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   La Madonna del Tindari
  
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  La Madonna del Tindari
 
   MADONNA NERA DI TINDARI:
    ITER DI UN RESTAURO
 

Per saperne di più  

 
   
 
   L'icona ritrovata    
     
     

Testo del  prof. Giovanni Bonanno
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario


 

 
Statua della Madonna Nera del Tindari prima del restauro

 
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario



 







 
Nei visi si assommano cinque stesure cromatiche, l’ultima delle quali è bruna dorata, parecchio sporca, risalente ad epoca medievale. Anche gli abiti sono contrassegnati da strati di ridipinture. Il manto è dominato da quattro spessori di bleu e da un verde. Quattro diversi rossi ed un bleu compongono la veste della Vergine. Due rossi, due bleu e un rosa strutturano il pigmento dell’abito di Gesù. Ogni colore è indicativo di un preciso periodo.
Concepiti non socchiusi, bensì aperti, gli occhi della Vergine e del Bambino, dopo accurate ripuliture, tornano alla forma originaria, con i colori e i segni romanici.
 
L’immagine evidenzia il contrasto fra l’occhio nascosto da patine di nerume e quello liberato, che si caratterizza per il tratto forte di un nero-bleu contornante le ciglia. Plastico è l’oggetto della cornea e della pupilla, illuminate dal riflesso aureo dell’orbita. Pastosa la lacca nera che marca le sopracciglia. Un occhio vivo, che guarda con profondità di mente.
Non appartiene l’occhio alla cultura latina (francese o italiana), nè a quella bizantina. Si qualifica come mediorientale (siriana o palestinese). Lo stesso segno cromatico é di chiara matrice araba. Ricorda per la linea e l’energia materica il kajal, che le donne egizie o assire utilizzano come cosmesi per mettere in risalto la bellezza dell’occhio.
Si presenta ispessito da stucchi e vernici di carbone il volto della Vergine: quasi maschera coprente lo splendore antico della "piena di grazia". Fronte, naso, guance, labbra, mento sono appiattiti da millimetri di croste che annullano il movimento naturale del viso.
 
Mentre appare esaustiva l’analisi delle cromie ottocentesche e novecentesche, l’équipe dei restauratori scopre sotto la "camicia" della Madonna una tavola lignea a finte pieghe, il cui azzurro-lapislazzuli è almeno trecentesco. Incontenibile lo stupore.
Subito è informata la Curia di Patti e la Sovrintendenza di Messina.
E’ evidente che gli abiti di tela sono tardive sovrapposizioni, che occultano una architettura di notevole interesse. Si praticano dei tagli su parti meno a vista dei paludamenti. Ci si accorge che, asportando centimetri di "stoffa", è sottostante una struttura ben articolata con superfici intagliate e con decoro di lacche policrome.
Trova conferma l’ipotesi iniziale di un’opera scultorea con possibili elementi romanici.
Sorprendente si rivela il rilievo scultoreo dell’abito del Bambino. Si tratta di modellazione bizantina, tipicizzata dalla forma "a greca", accesa da lacche rose e rosse.
Dalla fessura fatta sul canovaccio di tela, gesso e colla il particolare della veste, mentre mette in luce la qualità artistica del manufatto, sottolinea la fragilità del pigmento pittorico e la corrosione della materia lignea, in cui sono tracce di presenze di insetti xilophagi.
 
 

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