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   Artisti siciliani: Nino Cordio
      
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  Artisti siciliani
   
NINO CORDIO
 

Per saperne di più  

 
   
 
   L'arte di Nino Cordio raccontata
   da Andrea Camilleri
   
     
     

Testo di Andrea Camilleri - Opere di Nino Cordio


 

 

Nino Cordio, Ricordi - 2000


 

 
 
 
 
 
Le domande che non avevo fatto a lui principiai però a rivolgerle a me stesso. Cos’è che l’occhio di Cordio istintivamente si rifiutava di vedere e cosa amava vedere? Era evidente che si rifiutava di vedere, in primo luogo, ogni manufatto umano. Basta guardare, per esempio, un’acquaforte che lui chiama "Selinunte archeologica": non si riesce a identificare una colonna spezzata, un capitello atterrato, niente. E i fogli che di tanto in tanto intitola "la casa del poeta"? Nella più parte dei casi la casa non c’è, dovete indovinarla nei paraggi, o se è visibile ha colori così improbabili per un’abitazione da poterla agevolmente confondere con una pianta. La casa del poeta Lucio Piccolo invece c’è tutta, ed è prepotentemente troppa, talmente evidenziata da uscire dall’orizzonte. Un proposito diligentemente portato a termine. In secondo luogo, stenta molto a vedere le figure umane. Quando le vede, sono figure pseudofemminili, Armida, Monica, la ragazza del nel frutteto, il profilo rosa, in realtà si tratta di fiori nati per incroci spontanei e colti nell’atto di una metamorfizzazione. Metamorfosi! E a questo punto mi divenne chiara la metrica segreta con la quale dovevo leggere i fogli di Cordio. Quelle acqueforti sono esametri, quei colori battono ora il dattilo ora lo spondeo, e il frequente succedersi dei dattili fa nascere l’accesa vivacità della materia nel suo formarsi, così come l’abbondanza degli spondei imprime ai colori il chiuso scorrere della notte. Messo sulla strada mi ci volle poco per trovare il "luogo" di Cordio. E’ un passo del "De rerum natura" di Lucrezio.

"Principio genus herbarumm viridemque nitorem
terra dedit circum collis camposque per omnis,
florida fulserunt viridanti prata colore,
arboribusque datumst variis exinde per auras
crescendi magnum immissis certamen habenis".

Questo non solo è il luogo, ma è anche il momento. E’ il momento che segue immediatamente la Creazione, quando la giovane terra esplode letteralmente di lussureggiante vegetazione, in un vertiginoso assommarsi di forme e di colori. Quel momento non lo si può raccontare, lo si può al massimo intuire come fa Lucrezio. Lo si può testimoniare però, trasmettendo l’istante in cui il verde esita a definirsi definitivamente come tale, in cui il viola cerca di differenziarsi dal blu o dal celeste, in cui il rosso è indeciso se dirsi rosa o marrone. E su tutto ciò, lo stupore, la gioiosa meraviglia di chi sta assistendo, col proprio occhio, al comporsi della squillante bandiera della natura. E’ questo il senso più nascosto e profondo dell’arte di Cordio e se non ci sono case è solo perché lui non le ha allora viste e se non ci sono figure umane è perché allora ancora non stampavano la loro orma sulla terra.

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Questo significa che Cordio in quel luogo e in quel momento c’era? Questo basterebbe a spiegare quel misterioso inventare (da "invenire") di cui parla Sciascia?
Avanzo un’ipotesi. Alcuni anni orsono, tra tanta fantascienza che leggevo, mi capitò un breve racconto che m’intrigò, anche se ora non ricordo più l’autore. E può darsi che, nel riproporlo, la mia memoria alquanto lo riaggiusti. Un astronauta viene incaricato di una missione impossibile: sbarcare su Marte. Dopo diverse vicissitudini, eccolo arrivato imbozzolato e goffo, e insieme atterrito e felice: atterrito per la disumana ostilità dell’ambiente, felice per essere il primo terrestre a calcare il suolo marziano. Cammina per ore tra getti di vapore, colate laviche, magma bollente, rischiando a ogni passo la morte finche finchè non trova momentaneo rifugio in una specie di grotta nella quale s’addormenta stremato. Al risveglio, per un qualche mutamento dell’ambiente, spariti i vapori, cessati i getti e le colate, egli per qualche momento può sorgere al di fuori della grotta uno sconvolgente, magico paesaggio di rocce scure che fanno da quinta a un orizzonte di montagnemonatgne scintillanti di ghiacci eterni. Poi tutto torna ad essere come prima .. Rientrato sulla terra, l’astronauta viene trionfalmente accolto nelle pricipali capitali. A Parigi, nel percorso delle visite obbligate, c’è naturalmente il Louvre. E lì, con lacerante stupore, rivede lo stesso esatto paesaggio che aveva intravisto dalla caverna di Marte: è quello dipinto da Leonardo dietro la testa della Vergine delle rocce. L’astronauta non era stato il primo uomo a vederlo.
Non può darsi che anche Cordio?… Ripeto: è solo un'ipotesi. Ed è così azzardata che non intendo formularla compiutamente.
 

 

Per saperne di più

Pubblichiamo queste pagine sull'artista siciliano, recentemente scomparso, stralciando immagini e testi dal Sito personale dell'autore, per gentile concessione del figlio Francesco.  Per conoscere meglio la sua opera rimandiamo direttamente al Sito http://www.cordio.net

 

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