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   La Madonna del Tindari
  
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  La Madonna del Tindari
 
   MADONNA NERA DI TINDARI:
    ITER DI UN RESTAURO
 

Per saperne di più  

 
   
 
   L'icona ritrovata    
     
     

Testo del  prof. Giovanni Bonanno
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario


 

 
Statua della Madonna Nera del Tindari, durante il restauro

 
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario



 

 
Complessa la ristrutturazione dell’architettura della « Virgo capax Dei», che sin dall’origine si presenta scavata all’interno. Tecnica questa propria della scultura della Borgogna e dell’Alvernia, che si diffonde nel centro Italia e nei territori d’oltremare, dove perviene l’influenza francese. Serve a dare leggerezza al simulacro, portato sovente in processione, e più ancora consente a tutte le parti del tronco "movimento" e "respiro".
 
Inizialmente il legno sembra noce. Un attento esame delle fibre conferma la tradizione che parla di "cedro del Libano". La natura dell’albero è un elemento a favore del luogo di importazione, cioè il Medioriente.
L’intervento restaurativo consiste per primo nel consolidamento di base e pareti mediante l’utilizzo di tavole e tasselli di tiglio e iroco, differenti dal cedro, da cui, per esigenze scientifiche, debbono diversificarsi, e nella pitturazione "a rigatino" delle nuove parti. Metodo che permette allo studioso di notare quali legni e colori sono medievali e quali opera di integrazione moderna.
La visione complessiva della Madonna evidenzia la fase avanzata del restauro, che recupera tutti i frammenti lignei e i pigmenti pittorici per primo, quindi integra nel rispetto della storia e dell’arte le sezioni mancanti senza nulla inventare.
 
Nell’abito è una vasta lacuna, non totalmente ricucita, sia per documentare la grave mutilazione, sia perchè viene occultata dalla figura del Logos, tenuto in braccio dalla Madre.
Come è possibile constatare, il manto della Nigra sum non è di tipo orientale, bensì occidentale. Il "maphorion" bizantino copre la testa ed avvolge l’intera persona.
Invece sul capo della Vergine si trova un velo che scivola elegantemente sulle spalle. Le quali sono coperte da un mantello rosso, trapuntato di stelle, i cui lati si rinserrano all’interno del trono.
 

Con l’inserimento del Bambino in grembo alla Theotokos, razionale appare la composizione volumetrica della scultura.
Seduta su un umile trono decorato da ritmi vegetali e geometrici, Maria stringe il Figlio con la mano sinistra, le cui dita, recuperate e restaurate risalgono al periodo romanico.
Nobile è l’icona lignea, sotto la cui corona "araba" è un velo azzurro, adagiato sul mantello rosso che ravvolge la figura. Di azzurro-lapislazzuli è il "colubium", cioè la tunicella della Madonna su cui si staglia l’icona del Cristo. La veste detta "palla contabulata" è invece bleu-verde cupo, sovrastante una tunica verde-primavera dai riflessi aurei ed argentei.
Ricorda nella modulazione la scultura di "Prete Martino" del XII secolo, l’abito del Logos di color rosso, lucente di frammenti e filamenti d’oro. Schema bizantino che nella linea orizzontale della base nasconde i piedini.
Sebbene il restauro richieda ancora lunghi e delicati interventi di "chirurgia plastica" sul "kalimaphion" dorato, su velo e mantello, su occhi e guance, già la Nigra sum sed formosa si offre allo sguardo in tutta la sua enigmatica bellezza:

«Pulchra ut luna, electa ut sol».

Riluce di metafisica bizantina il viso mediorientale di Maria, coronata da diadema arabo con decori ellenistici. Due nastri fluenti di capelli corvini ne incorniciano la fronte, splendendo di riverberi rossi, secondo la moda cara alle donne dell’Asia minore e del nord Africa.
Nell’adombrare la Vergine anche la Shulamit del Cantico dei Cantici, vista con immagine poetica quale torre del Libano, si mostra agli astanti con i capelli dipinti color porpora: «Come porpora è la chioma del tuo capo: il re è preso nelle tue trecce».

 
 

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