, Palazzo Mirto secolo XVIII- Via Lungarini, Palazzo Monterosato secolo XVIII- Via Garibaldi 26, Palazzo Monumentale Via Libertà 55, Palazzo Napoli secolo XVIII- Via Maqueda 321, Palazzo Napolitano ignoto fine secolo XVIII- Via Isnello 10, Palazzo Naselli Flores secolo XVIII- Via Garibaldi 84, Palazzo Natoli ignoto 1765 – Corso Vittorio Emanuele 388, Palazzo Niscemi secolo XVI- XVII- Via Squarcialupo 8, Palazzo Oliveri secolo XVIII- Via dei Bottai 8, Palazzo Sede Provinciale Opere Pubbliche Piazza Verdi, Palazzo Osca D’Angiò (Montalbano) secolo XVIII- Via Bandiera 24, Palazzo Ospedale dei bambini Piazza Montalto, Palazzo Oneto secolo XVIII- Via Bandiera 24, Palazzo Pace ignoto Fine secolo XIX- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Palagonia Vicolo Palagonia, Palazzo Palagonia secolo XVIII (portali e balconi) – Via 4 Aprile, Palazzo Palmeri Villalba Foro Umberto, Palazzo Pandolfina Via Alloro, Palazzo del Principe di Pantelleria secolo XVIII- Piazza G. Meli 5, Palazzo Principe Santa Margherita secolo XIX –ignoto- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Patella (o Abatellis) fine secolo XV- Via Alloro, Palazzo Paternò secolo XX – Antonio Zanca- Via Roma Piazza San Domenico, Palazzo Pecoraro Francavilla secolo XVIII – Rifatto da E. Basile- Via R. Settimo, Palazzo Perez - Via Maqueda, Palazzo Pietratagliata secolo XVI (1573) – Via Bandiera, Palazzo Pilo Gioiemi oggi Albergo Vittoria – Via Bandiera, Palazzo Pirajno- Via Garibaldi, Palazzo Poieroe – Palazzo Niscemi secolo XVI – Via Butera, Palazzo Raccuglia - Corso Vittorio Emanuele 241, Palazzo Raffadali secolo XV-XVI-XVIII- Via G.M. Puglia, Palazzo Ramacca secolo XVIII – Via del Garraffello 25, Palazzo Rebecchini – Via Maqueda angolo Via Bosco 12, Palazzo Riso 1780-1784 – G. VenezianoMarvuglia – Corso Vittorio Emanuele 365, Palazzo Rizzo Via Lincoln 67, Palazzo Roccella fine secolo XVI- Corso Vittorio Emanuele 137, Palazzo Marchese Roccella Corso Vittorio Emanuele 125, Palazzo Sambuca Tagliavia secolo XVIII- Via Alloro 32, Palazzo Sammartino (Ramondetti) secolo XVI- XVII – Piazza Patania 54, Palazzo Sampieri Via Divisi, Palazzo S. Cataldo secoloXVI – Via Palagonia 16, Palazzo S. Croce Sant’Elia o Trigona inizi secolo XVIII – Via Maqueda, Palazzo Sant’Elia secolo XVIII – Via del Bosco 18/Piazza Rivoluzione 37, Palazzo S. Elisabetta secolo XVI – Via Bosco, Palazzo o Casa S. Ferdinando Tardo Medioevale – Via del Pappagallo 2, Palazzo S. Gabriele Vicolo S. Gabriele, Palazzo S. Giuseppe secolo XIV – secolo XVII- Via S. Agostino 31, Palazzo ed Arco S. Isidoro secolo XVI-Via S. Agata alla Guilla, Palazzo S. Lorenzo (di Oneto) secolo XVI – Via Bosco 47, Palazzo S. Marina secolo XVIII- Via del Celso 21, Palazzo S. Onofrio del Castillo Salita dell’Intendenza, Palazzo S. Rosalia secolo XVI- Via Cappuccinelle, Palazzo S. Rocco via Maqueda 324, Palazzo S. Vincenzo Via del Celso, Palazzo Scavuzzo secolo XVI- Piazza Rivoluzione, Palazzo Sciara Via Sciara (Via Bandiera 36), Palazzo Principe Scordia Mazzarino secolo XVIII- Via Maqueda, Palazzo Simone Francesco Via Coltellieri, Palazzo Sorci tardo secolo XIX su preesistenti fabbriche- Corso Vittorio Emanuele 364, Palazzo Speciale o Raffadali secolo XV (1468)- Piazzetta Speciale, Palazzo Speciale (già Natoli) affreschi di V. D’Anna nei soffitti – 1765-17666- Via SS. Salvatore 29, Palazzo Statella Via Roma, Palazzo Tagliavia Tardo Barocco- Corso Vittorio Emanuele 143, Palazzo Tasca di Cutò secolo XIX – Via Lincoln 143, Palazzo Testa -Ignoto fine secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Trabuco secolo XVIII- Via dei Bottai 22, Palazzo Tramontana secolo XIX – Via Roma / Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Turrisi fine secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele 431, Palazzo Turrisi Colonna secolo XVIII- Via Maqueda, Palazzo Ugo delle Favarre inizi secolo XVIII – Piazza Bologni, Palazzo Utveggio G. Basile 1899-1901- Via XX Settembre 62, Palazzo Valdina – Ignoto seconda metà secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Valguarnera Ganci secolo XVIII- Piazza Crioce Vespi, Palazzo Vanni – ignoto fine XIX su impianto settecentesco – Vicolo Marotta 32, Palazzo Marchese Vannucci secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Ventimiglia secolo XVIII- Via del Bosco 32, Palazzo Vermagallo secolo XVIII- Via Vermagallo, Palazzo Villafranca secoloXVIII- Piazza Bologni, Palazzo Viola secolo XVIII- Corso Vittorio Emanuele, Palazzo Withaker secolo XIX (1885) Herny Christian – Via Cavour, Palazzo Wolleb secolo XVII – angolo Via Principe S. Giuseppe e via S. Agostino, Palazzo Zingone secolo XVII (facciata) Via Lincoln 49.

UOMINI ILLUSTRI PALERMITANI

Grande è stato il numero dei Palermitani che hanno acquistato rinomanza nelle armi, nelle scienze, nelle lettere, nelle arti ecc. Durante il secolo XIII bella fama di poeti nella corte dell'imperatore Federico II in Palermo i seguenti: Enzo, figlio dell'imperatore e re di Sardegna (n. 1223-m. 1272), Inghilfredo verso il 1240, Ruggerone e Ranieri. Allontanatisi gli Hohenstaufen da Palermo si trascurarono in questa città le lettere; soltanto nel secolo XV, venuto di moda l'umanesimo, si ebbero appassionati cultori dell’erudizione classica, tra i quali il palermitano Pietro Ranzano (n.1428-m 1492) autore d’una storia universale. Si rese illustre in quel tempo il benedettino Giuseppe Majali, uomo assai pio, benefattore della patria, il quale fondò nel palazzo Sclafani l’ospedale civico; poi, sul declinare del secolo, il valente pittore Pietro Ruzzolone soprannominato il Raffaello della Sicilia. Nel secolo XVI fiorirono Antonello Gaggini, celebratissimo scultore (n 1478-m. 1536) e i suoi figli Vincenzo, Giacomo e Fazio; Francesco Potenzano pittore e poeta (m. 1599); Luigi Eredia, poeta, oratore e filosofo (m. 1604); Giorgio Montisoro e Pietro Di Vita, vissuto quest'ultimo oltre il 1600, entrambi uomini d'arme valorosissimi. Nel secolo XVII i seguenti: Filippo Paruta, archeologo, che morì vecchio nel 1629; Mariano Valguarnera, storico ed erudito (n. l564- m1634); Carlo Maria Ventimiglia, matematico e geografo insigne (n. 1576-m. 1662). Lungo il secolo XVII si resero illustri i seguenti: Bernardino Masbel, storico e legista (n. 1618-m. 1697); Vincenzo Auria (n 1625-m. 1710), poeta, letterato, storico, che fu autore di una "Istoria cronologica dei Viceré di Sicilia dal 1409 sino al 1697"; Silvio Boccone, botanico (n. 1633-m. 1704); lo scultore Giacomo Serpotta (n. 1633-m. 1732) ;Gaetano Giulio Zummo, modellatore in cera (n. 1656 -m. 1701). Nel secolo XVIII vennero in fama: il matematico Benedetto Maria Castrone, Antonino Mongitore, erudito e storico (n. 1663-m. 1743), autore della "Bibliotheca Sicula", pregevole bibliografia che fu pubblicata in due volumi negli anni 1708 e 1714; il pittore Antonino Grano. (m. 1748); Anna Fortino, modellatrice in cera (n. 1673 - m. 1749); Domenico Schiavo, letterato, storico, archeologo (n. 1719-m. 1773); lo scultore Ignazio Marabitti (m. 1797); Salvatore Di Blasi, archeologo e paleografo (n. 1719-m. 1814); Giovanni Evangelista Di BIasi (n. 1720- m. 1812), istoriografo regio, autore di una "Storia di Sicilia dall'epoca oscura e favolosa sino al 1774" e di una "Storia cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia"; il pittore Vite D'Anna (n. 1720 -m. 1769); Francesco Maria Emanuele, marchese di Villabianca, instancabile raccoglitore di memorie patrie (n. 1720-m1802); Gabriele Lancellotto Castelli, Principe di Torremuzza, archeologo, autore di opere pregevolissime (n. 1727-m. 1792) l'architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia (n. 1729-m 1814); Francesco Tardia, versato nelle lingue orientali (n. 1732-m. 1778).; Tommaso Natale, marchese di Monterosato, poeta, filosofo e criminalista ,(n. 1733-m. 1819); il poeta dialettale Giovanni Meli, novelle Teocrito ed Anacreonte delle Muse Siciliane, caro a tutto il mondo civile (n.1740-m.1815). Altri in buon numero si resero illustri sul declinare del secolo XVIII e nei primordi del XIX; tra di essi i più celebri furono: l’astronomo Giuseppe Piazzi, nato a Ponte della Valtellina nel 1750, ascritto cittadino palermitano per lunga dimora e per elezione (m. 1827); il pittore Giuseppe Velasquez (n.1750-m 1827); il marchese Francesco Pasqualino (n. 1753-m. 1845), autore di un ricco vocabolario etimologico siciliano che si pubblicò in 5 volumi dal 1785 al 1795 in Palermo; Rosario Gregorio, giurista storico degli Arabi e degli Aragonesi (n. l753-m.1809); Carlo Cottone principe di Castelnuovo (n. 1756~m. 1829) fondatore di un convitto e di una scuola pratica di agricoltura che prendono ancor oggi il titolo di "Istituto Agrario Castelnuovo"; Federico Gravina, grande ammiraglio (n. 1756-m. 1805); il poeta dialettale Ignazio Scimonelli (n. 1757-m. 1831); Dom. Scinà, letterato e naturalista (n. 1765-in. 1837); Ignazio Dixitdominus (n. 1766-m.1837), fondatore dell'Istituto dei Sordomuti; il barone Pietro Psani (n.1766- m. 1837), fondatore e direttore del "Manicomio dei Porazzi". Fiorirono nel secolo XIX i seguenti: Salvatore Morso (n. 1766 m. 1828), professore di arabo, ebraico, greco, nella R. Università degli Studi, autore della "Descrizione di Palermo antico", pubblicata in 1° edizione nel 1825 e in 2° nel 1827; il pittore Vincenzo Riolo (n. 1772-m. 1837); l’architetto Alessandro Emanuele Marvuglia (m. 1845); lo sculore Valerio Villareale (n. 1777 - m. 1854); Ruggiero Settimo (n.1778- m. 1803), ministro di guerra e marina, proclamato padre della patria dal Parlamento Siciliano nel 1848, presidente del Senato nel primo Parlamento d'Italia; i pittori Giuseppe Patania (n. 1780- m. 1852) e Giovanni Patricolo (n. 1780- m.1863); Domenico Lo Faso e Pietrasanta, duca di Serradifalco, letterato, storico, archeologo (n. 1780 - m. 1863), autore dell'opera "Le antichità di Sicilia esposte ed illustrate" che fu pubblicata in 5 volumi in folio dal 1834 al 1840 in Palermo; Agostino Gallo, letterato e poeta (n. 1790 - m. 1872); Gioacchino Ventura, nato nel 1792, oratore sacro, che morì esule a Versailles nel 1861; Giovanni Salemi, professore di chirurgia nella R. Università (n.1805-m.1849); Vincenzo Mortillaro marchese di Villarena (n. 1806-m. 1888), letterato, bibliografo, autore di un "Dizionario italiano"; Gaetano Daita, poeta e patriota (n.1806-m. 1877); Michele Amari (n. l8006-m. 1889), storico del Vespro e dei Musulmani di Sicilia, esule per carità di patria; Domenico Benedetto Gravina (n. 1807- m. 1886), abate cassinese, che pubblicò uno magnifica illustrazione del celebre duomo di Monreale; Pietro Lanza, principe di Scordia nato nel 1807, storico, il quale morì esule nel 1855; Francesco Maccagnone, principe di Granatelli, nato nel 1807, letterato poeta, che morì esule da patriota nel 1857; Enrico Amari (n.1810 - m. 1870), statista e prof. di diritto nella R. Università ; Francesco Paolo Perez (n.1812-m.1892) letterato, poeta, filosofo, ministro della Pubblica Istruzione dal luglio al novembre 1879; il poeta Vincenzo Errante (n. 1813); Diego Orlando (n. 1815-m. 1879), prof. di diritto civile nella R. Università, storico del diritto pubblico e privato dei Siciliani; Salvatore Lanza (n. 1816 - in. 1855) autore di una "Guida del viaggiatore in Sicilia"; Filippo Parlatore (n. 1816 – m.1877) naturalista, versato specialmente in botanica; Giuseppe De Spuches, principe di Galati, duca di Caccamo (n. 1819 - in. 1884) che fu letterato, archeologo, poeta lirico di forme eleganti e classiche, traduttore di Euripide e di Sofocle; il naturalista Pietro Calcara (n. 1819 - in. 1854); il patriota Rosolino Pile Gioeni (n. 1820- in. 1878), Annetta Turrisi Colonna, principessa di Fitalia, nata nel 1820, valente pittrice, che si spense in Castelbuono il 14 febbraio 1848, la poetessa Giuseppina Turrisi Colonna, nata nel 1822, sorella della precedente, principessa di Calati (m. in Palermo il 17 febbraio 1848); Salvatore Cusa--Amari nato nel 1822 valoroso orientalista e professore di lingua e letteratura araba nella R. Università; lo storico Isidoro La Lumia (n. 1823-m. 1879); Gerolamo Ardizzone, nato nel 1824, poeta e letterato, che sin dal 1862 assunse la direzione del "Giornale ufficiale di Sicilia"; Matteo Ardizzone, nato nel 1829, fratello del precedente, poeta, filosofo e letterato, che occupò la cattedra di letteratura latina nella R. Università; Camillo Randazzo (n.1831-m. 1903), poeta, letterato, valoroso pedagogista, fondatore e direttore di un istituto letterario che ancor oggi è frequentato dai giovani della miglior classe della cittadinanza; Isidoro Carini (n. 1843- m. 1895), paleografo, diplomatico, che fu uno dei fondatori dell' "Archivio Storico Siciliano" e della "Società Siciliana di Storia Patria".