Jerzy Strzelecki - 10 Decembre 2007 |
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La Villa è datata tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d. C. Tra il IV ed il V secolo conobbe il suo periodo di massimo splendore. Durante il periodo delle invasioni dei Vandali e dei Visigoti la villa subì ingenti danni. Il plesso continuò ad essere abitato fino agli inizi dell’epoca normanna. Intorno al XII secolo la villa fu distrutta. In un secondo momento le sue rovine furono sepolte dal limo di un’alluvione. I primi scavi nella zona in cui sorge la villa furono effettuati nel 1929 da Paolo Orsi e si incrementarono nel decennio che va dal 1950 al 1960 sotto la direzione del Gentili. La villa di Piazza Armerina, insieme a quella di Patti e a quella del Tellaro, costituisce una delle testimonianze più importanti che documentano la diffusione del grande latifondo senatorio in Sicilia. Nel corso del IV e del V secolo d. C., dopo un periodo di isolamento i grandi proprietari terrieri tornano a frequentare i loro possedimenti siciliani. Alla crescita del latifondo parallelamente si accompagna lo spopolamento delle città. Prova di questo è il fatto che, in questo periodo, le stazioni che si trovavano sulle grandi vie di traffico si spostarono in corrispondenza dei grandi latifondi e non più dei centri abitati. I latifondi divennero i veri centri della vita sociale. Vicino alla villa, a 5 km in linea d’aria, ci sono i resti di un villaggio che ebbe il suo periodo di massima espansione proprio nel IV e nel V sec. d. C., si tratta sicuramente della statio Philosophiana che apparteneva al latifondo che aveva il suo cuore nella grande villa. I grandi latifondi di questo periodo si distinguevano attraverso i nomi che mutuavano dai loro proprietari, l’unica eccezione è proprio quella della villa di Philosophiana. In questo caso, infatti, il nome non deriva da un gentilizio, ma si riferisce probabilmente agli interessi culturali del proprietario. Si pensa che il proprietario della villa sia da identificare in C. Ceionio Rufo Volusiano, vissuto nel IV secolo che fu prefetto urbano e poi console. Suo figlio Ceionio Rufo Albino ricoprì anch’egli la carica di prefetto urbano e, nel 335 d. C., quella di console. Egli era uno dei più noti intellettuali del suo tempo. In una iscrizione ufficiale, (l’unica a noi pervenuta), egli si fa chiamare “philosophus”. Padre e figlio sembra siano stati condannati all’esilio per un certo periodo, si ipotizza, dunque, che si siano ritirati nella loro proprietà siciliana. Questo spiegherebbe anche l’esistenza di due appartamenti all’interno della villa.
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