Coloni greci provenienti da Rodi e da Creta, navigando
verso ovest, sbarcarono sulla parte meridionale della Sicilia. Ivi fondarono
nel 689 a.C. la
città di Gela, alle foci del fiume omonimo. Nella zona gli abitanti locali,
i Sicani, opposero resistenza ai greci, che si ritrovarono a combattere per
consolidare le loro posizioni. Tra il VII e il VI secolo, iniziarono una
lenta ma continua penetrazione verso l’interno, lungo le valli del Gela e
del Salso. Fondarono piccoli villaggi agricoli e centri fortificati (Manfria,
Licata, Castellazzo di Palma, Montelusa). Spingendosi sempre a nord-ovest,
i coloni geloi, guidati da Aristonoo e Pistilo, fondarono nel 581 a.c. la
città di Akragas (l’odierna Agrigento), che prese, anch’essa, il nome dal
fiume limitrofo (l’odierno torrente San Biagio).
Come molte fondazioni
del
retroterra geloo-agrigentino (da Monte Adranone a Gibil Gabib, da
Monte Sabucina a Capodarso), anche questa, avvenne in un area
difendibile, grazie a tre lati coperti da rilievi e declinanti verso
sud, cioè, verso il mare. A nord vi era la città su una rupe, a sud
l’area sacra dei templi. Fu descritta anche dallo storico Polibio.
L’area, ovviamente, era
già stata abitata in epoca preistorica. Scavi hanno rinvenuto tracce di
antichi
villaggi di capanne lungo il lato meridionale della collina. Resti di
capanne della tarda età del bronzo furono rinvenute sotto il Santuario
delle Divinità Ctonie, mentre ad ovest del tempio di Zeus, si è scoperto
uno strato di ceramica neolitica con ornamenti del tipo soprannominato
di Stentinello e Matrensa. Se è ipotizzabile che gli abitanti dell’età
del bronzo abbiano commerciato con navigatori micenei, si ritiene che,
al momento della fondazione di Akragas, fossero già scomparsi.
La città,
mentre veniva costruita sia la parte civile che religiosa, fu retta, con
tutta probabilità, da governi oligarchici. Questo fino al 570 a. C.
quando un importante cittadino, Falaride, approfittando di alcune
cariche prestigiose che copriva (si ritiene la costruzione del tempio di
Zeus Polieus), s’impossessò della
città, divenendone il tiranno. Governò dal 570 al 554 a. C.
Per rinsaldare
la propria egemonia, portò avanti la conquista di città sicane
all’interno dell’isola, la penetrazione nel territorio di Gela, con
l’edificazione di punti fortificati quali Eknomos e Phalarion e il
tentativo di conquistare Imera.
Molte sono le
leggende legate ai tiranni sicelioti: furbizia e crudeltà vengono
inscindibilmente legate loro (tra gli altri grandi tiranni citiamo:
Gelone, Dionigi e Agatocle), sta di fatto che essi svolsero
politicamente e militarmente opera di aggregazione e diffusione della
civiltà greca, anche in funzione antipunica. Sulla Sicilia la potenza
cartaginese, infatti, aveva già
costruito propri avamposti che minacciavano le nuove polis. Falaride,
come capitò ad altri tiranni, fu ucciso da un certo Telemaco, che,
semplicemente, ne prese il posto. A tiranni seguirono tiranni: Alcamene,
cui succedette Alcandro.
La città ebbe
un progressivo sviluppo economico. Nella seconda metà del VI secolo
a.c., attraverso l’esportazione di cereali, vino e olive, e
l’allevamento di bestiame e dei cavalli, ben presto Akragas divenne
ricca e notoria. A questa evoluzione parallelamente iniziò la
monetazione. Furono coniate monete d'argento, tetradrammi e didrammi,
raffiguranti da un lato l'aquila
e
dall’altro il
granchio.
La città di Agrigento raggiunse il suo picco di importanza sia in campo
economico che in quello militare, sotto il dominio di un tiranno
particolare: Terone della famiglia degli Emmenidi
(488-473
a.c.). Il suo governo fu giusto e moderato. Anziché impegnarsi un
guerre, portò avanti una politica d’alleanze, stringendo rapporti di
parentela con gli altri tiranni siciliani. Sposò, infatti, una figlia di
Polizelo, fratello di Gelone di Siracusa- Questi, a sua volta, una
figlia di Terone,
Damarete. Il tiranno agrigentino non cessò, come i suoi predecessori, di
tentare la conquista di Imera. Questa governata da
Terillo, assieme al suocero
Anasilao, nel tentativo di resistere, chiese aiuto ai Cartaginesi. A
sua volta l’agrigentino concluse un’alleanza con Gela e Siracusa. Nel
480 a.c. l'esercito cartaginese guidato da Amilcare, si scontrò con
l’esercito greco sulla pianura di Imera. La battaglia fu durissima. La
forza della cavalleria greca sbaragliò i cartaginesi e lo stesso
Amilcare si suicidò. I sopravvissuti cartaginesi si sparsero nella zona
di Agrigento, ma furono ben presto catturati e resi schiavi. Essi
furono condannati, in pratica, ai lavori forzati, e impiegati nella
costruzione di grandi opere pubbliche, come il grandioso tempio di Zeus
Olimpio. Contemporaneamente l’architetto Feace ideava e realizzava la
rete di acquedotti sotterranei, che divennero esempio, per i tempi, di
perfezione e funzionalità.
|
|