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  Pasqua in Sicilia
 
I riti pasquali  del venerdì Santo.
 

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  La Settimana Santa
  in Sicilia
   
     
Testo di Ernesto di Nunzio    

     
 

Chiesa Madre ad Erice, facciata principale e la torre.

 

Bernhard J. Scheuvens - Agosto 2004

 

 
 




 
da Wikimedia Commons
   

E' nelle manifestazioni del Venerdì Santo, il venerdì dei "Misteri gloriosi", che la funebre spettacolarità barocca tocca il suo culmine, con le rappresentazioni dello strazio della Madre Addolorata. Ad Erice, avvolta dalla nebbia, un rullio di tamburi, segna il momento della condanna a morte. Il contegnoso corteo muove, lentamente, dalla quattrocentesca chiesa di Sant'Orsola. Con l’accompagnamento straziante di marce funebri, sei gruppi artistici settecenteschi, che rappresentano altrettanti momenti incisivi della Via Crucis, raggiungono il Calvario, passando per i vicoli di pietra, facendo rimbombare di passi il selciato. A Noto, in particolare, la processione vespertina è incentrata sulla “Santa Spina”, una reliquia della corona di spine portata dalla Palestina nel 1225.

Le processioni sono quasi sempre decorate con fiorami dai colori brillanti, deposti sul feretro come si usa nei funerali, ma che nel contempo rappresentano il simbolo della natura che rinasce, esprimendo un sottointeso legame con i riti pagani dedicati a Cerere. A Canicattini la processione dell’Ecce Homo è accompagnata dai Nuri, penitenti scalzi che indossano un tipico costume ed in capo una corona di ramoscelli intrecciati; elevano un antichissimo canto popolare, "U venniri ri Marzu", che si riscontra nelle sue varianti in più parti dell’isola; il canto si alterna al coro delle “virgineddi” che intonano la richiesta di una buona annata di raccolti.

Quante processioni del Venerdì Santo imperniano la loro rappresentazione attorno alla deposizione dalla Croce dell’ immagine sacra di Cristo? In dialetto la chiamano "Scisa ra cruci", "Scinnuta" "Scinnenza". Tutte concentrano l’attenzione sul Cristo e l’Addolorata, velata a lutto, come nella Via Crucis di Melilli o di Carlentini. Sono spesso rappresentazioni viventi, come a Vittoria, dove gli abitanti nel loro dialetto recitano il “Dramma Sacro” fin dal 1668; nel 1850 il canovaccio è stato mutato in una vera e propria rappresentazione teatrale classicheggiante da un autore locale, tale Ricca.

 

 
 
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