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Pitrè ed il museo etnografico di Palermo

L'antropologia culturale
L'etnologia e l'etnografia

Giuseppe Pitrè, etnografo
per scelta

Pitrè e Salomòne Marino
Il museo etnografico di Palermo
Le sezioni del Museo
Le fiabe di Giufà
La Mostra etnografica (1891-1892)

Video etnografia siciliana
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GIUSEPPE PITRE'

     Pochi sanno che alla base del
   verismo siciliano vi furono le ricerche
   di Giuseppe Pitrè. Questi, tra i primi
   etnografi al mondo, svolse
   approfonditi studi sul folclore siciliano
   di metà Ottocento. Oggi, il prezioso
   patrimonio è messo in mostra nel
   museo etnografico di Palermo, da lui
   fondato.

   

   Le sezioni del Museo

     
     

 

 
 

Antiche tradizioni popolari ad Agrigento

 

Lestat (Jan Mehlich)- 5 agosto 2006
Foto da Wikimedia Commons

 







 L’organizzazione del patrimonio documentario, e quindi degli spazi ospitanti è, per lo più, quella data da Giuseppe Cocchiara, che fu il direttore del museo dal 1935 al 1965.

Ogni sala è dedicata ad una specifica tematica. Essa viene descritta in una apposita locandina. All’interno vi sono delle teche, illuminate esternamente. Ogni teca contiene degli oggetti riferiti al tema, corredati di ampie didascalie. Queste illustrano, oltre al
tipo di reperto, anche la sua provenienza, l’epoca di appartenenza ed il suo eventuale uso. Gli oggetti di maggiori dimensioni sono posti fuori dalle vetrine. La sala che ospita le statuette del presepe presenta, invece, una diversa organizzazione a più livelli ed una illuminazione a fonti direzionali.

Le abitazioni
Tra le prime sale, che compongono il percorso museale, si distinguono le ricostruzioni degli ambienti abitativi popolari, come case di campagna o case di città. Le tipologie differiscono tra loro anche all’interno di fasce sociali più povere. Così si trovano gli ambienti unici, per la famiglia, con tutte le loro attività (dormire, cucinare, mangiare e, a volte, lavorare) e gli animali. Esistevano poi le case su due livelli, dove quello superiore, un soppalco in legno, era destinato al sonno, con letti rialzati su tavole. Come mobili per i più poveri, qualche sgabello, un tavolo ed una cassa portaoggetti. Arredi semplici, che permettevano il vivere quotidiano. Tuttavia, tra i reperti del museo spicca un letto in ferro battuto del '600. Esso fu realizzato, ovviamente, in Sicilia, secondo una tipica lavorazione isolana, che poi si diffuse ad altri territori nazionali.

Il lavoro femminile
La cassapanca era tutt’altro che un elemento secondario. In essa, infatti, veniva conservato il preziosissimo corredo nuziale, portato in dote dalle donne che si sposavano. Ancora adesso il corredo ha un alto valore. Questo veniva pazientemente e finemente ricamato dalla donna. D’altra parte le ricamatrici fornivano i pizzi e i merletti alla classe agiata, di cui questa andava fiera. Se il lavoro veniva eseguito anche con un telaio, la proprietà d’uno di questi, rappresentava il pezzo della dote più importante della famiglia stessa.
Facente parte del corredo era anche la culla dei prossimi nascituri. Era fatta in tela e si appendeva ad una trave del soffitto. Veniva dondolata con una corda, che la madre legava al polso o ad una caviglia, lasciando libere le mani per fare altre faccende domestiche.

I telai storici erano molto semplici e primitivi. Ciononostante, con questa attrezzatura, le donne dei contadini tessevano e filavano, rappresentando un cespite in aggiunta all’economia di casa. Il mondo del lavoro femminile, disconosciuto, si componeva di un gran numero di oggetti, come, per esempio:
pettine, fusi, rocchie, nespi e conocchie. La produzione di tessuti utilizzava il cotone, il lino, la canapa e certamente la lana, di cui erano fatte le bellissime coperte del popolo e non solo (denominate
frazzate).
Tra le stoffe pregiate che venivano confezionate con merletti ed inserti, anche di oro, vi sono pure quelle in seta, prodotta con la bachicoltura (tecnica d’origine araba), localizzata nelle case di campagna, che poi venivano portate in città per il ricamo e il confezionamento. A Palermo, ad esempio, il lavoro tessile si svolgeva nel quartiere della
Kalsa, dove si concentrava un gran numero di lavoratrici del settore tessile. Nel lavoro delle stoffe rientra anche il confezionamento di abiti, costumi o vestiti per le cerimonie più importanti. Molto del materiale prodotto veniva poi commercializzato e spesso esportato via mare.
Particolarmente lavorati erano gli abiti tradizionali della comunità albanese arbëreshe di Piana degli Albanesi. Formatasi in Sicilia alla fine del XV secolo, da un gruppo profugo dall’avanzare dei turchi, questa ha conservato usi e costumi di lontana origine orientale e bizantina. Bellissimi sono, ad esempio, gli abiti nuziali, che tutt’ora vengono confezionati all’interno della comunità. Riccamente ricamati e decorati presentano uno sfarzo dal gusto orientale. Gli abiti tradizionali vengono spesso tramandati da madre a figlia, tale è il loro valore e bellezza.

Gli abiti popolari
Il museo etnografico presenta un’ampia sezione sui costumi popolari, sia femminili che maschili. Così, possiamo ammirare i vestiti festivi per le donne, estremamente semplici per le stoffe e per il taglio, ma spesso decorati con lavori fatti a mano. L’abito era composto da un busto realizzato in cotone, una sottana e un grembiule. A decorarli veri e propri broccati. Se il busto, a volte, presenta un colletto, quasi sempre un merletto decora la scollatura. Quest’ultima, era coperta e arricchita, in alcuni casi, da un macramè, che consiste in una trina di fili annodati. Sono visibili nel museo costumi femminili con il busto di seta rossa ricamata con fili di vari colori. Tutti lavori eseguiti con un ago e lavorazione a reticella, tipicamente siciliana.

Gli abiti maschili si componevano di un’ampia camicia, i calzoni il panciotto, la giacca e l’immancabile berretto. Molto importanti erano, in effetti, i cappelli, che oggi non usiamo.  Ve ne sono diversi tipi, legati, per lo più, alla vita in esterni, soprattutto dei campi. Così, come a questa era legata l’uso di pesanti mantelli con cappuccio in orbace (una stoffa pesante), il tutto colorato di nero. L’abito dei contadini di Modica era realizzato completamente in orbace.
Tra gli abiti da lavoro maschili si distinguono quelli dei pastori, che vivevano sui monti al seguito delle greggi. Sono composti essenzialmente di pelle di capra: l
a giubba e i calzoni, per cominciare, e poi le tipiche scarpe e la tasca, che, portata a tracolla, serviva a contenere il cibo ed il vino.

 
 

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