Ricordiamo che nel 1865 Firenze era la
capitale d’Italia, e qui Verga conobbe personalità quali
Luigi Capuana, allora critico della Nazione, i pittori
Michele Rapisardi e Antonino Gandolfo, il maestro Giuseppe Perrotta
e il poeta Mario Rapisardi. Qui si rese conto della diversità
dell’ambiente fiorentino rispetto alla sua formazione di carattere
provinciale. Tuttavia egli rimase a Firenze inizialmente solo dal 13
gennaio fino al 14 maggio. Nel periodo scrisse il romanzo di
carattere autobiografico e fortemente melodrammatico, Una
peccatrice, e il pezzo teatrale comico dal titolo I nuovi
tartufi, inviato ad un
Concorso Drammatico bandito dalla Società
d'incoraggiamento all'arte teatrale. Quest’ultimo non ottenne il
successo sperato e troverà pubblicazione in seguito solo nel 1980.
Nel 1866 l'editore torinese Negro editò Una peccatrice.
Si tratta della vicenda
drammatica di un piccolo borghese catanese, che dopo
avere ottenuto tutto dalla vita, finisce per suicidarsi per amore
dio una donna.
Nel 1867 si diffonde un’epidemia di colera. Verga
trovò rifugio prima nelle proprietà di Sant'Agata li Battiati e poi
a Trecastagni. Tornò a Firenze nell'aprile del 1869, dove soggiornò
fino al 1871.
In questo periodo le sue conoscenze si ampliano in maniera
significativa:introdotto dall’amico Mario Rapisardi in casa dello
scrittore e patriota Francesco Dall'Ongaro, viene in contatto con
personalità del calibro di Giovanni Prati, Aleardo Aleardi, Andrea
Maffei e Arnaldo Fusinato. Ma è proprio attraverso Dall'Ongaro che
Verga entra nel giro aristocratico e artistico. Frequenta il salotto
culturale di Ludmilla Assing e delle signore Swanzberg, il Caffè
Doney (visitato spesso da letterati e attori) e il Caffè
Michelangelo (punto d’incontro dei pittori macchiaioli più
importanti), va a teatro e segue una vita mondana.
E’ in questa
fase che scrive il romanzo epistolare Storia di una capinera.
Lo da alle stampe, nel
1870, sul periodico di moda Il Corriere delle Dame.
Ma è, grazie all’interessamento di Dall'Ongaro, che lo
pubblica con la tipografia Lampugnani di Milano. L’introduzione del
romanzo è dello stesso Dall'Ongaro e sfocia in grande successo
insperato.