Alle notizie che pervenivano da Bronte, il Comitato di guerra,
voluto da Garibaldi e Crispi, decise di inviare un battaglione di
garibaldini, capitanato
da Nino Bixio, per riportare
l’ordine nel paese. Alcuni studiosi, tra cui Gigi Di Fiore in
Controstoria dell'unità d'Italia, ritengono che proprio la
presenza nel paese della Ducea di Nelson, di proprietà della
famiglia dell’ammiraglio inglese, e gli interessi britannici anche
nell’ampio latifondo ad essa legata, fu il vero motivo della
spedizione militare per tutelare proprio quegli interessi. Gli
inglesi, infatti, garantivano politicamente, che nessun paese
europeo intervenisse contro la spedizione dei Mille in difesa degli
interessi borbonici. Aveva garantito, tra l’altro, lo sbarco
tranquillo a Marsala dei garibaldini, contro due navi da guerra
borboniche, che incrociavano proprio in quelle acque. Esisteva,
inoltre, un’opinione pubblica europea che seguiva sui giornali ogni
giorno le notizie provenienti dalla Sicilia proprio sull’impresa
garibaldina.
All’arrivo delle truppe di Bixio, molti
scapparono, altri iniziarono ad accusare i propri avversari politici
o personali: comunque sia, la confusione era generale. Fu
organizzato velocemente un tribunale di guerra e in quattro ore
furono giudicate circa 150 persone. Alla fine vennero condannate
cinque brontolesi alla pena di morte. Per primo l'avvocato Nicolò
Lombardo, colpevole di essere stato indicato come nuovo sindaco
dagli insorti. Gli altri quattro furono: Nunzio Ciraldo Fraiunco,
Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri e Nunzio Samperi. Il
giorno seguente, all’alba (era il 10 agosto), i cinque, portati
nella piazzetta antistante il convento di Santo Vito, vennero
fucilati e i loro corpi lasciati insepolti come monito per la
popolazione. Successive analisi storiche hanno appurato la totale
estraneità dai fatti dell’avvocato Nicolò Lombardo, colpevole
d’essere stato nominato sindaco nel caos dell’insurrezione (e che
non era fuggito proprio perché del tutto innocente). Si è appurato
anche che Nunzio Ciraldo Fraiunco era un malato di mente, che nei
giorni della rivolta percorreva il villaggio cantando e suonando una
trombetta. Il caso volle che dopo la prima scarica di fucileria del
plotone d’esecuzione, proprio lui rimase vivo. Gridando in un
miracolo della Madonna Addolorata, il povero Ciraldo si buttò in
ginocchio piangendo davanti a Nino Bixio, e gli chiese la grazia.
Bixio lo uccise freddamente con un colpo di pistola alla testa.
Nella raccolta Novelle rusticane,
nella novella Libertà,
Giovanni Verga racconta dell’eccidio, trasponendo e modificando
i fatti (secondo
l’interpretazione di Sciascia). Marcando le responsabilità
dei rivoltosi, rivalutò l’intervento di Nino Bixio. “Lo scemo del
villaggio” nel racconto diviene il “nano del villaggio”, forse per
attutire la gravità dell’eccidio di un malato di mente, colpevole
solo di essere tale.
|