Museo Nazionale di Palermo
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Antonello insegnò a mescolare olio ai colori, sia per conservare meglio e più a lungo il dipinto, sia per la ricchezza che ne ricevevano i colori delle figure e dei paesaggi. Alla abituale tecnica di impastare acqua e colla, il pittore siciliano sostituì quella che adoperavano i fiamminghi; l’olio rendeva il colore più fluido e più facile da stendere, con maggiore ricchezza di luce e brillantezza. Con l’introduzione di questa nuova tecnica tutto ciò che è dipinto diventa più reale. Colpiscono gli sguardi, i ricami delle vesti, i dettagli delle mani e dei volti. Anche se negli occhi dei personaggi trattati da Antonello si è sempre registrato un certo pathos, l’uso dell’olio, steso in più velature, contribuisce sensibilmente ad accentuare i sentimenti e le emozioni. I volti rimangono quelli semplici della terra natia dell’artista, ma comunicano grande passione. Da questo momento cominciano le prime importanti commissioni. A Messina proprio nel 1457 realizza un gonfalone per la confraternita di S. Michele e successivamente nel marzo dello stesso anno gli viene chiesto di realizzarne uno simile per la chiesa di S. Michele de’ Gerbini a Reggio Calabria, opere che purtroppo non riusciranno a pervenire fino a noi. Gli anni fra il 1458 e il 1461 segnano un brusco cambiamento, in campo artistico e non solo, in quella che fino ad ora era stata definita la capitale del rinascimento meridionale: Napoli. Alfonso d’Aragona muore nel 1458 e il nuovo polo artistico viene spostata ad Aix-en-Provence, con la figura di Renato d’Angiò, anch’egli grande estimatore d’opere d’arte, il quale ha al suo seguito il suo artista prediletto, il provenzale Barthelemy d’Eyck. E’ quasi ovvio pensare che dalle molteplici innovazioni, così come dalle tecniche e dagli accorgimenti proposti dagli stranieri, Antonello cercasse di apprendere il più possibile. |
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