Dal 1872 al 1893 Verga
frequentò la disinvolta borghesia milanase. Questo lo convinse delle
conseguenze negative del progresso economico e dell’eticamente
preminenza delle classi disagiate, nella loro schiettezza umile e
travagliata, vero scrigno che racchiude gli intatti valori
tradizionali. La "svolta" verista del Verga lo porta a rifiutare lo
stile romanzesco a favore di un canone d’impersonalità nella
descrizione della realtà (ne fu il primo teorizzatore all’interno
della corrente del Verismo). Convinto del movimento naturalistico,
che andava sviluppandosi in Europa, che il romanzo moderno dovesse
descrivere la realtà contemporanea sotto un profilo oggettivo, lo
portò a descrivere il quadro “psicologico” del personaggio
direttamente nell’azione, lasciando che si scoprisse il carattere
soltanto attraverso il suo comportamento. Secondo l’ottica del
Verga, il lettore deve essere messo “faccia
a faccia col fatto nudo e schietto”, escludendo totalmente “la
lente dello scrittore”. Questo non deve comparire nel narrato,
deve “eclissarsi”, eliminando emozioni soggettive,
riflessioni e interpretazioni. L'autore deve inoltre “mettersi
nella pelle” del suo personaggio, “vedere le cose coi loro
occhi ed esprimerle colle loro parole”. Così la sua penna “rimarrà
assolutamente invisibile” nel libro, tanto che il testo sembri “essersi
fatta da sé”, “essere sorta spontanea come fatto naturale,
senza serbare alcun punto di contatto col suo autore”, cioè la
semplicità oggettiva di una fotografia. L'autore si “eclissa”
, si mette “nella pelle” dei protagonisti, vede “coi loro
occhi” e racconta “colle loro parole. La “voce”
narrante si pone tutta all'interno dell’universo ritratto,
totalmente al livello dei personaggi presentati.
Non vi sono nei racconti di Verga né la sua cultura né le sue idee. I
fatti narrati vengono presentati senza commento alcuno, sarà il
lettore ad intendere e concludere in relazione al personale modo di
vedere. Un vero e proprio “reality” da interpretare secondo le
proprie idee e convinzioni. |