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Quando si dice che a Caltagirone la produzione ceramica è una tradizione millenaria, lo si dice per davvero. Tra i primi resti, rinvenuti nei dintorni della città, nei villaggi neolitici di Scala, Pille e S.Ippolito, il reperto più antico risale al VI millennio a.C. Con gli scambi commerciali dei Siculi con il mondo greco, se ne importò la tecnica e, nel i millennio a. C., anche l’uso del tornio dalla civiltà cretese. Solo nel VI secolo a. C. arrivarono da oriente i primi coloni greci, con le loro tradizionali raffigurazioni mitologiche ed astratte. Con gli arabi, nell'827, raggiunse la Sicilia, e Caltagirone in particolare, anche la tecnica orientale dell’invetriatura della ceramica. Queste antiche protomaioliche, si possono ammirare nel Museo della Ceramica di Caltagirone ed in quello archeologico di Gela. Il vasellame esposto dimostra come la tecnica fu introdotta per prima nella città calatina, per diffondersi poi in Sicilia e successivamente nel resto della penisola. Col tempo la produzione calatina acquistò personalità e originalità, tanto che i re normanni ne favorirono in particolare la diffusione. Le botteghe di Caltagirone sfruttavano la possibilità di trarre l'argilla da vaste cave locali e dal vicino Bosco di Santo Pietro l’utilizzo della legna per le proprie fornaci. Fu, però, con Alfonso d'Aragona che le loro ceramiche segnarono un efficace punto a favore. Infatti, nel 1432, il re consentì il loro commercio in tutte le città demaniali del Regno senza il pagamento dei dazi doganali, sanzionando, in pratica, la loro eccellenza. In quel tempo i decori calatini si ispiravano ai tessuti e ai ricami isolani, acquisendone anche i colori: il manganese, poi il verde ramina, il giallo arancio ed il blu cobalto. Col tempo la ceramica iniziò ad essere utilizzata, non solo per il vasellame, ma anche per i pavimenti. Era sicuramente un’opportunità che gli artigiani calatini non potevano farsi sfuggire. Da quel momento gli architetti siciliani divennero i committenti di ampie metrature di piastrelle per la pavimentazione, in tutta la loro policromia, di palazzi nobiliari e chiese isolane. Il terribile terremoto del 1693 nell’area a sud-est della Sicilia è un punto di cesura dell’isola. La distruzione fu totale, non solo per quanto riguarda l’architettura, ma anche per il vasellame e tutto a questo collegato. All’indomani della catastrofe i cittadini e in particolare gli artigiani, ebbero il coraggio di iniziare l’opera di ricostruzione. Gli architetti di quel periodo crearono, forse inconsapevolmente, un nuovo stile: il Barocco siciliano. Con esso sperimentarono l’accostamento della ceramica calatina. Nacquero opere dal gusto originalissimo. A Caltagirone, ad esempio: la facciata della chiesa di S.Pietro, il balcone Ventimiglia e l'ingresso del Museo della Ceramica. L’uso della ceramica divenne tradizionale, anche successivamente al Barocco siciliano. Vedono, infatti, il loro utilizzo la scalinata di Santa Maria del Monte ed il Cimitero Monumentale fuori città, ma anche le ville che la circondano d’epoca liberty. Attualmente l’uso della ceramica ha inventato forme ed oggetti del tutto innovativi, come: Candelieri, lampade, vasi, lucerne, calamai, e persino formelle per dolci. La raffinatezza e la creatività degli artigiani di Caltagirone, pur nelle nuove forme d’espressione, mantiene, tutta la sapienza maturata nel corso dei millenni. Don Luigi Sturzo, nato a Caltagirone, volle la fondazione in città della scuola di ceramica, dove gli iscritti, futuri artisti, apprendono la forza dell'antica tradizione artigiana, punto d’incontro tra passato, presente e futuro dell’arte ceramica calatina. |
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