Scuola di Ceramica e Museo della Ceramica realizzano a Caltagirone
un tandem assolutamente essenziale. Nel Museo confluiscono tutti i
ritrovamenti siciliani, non solo calatini, permettendo lo studio e
la ricerca che prima era del tutto impossibile. Molte teorie, come,
ad esempio, quella del
gesuita Giampaolo
Chiarandà,
che “ipotizzava” la presenza dell’arte ceramica in Sicilia anteriore
alla conquista degli arabi, con gli scavi dell’archeologo
Paolo Orsi,
nei dintorni di Caltagirone, hanno trovato una chiara conferma. Se è
vero che gli arabi introdussero in occidente, tramite Caltagirone,
l’uso dell’invetriatura, tecnica orientale che soppiantò ogni
altro uso d’origine classica, è vero anche che nella città calatina
trovarono una fervente attività abbondantemente già avviata e
sviluppata.
Gli artigiani, che trovarono, erano già specializzati nella
lavorazione dell'argilla e, specialmente, di contenitori adatti alla
conservazione e all’esportazione della grande produzione siciliana
di miele, ivi, perciò, gli Arabi introducessero le nuove tecniche e
diedero nuovo impulso ad una attività già matura. Di questo connubio
miele-ceramica ne parla, infatti,
il geografo arabo
Edrisi.
Si parla delle quartare caltagironesi nei registri di beni
lasciati in eredità, come, ad esempio, quello di D.Matteo
Calascibetta, Barone di Costumino, residente nella città di Piazza,
del 1596.
L'industria
del vasellame invetriato in città nei primi del Cinquecento era tale
che a fianco della chiesa di San Giuliano esisteva un intero
quartiere di maiolicari, esattamente dove venne eretta la chiesa di
Sant'Agata
nel 1576. Qui si raccolsero
prima di passare, nel Seicento, alla confraternita dell'Immacolata,
nell’adiacente convento di San Francesco
d'Assisi dei PP. Conventuali. Ci sono giunti documenti che attestano
la presenza e i nomi stessi di oltre cento officine di maiolicari
attive nel Cinquecento. Si sa anche che la forte confraternita dei
vasai offriva, per la festa del protettore della città,
San Giacomo,
dei paliotti d'altare ornati di un emblema rappresentante un vasaio
al tornio.
Purtroppo di questa realtà e ci questi ceramisti ci è giunto quasi
nulla. La loro opera e i loro nomi sono scomparsi nell’immane dramma
del terremoto dell'11 gennaio 1693. A testimonianza del loro lavoro
e della loro maestria ci rimane il frammento di un bacile
d'acquasantiera, conservato nel Museo Civico di Piazza Armerina. Su
esso vi è l’iscrizione del suo autore: "la fonti la fichi m.
joanelu di maulichi", cioè "la fonte la fece maestro Jovannello
Maurici". Altre opere di ceramica ante terremoto sono state
ritrovate con i pavimenti conservatesi di due chiese: Santa Maria di
Gesù (opera di maestro
Francesco Ragusa)
del 1621,
e dei Cappuccini (opera di maestro Luciano Scarfia)
della seconda metà del Seicento.
Con l’inizio del nuovo
secolo, il Settecento, nella necessità di ricostruzione di interi
paesi, anche il modo di fare il ceramista cambia e s’aggiorna. Nelle
botteghe di Caltagirone si produce di tutto:
vasi con ornati a rilievo e dipinti,
acquasantiere,
lavabi, paliotti d'altare, statuette, decorazioni architettoniche di
facciate di chiese, campanili e case private, pavimenti con ornati a
grandi disegni, statue, mezzi busti e rivestimenti in maiolica come
quello utilizzato nel Teatrino di fronte il Museo. I disegni, come
le stoffe, acquisiscono nuovi disegni, come ornati a motivi
floreali, a grandi volute e a disegni continuativi. Il lavoro
è intenso e produttivo. Il secolo scopre talenti artistici nell’arte
della Ceramica, che ancora oggi ispirano con la loro originalità e
bravura. Se il Settecento diede valore alla ceramica calatina,
l’Ottocento ne mise in pericolo l’esistenza. Con l’arrivo nelle
pavimentazioni in mattonelle in cemento, e l’uso di nuovi materiali,
la produzione delle fornaci iniziò a diminuire in modo esponenziale,
introducendo, così, il settore in una crisi strutturale. Eppure,
nella crisi, si misero in evidenza artigiani come
Giuseppe Di
Bartolo,(ceramista pittore e plasticatore), di Enrico Vella
e
Gioacchino Ali, (modellatori e progettisti) che fecero crescere la
dignità di un mestiere a vera e pura arte. Ma il colpo fu durissimo:
la modernità stava per uccidere la storia. Molti furono, d’altra
parte, i mestieri legati all’artigianato che rischiarono d’essere
persi (alcuni lo furono). Come sarebbe scomparsa la ceramica
calatina se don Luigi Sturzo non fosse intervenuto creando la scuola
di Ceramica (oggi Istituto Statale d'Arte per la Ceramica) nel 1918.
Riunì gli ultimi esponenti della ceramica in quel momento a
Caltagirone (il ceramista Gesualdo Di Bartolo, il figurinaio
Giacomo Vaccaro
ed il plasticatore Giuseppe Nicastro) e sorresse l’insegnamento di
un arte millenaria, dandole un volto nuovo. L’abilità di nuovi
ceramisti e la stessa scuola che li ha formati, ha portato, ad
esempio, alla creazione della famosa e monumentale Scalinata di
Maria SS.del Monte in Caltagirone. D’altra parte, il Museo della
Ceramica può essere considerato filiazione ovvia della Scuola di don
Sturzo. La loro collaborazione è il segreto della “città della
ceramica”: Caltagirone, appunto.
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