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   La Madonna del Tindari
  
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  La Madonna del Tindari
 
   MADONNA NERA DI TINDARI:
    ITER DI UN RESTAURO
 

Per saperne di più  

 
   
 
   L'icona ritrovata    
     
     

Testo del  prof. Giovanni Bonanno
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario


 

 
Statua della Madonna Nera del Tindari prima del restauro

 
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario



 







 
Interpellata nel 1981 dal vescovo di Patti, mons. Carmelo Ferraro, la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Messina affronta il problema storico-scientifico della statua. Evidente la necessità di esami preliminari, fra i quali viene indicato il procedimento chimico del carbonio 14. La Commissione spiega ai rappresentanti della Diocesi l’importanza di verifiche strutturali e organiche prima di iniziare qualunque azione di restauro.
Diversi i veti. Si ha paura di rovinare il simulacro, le cui condizioni sono precarie. Gli esperti desistono dall’impresa. Eseguono solo dei saggi che permettono di verificare la sovrapposizione sui volti e sulle mani di un colore "nero olivastro" che nasconde un color bruno di antica data.
Altra notazione sottolineata riguarda il tempo della creazione dell’opera: l’Alto medioevo.
In quella circostanza qualcuno si rende conto della complessità culturale della Nigra sum, il cui capo é «cinto da una corona orientale, risaltata sullo stesso legno tipo turbante, arabescata a leggerissimo rilievo con disegni dorati...».
     
Da alcuni decenni esiste sulla parte posteriore del mantello bleu, di gusto bizantineggiante, un ampio squarcio che consente alla équipe di studiosi e tecnici, incaricata da mons. Zambito, una preliminare visione interna della struttura lignea.
Penoso appare lo stato della forma cava del tronco in cui si trovano inseriti elementi posticci con funzione di puntellatura e bloccaggio della massa. Inizia la prima fase di intervento con l’estrazione dall’incavo di oltre dieci chili di paglia naturale e industriale, segatura, stracci, colle varie e chiodi.
Vuota è la massa posteriore della statua, il cui scavo partendo dalle spalle scende in basso allargandosi sino al limitare opposto del tronco, dove si originano i piedi della Madonna. In questo vuoto, probabilmente a fine ottocento viene conficcato un’enorme zeppa di assi, a doppia forma triangolare, per reggere il peso del tronco, che insieme con il cuneo, poggia su una pedana di banali tavole.
Cominciano i primi saggi di pulitura riguardanti la Madonna e il Bambino con i relativi paludamenti.
Come ipotizzato, gli occhi risultano aperti, sebbene da secoli occultati da stratificazioni di colori e vernici, da incrostature di fumo e polvere, da depositi organici.
 
 

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