L’organizzazione del
patrimonio documentario, e quindi degli spazi ospitanti è, per lo
più, quella data da Giuseppe Cocchiara,
che fu il direttore del museo
dal 1935 al 1965.
Ogni sala è dedicata ad una specifica
tematica. Essa viene descritta in una apposita locandina.
All’interno vi sono delle teche, illuminate esternamente. Ogni teca
contiene degli oggetti riferiti al tema, corredati di ampie
didascalie. Queste illustrano, oltre al
tipo di reperto, anche la
sua provenienza, l’epoca di appartenenza ed il suo eventuale uso.
Gli oggetti di maggiori dimensioni sono posti fuori dalle vetrine.
La sala che ospita le statuette del presepe presenta, invece, una
diversa organizzazione a più livelli ed una illuminazione a fonti
direzionali.
Le abitazioni
Tra le prime sale, che
compongono il percorso museale, si distinguono le ricostruzioni
degli ambienti abitativi popolari, come case di campagna o case di
città. Le tipologie differiscono tra loro anche all’interno di fasce
sociali più povere. Così si trovano gli ambienti unici, per la
famiglia, con tutte le loro attività (dormire, cucinare, mangiare e,
a volte, lavorare) e gli animali. Esistevano poi le case su due
livelli, dove quello superiore, un soppalco in legno, era destinato
al sonno, con letti rialzati su tavole. Come mobili per i più
poveri, qualche sgabello, un tavolo ed una cassa portaoggetti.
Arredi semplici, che permettevano il vivere quotidiano. Tuttavia,
tra i reperti del
museo spicca un letto in ferro battuto del '600.
Esso fu realizzato, ovviamente, in Sicilia, secondo una tipica
lavorazione isolana, che poi si diffuse ad altri territori
nazionali.
Il lavoro femminile
La cassapanca era
tutt’altro che un elemento secondario. In essa, infatti, veniva
conservato il preziosissimo corredo nuziale, portato in dote dalle
donne che si sposavano. Ancora adesso il corredo ha un alto valore.
Questo veniva pazientemente e finemente ricamato dalla donna.
D’altra parte le ricamatrici fornivano i pizzi e i merletti alla
classe agiata, di cui questa andava fiera. Se il lavoro veniva
eseguito anche con un telaio, la proprietà d’uno di questi,
rappresentava il pezzo della dote più importante della famiglia
stessa. Facente parte del corredo era anche la culla dei
prossimi nascituri. Era fatta in tela e si appendeva ad una trave
del soffitto. Veniva dondolata con una corda, che la madre legava al
polso o ad una caviglia, lasciando libere le mani per fare altre
faccende domestiche.
I telai storici erano molto semplici e
primitivi. Ciononostante, con questa attrezzatura, le donne dei
contadini tessevano e filavano, rappresentando un cespite in
aggiunta all’economia di casa. Il mondo del lavoro femminile,
disconosciuto, si componeva di un gran numero di oggetti, come, per
esempio:
pettine, fusi, rocchie,
nespi e conocchie. La produzione di tessuti utilizzava il cotone, il
lino, la canapa e certamente la lana, di cui erano fatte le
bellissime coperte del popolo e non solo (denominate
frazzate).
Tra le stoffe pregiate che venivano confezionate con merletti ed
inserti, anche di oro, vi sono pure quelle in seta, prodotta con la
bachicoltura (tecnica d’origine araba), localizzata nelle case di
campagna, che poi venivano portate in città per il ricamo e il
confezionamento. A Palermo, ad esempio, il lavoro tessile si
svolgeva nel quartiere della Kalsa, dove si concentrava un
gran numero di lavoratrici del settore tessile. Nel lavoro delle
stoffe rientra anche il confezionamento di abiti, costumi o vestiti
per le cerimonie più importanti. Molto del materiale prodotto veniva
poi commercializzato e spesso esportato via mare.
Particolarmente lavorati erano gli abiti tradizionali della comunità
albanese arbëreshe di Piana degli Albanesi.
Formatasi in Sicilia
alla fine del XV secolo, da un gruppo profugo dall’avanzare
dei turchi, questa ha conservato usi e costumi di lontana origine
orientale e bizantina. Bellissimi sono, ad esempio, gli abiti
nuziali, che tutt’ora vengono confezionati all’interno della
comunità. Riccamente ricamati e decorati presentano uno sfarzo dal
gusto orientale. Gli abiti tradizionali vengono spesso tramandati da
madre a figlia, tale è il loro valore e bellezza.
Gli abiti popolari
Il museo etnografico
presenta un’ampia sezione sui costumi popolari, sia femminili che
maschili. Così, possiamo ammirare i vestiti festivi per le donne,
estremamente semplici per le stoffe e per il taglio, ma spesso
decorati con lavori fatti a mano. L’abito era composto da un busto
realizzato in cotone, una sottana e un grembiule. A decorarli veri e
propri broccati. Se il busto, a volte, presenta un colletto, quasi
sempre un merletto decora la scollatura. Quest’ultima, era coperta e
arricchita, in alcuni casi,
da un macramè, che consiste in una trina di
fili annodati. Sono visibili nel museo costumi femminili con il
busto di seta rossa ricamata con fili di vari colori. Tutti lavori
eseguiti con un ago e lavorazione a reticella, tipicamente
siciliana.
Gli abiti
maschili si componevano di un’ampia camicia, i calzoni il
panciotto, la giacca e l’immancabile berretto. Molto importanti
erano, in effetti, i cappelli, che oggi non usiamo.
Ve ne sono diversi tipi,
legati, per lo più, alla vita in esterni, soprattutto dei campi.
Così, come a questa
era legata l’uso di pesanti mantelli con cappuccio in orbace (una
stoffa pesante), il tutto colorato di nero. L’abito dei contadini di
Modica era realizzato completamente in orbace. Tra gli abiti da
lavoro maschili si distinguono quelli dei pastori, che vivevano sui
monti al seguito delle greggi. Sono composti essenzialmente di pelle
di capra: la giubba e i calzoni, per cominciare, e poi le
tipiche scarpe e la tasca, che, portata a tracolla, serviva a
contenere il cibo ed il vino.
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