IAntropologia
culturale, etnologia
ed etnografia fanno parte delle scienze etnoantropologiche.
Dall’antropologia culturale proviene l’etnologia. Ambedue si
occupano delle differenze tra culture e gruppi sociali. Sono per lo
più discipline teoriche, mentre la branca dell’etnografia ha un
contatto maggiore con le specifiche realtà etniche. L’analisi
comparativa dell’etnologia cerca di individuare invarianti tra i
vari gruppi, allo scopo di cogliere caratteristiche universali
rapportabili ad una generica natura umana. Pur con qualche
risultato, tale teoria, come abbiamo visto, è stata notevolmente
criticata dal XIX secolo ad oggi. Si è contestato soprattutto
l’aspetto filosofico di questa ricerca. Ciononostante, tra i
sostenitori dell’etnologia troviamo Claude Lévi-Strauss. Questi
formulò la teoria della cosiddetta antropologia strutturale.
Partendo dallo scontro di civiltà innescatosi con la scoperta
dell’America, dove la cultura europea si sovrappose alla cultura dei
nativi, cancellandola, Lévi-Strauss contestò la teoria del progresso
lineare. In sostituzione di quest’ultima egli propose il concetto di
una storia che progrediva secondo un andamento
progressivo e cumulativo. Lo studioso indicò come antesignano
della disciplina etnologica, Montaigne, che aveva portato avanti studi
sull'antropofagia.
Etnografia
Mentre l'etnologia definisce leggi coerenti tra i
diversi popoli, l’etnografia si occupa delle ricerche sul campo
riguardanti vari gruppi sociali. E’, infatti, denominata la “scienza del popolo”. Lo studio sul terreno, comporta la
conoscenza approfondita di innumerevoli aspetti, basandosi
sull'osservazione, ma anche sull'intervista, per conoscere il
patrimonio orale e la memoria storica dei soggetti. Solo così la
cultura locale può essere resa chiara ed evidente, e quindi
comunicabile. Tra i fondatori dell’etnografia si può citare
lo studioso tedesco Gerhard Friedrich Müller, che, tra il
1733 e il 1743, portò avanti ricerche sulla popolazione siberiana.
Divenne, tuttavia, una vera e propria disciplina nel XIX secolo,
quando si avviarono una serie di analisi etnografiche sui popoli
facenti parte degli imperi delle grandi potenze europee. Alla fine
del secolo, le ricerche realiste di livello etnografico si assommano
al Naturalismo e al Verismo nel campo della letteratura. Tra i
maggiori etnologi dei primi del Novecento, si possono segnalare
Bronisław Malinowski ed E. E. Evans-Pritchard.
Se l’idea di cultura si è evoluta nel tempo, modificando
concettualmente l’etnografia, le grandi campagne di raccolta di dati
etnici hanno permesso l’apertura di famosi musei etnografici.
L’etnografia si evidenzia per la complessità delle ricerche sul
campo. Quando un antropologo si cala all’interno di una realtà
altra, e quindi sconosciuta, sta a lui e alla sua sensibilità ed
intelligenza ricostruire il filo di quella identità che va a
scoprire. Le metodologie di approccio, formulate in primis da
Frazer in Notes and Queris,
hanno costituito a lungo il
nucleo di partenza per gli etnografi. Tuttavia, anche queste hanno
subito uno sviluppo e un’evoluzione sia teorica che pratica. Il
sapere antropologico e andato, quindi, ad arricchirsi di
conoscenze, ma anche di
metodi e capacità. Grazie, quindi, alla continua pratica etnografica
sul campo, le tecniche di approccio e studio degli antropologi si
evolvono in un circolo virtuoso. Tale caratteristica è stata
evidenziata dall’antropologo
Clifford Geertz. Questo sostenne che il momento del rilievo delle
informazioni sarebbe sia teorico che interpretativo. Le
teorie di livello antropologico (le famose comparazioni) possono
trovare base e dimostrazione proprio nelle ricerche pratiche
dell’etnografia
Il
metodo d’indagine
L'antropologo polacco
Bronisław Malinowski, è andato oltre le regole di
Notes
and Queris del Frazer, proponendo un nuovo approccio alla
ricerca etnografica. E’ il metodo dell'osservazione partecipante,
dove l’antropologo deve “vivere proprio in mezzo agli indigeni”.
Questa scelta presuppone che
il ricercatore viva con i nativi, cercando di entrare in un rapporto
empatico con essi, osservando e capendo il loro punto di vista, le
loro emozioni, convinzioni e, in generale, il loro mondo. In
sostanza, capire dall'interno. Questo non significa solo essere
distaccati, ma compartecipi, nelle grandi ritualità come nei
particolari quotidiani. Dovrà raccogliere tutti gli aspetti
culturali, sia delle persone comuni che dei capi, dei religiosi, dei
politici come degli intellettuali. La trasmissione del sapere tra
nativo e ricercatore può stabilirsi maggiormente all’interno del
gruppo stesso. La sua deve divenire una gara nella comprensione e
conservazione della memoria collettiva (scritta, orale e quotidiana)
del gruppo sociale studiato nel suo contesto.
La realtà “alra”
Operare sul campo significa soprattutto cogliere le diverse
consuetudini, i significati ed interpretazioni culturali, ma anche i
diversi punti di vista, insomma, conoscere la realtà altra. Perciò
va fatta una grande attenzione verso i modi di esprimersi degli
individui della comunità, che sono i veri portatori di significati,
di senso e dei valori della loro esistenza. Il problema del
“contatto” e della comprensione è tutt’altro che secondario o
teorico. Proprio Bronisław Malinowski, dopo aver effettuato una
campagna
d’indagini nelle isole Trobriand, si pose la questione di
quanto l'antropologo, calatosi nella comunità,
possa cogliere del punto di
vista reale del nativo. Le informazioni, infatti, che raccoglie
l’antropologo non sono equiparabili ad oggetti o a materiali
comunque inerti. Quello che egli coglie possiede sempre un
significato “vivo”, in quanto facente parte della comunità stessa,
dei propri valori e, se vogliamo, della propria quotidianità. Ma
non basta. Il contatto tra antropologo e indigeno è, a tutti gli
effetti, un contatto tra persone. I dialoghi tra loro possono essere
lacunosi, imperfetti, personali e non generalizzabili, oppure
apparentemente minori ed invece dal grande valore strutturale.
L’antropologo Griaule, nel libro
Il metodo
dell'etnografia, dove egli descrive la sua indagine sul popolo dei Dogon
del Sudan, sottolinea proprio quest’aspetto, aggiungendo anche la
difficoltà a reperire gli stessi oggetti, da sottrarre ad un
individuo, che non ne capisce il perché. Tale difficoltà pratica,
mette in risalto tutta la necessaria abilità dell’antropologo, quasi
una cultura del contatto. A dimostrazione di ciò, lo stesso trattato
del Griaule, sui
Dogon del Sudan, venne criticato , con l’accusa di
aver dato troppa importanza alle asserzioni dei nativi.
Analizzando nuove comunità “altre” si può anche riflettere sulla
propria società e cultura. Superati i pregiudizi, anche non voluti,
la comparazione con la propria cultura dev’essere egualitaria.
Bisogna, cioè, uscire dal preconcetto che i propri valori siano
superiori a quelli dei gruppi analizzati, in un ottica etnocentrica,
né tantomeno base del proprio giudizio. Il contatto con culture
altre, permette un ripensamento generale dei propri valori in un
orizzonte più ampio e complesso.
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