Quelli che vengono denominati “ i Fatti di Bronte” (o strage,
massacro) è un episodio molto controverso del nostro Risorgimento,
avvenuto nell’agosto del 1860, durante la liberazione di Garibaldi
della Sicilia dal governo borbonico.
Garibaldi sapeva già
prima di partire da Quarto che mille soldati non erano sufficienti
per sbaragliare l’esercito borbonico, ma occorreva una sollevazione
popolare dei siciliani in primis, e dei meridionali, in genere.
Aveva bisogno di presentarsi, non solo come liberatore, ma
soprattutto il portatore di una nuova società più giusta e scevra
dalla povertà e dalla fame. Solo così avrebbe potuto far scoppiare
quella bomba popolare, vista durante le sollevazioni del 1848. Così,
dopo lo sbarco di Marsala, avvenuto l'11 maggio del 1860, emise un
decreto (il 2 giugno) che prometteva l’aiuto dei più deboli, la
cancellazione delle ingiustizie e, in particolarmodo la divisione
delle terre ai contadini.
Simili promesse mossero la media
borghesia e le classi inferiori in un sogno di riscatto sociale.
L’intento di Garibaldi, come sappiamo, fu ottenuto con la marcia
trionfale delle sue truppe, che aumentavano ogni giorno di più.
All’interno della Sicilia le differenze sociali erano più marcate,
soprattutto tra latifondisti e contadini e manovalanza, che
lavoravano sui grandi terreni dei primi. Da rilevare, perché p
fondamentale, che a Bronte tra i latifondi più grandi vi era quello
della Ducea di Nelson, di proprietà della famiglia inglese.
Naturalmente a Bronte
il malcontento era tamgibile. Quando il 2 agosto arrivarono in paese
da quelli del circondario sbandati e contadini insoddisfatti (tra
questi Calogero Gasparazzo) la miccia fece esplodere l’insurrezione
popolare. Molti palazzi pubblici e privati furono incendiati, come
il teatro, l’archivio comunale e molte case signorili. In una caccia
all’uomo generale, nella confusione totale, furono uccise ben 16
persone.
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