Museum of Art, Filadelfia |
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Fra queste, il Salvator Mundi del 1465, FOTO 12. dove sul foglio “appuntato” al parapetto si legge: “Millesimo quatricentessimo sext sage/ simo quinto VIII indi Antonellus/ messaneus me pinxit”. Un’immagine devozionale che emerge dal fondo scuro con uno sguardo fisso e penetrante e con la mano in segno di benedizione. Tutto è solenne, la scelta dei colori, la posizione frontale del viso, le dita della mano leggermente piegate che suggeriscono il movimento, i riccioli dei capelli che scivolano, impalpabili, sulla spalla del Cristo. Gli stessi accorgimenti sono stati adottati, ma con più precisione e raffinatezza nel Cristo alla colonna del 1476. FOTO 13. La sofferenza è palesata dallo sguardo rivolto al cielo, dalle lacrime che bagnano il volto segnato e che si mescolano alle gocce di sangue, dalla bocca socchiusa che sembra sussurrare qualcosa. Qui i capelli sono più che reali, ogni ciocca e ogni ricciolo danno l’impressione di essere stati eseguiti ognuno singolarmente, così come con precisione e accuratezza è stata eseguita la barba dorato-rossiccia. Tutto un insieme di accorgimenti che sono utili per dare maggiore enfasi al messaggio di dolore che Antonello vuole trasmettere allo spettatore, per farlo partecipare all’opera. Sono sempre testimonianza di questo periodo, due tavolette raffiguranti una S. Gerolamo Penitente, l’altra la Visita dei tre angeli ad Abramo. FOTO 14. - FOTO 15. I toni cupi di entrambe le opere, la doratura che le incornicia e i particolari della natura intorno sono di origine nordica, e sembra ipotizzata l’appartenenza di entrambe le tavolette ad un unico lavoro, forse un polittico, ma non se ne ha conferma in alcun documento. E’ vero che i legami fra le due composizioni risultano evidenti, ma sono tratti caratteristici dello stile antonelliano che si va perfezionando adottando le lezioni fiamminghe, vaneykiane in particolare. |
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