Dopo la fase giovanile, l’opera del Verga
può dividersi in due periodi. Il primo scarsamente
rinnovatore, unisce ispirazione romantica ed elementi della
scapigliatura (nonostante l’iniziale ricerca di una letteratura
“vera” e “sociale”). Il secondo periodo, che va dal 1878 in poi, più
propriamente verista. Questa opera, ne ha fatto il più importante
tra i veristi, apportatore di innovazione e originalità in
letteratura.
Ma cos’è il Verismo?
La vera base del
movimento italiano è il positivismo e, cioè, l’assoluta fiducia di
un progresso mosso a partire dalla scienza, il metodo sperimentale e
la ricerca ad esso legata. La visione concreta della realtà che si
può conoscere e su cui si può intervenire, nasce dal 1830 e dura
fino alla fine del XIX secolo. Ad esso è legato il Naturalismo, un
movimento letterario francese che conoscerà autori come Zola,
Flaubert, Balzac, Maupassant, Daudet e Bourget.
Tra il 1875 e il 1895 il Verismo nasce a Milano ad opera di
scrittori provenienti da diverse realtà regionali. Il suo
teorizzatore fu Luigi Capuana che sosteneva la "poesia del vero". Il
suo maggiore esponente, però, viene considerato proprio Giovanni
Verga, il quale, pur venendo da un’esperienza come scrittore legata
alla corrente letteraria tardo romantica, riuscì con la raccolta di
novelle Vita dei campi e col primo romanzo, nel 1881, del
Ciclo dei Vinti, I Malavoglia, ad essere d’esempio a tutto il
gruppo milanese. Ecco allora il fiorire delle diverse esperienze,
dove ognuno, legato alla sua terra e alla realtà che ne è propria,
porta alla ribalta la
“verità” sociale loro contemporanea. Così la Sicilia è al centro
delle opere di Giovanni Verga, di Luigi Capuana e di Federico de
Roberto; Napoli in quelle di Matilde Serao e di Salvatore di
Giacomo; la Sardegna negli scritti di Grazia Deledda; la Toscana
nelle novelle di Renato Fucini; Roma nei versi di Cesare Pascarella.
La verità e le questioni socio-culturali dell'epoca emergono dal
racconto dei veristi, come, ad esempio, la questione della
situazione meridionale in Verga, caratterizzata da costumi ed usanze
siciliane, molto dissimili da quelli del nord Italia.
Per
evidenziare proprio queste differenze e dare al racconto un
oggettività “scientifica” (una vera e propria foto), il Verismo si
basa su una serie di tecniche letterarie.
La prima è il
principio dell'impersonalità. La narrazione avviene in
maniera distaccata, senza giudizi dell’autore, anzi, apparentemente
“senza” l’autore. Ecco allora che la narrazione diventa
rigorosamente in terza persona, priva di commenti o interventi dello
scrittore. Questo perché il lettore deve essere libero nel pensiero
di crearsi un proprio parere di fronte ad un determinato personaggio
o ad una determinata situazione.
La seconda è il "concetto
dell'ostrica". Le realtà narrate diventano dramma di fronte
all’impossibilità di mutare il dato oggettivo. Chi nasce povero non
può diventare ricco (siamo ancora nel XIX secolo). Vi è un diaframma
culturale tra la povertà e lo stesso ambiente alto-borghese. Quando
Verga nella novella La roba, narra dell’umile contadino
Mazzarò che riesce a divenire ricco, ne fa un infelice che non
riesce ad integrarsi nella nuova realtà sociale, perché non vi
appartiene di nascita.
La
terza è “l'artificio di regressione”. Le narrazioni all’interno delle
opere avvengono principalmente dai contadini o artigiani stessi, che
usano espressioni gergali, un lessico semplice, e si distingue per
l'assenza di segni grammaticali.
La quarta tecnica è
il principio della concatenazione. Esso tende a disarticolare il
linguaggio letterario a favore della lingua popolare. Vi sono
continue ripetizioni, parole ridette dello stesso
concetto o l’uso di termini dal significato opposto a poca
distanza.