Durante il governo di
Costante II a Siracusa, diede alla città siciliana dei privilegi importanti,
come la possibilità di coniare moneta. Qui furono prodotti i follares,
monete contrassegnate col monogramma imperiale, e con l’incisione del
busto dell’imperatore. La zecca siciliana produsse molti pezzi in tale
periodo, che poi andarono scemando fino a bloccarsi del tutto nell’VIII
secolo. Mentre Siracusa era la capitale dell’impero, avvenne la scissione
della Chiesa di Ravenna da quella di Roma, con il decreto di «autocefalia»
della Chiesa di Ravenna. La cosa portò nuova confusione in ambito religioso.
Arrivata la morte dell’imperatore tutte le carte furono scompigliate.
Siracusa sarebbe rimasta la Capitale dell’Impero Romano d’Oriente? I
siracusani tentarono di prendere l’iniziativa, incoronando un ufficiale
armeno di nome Mecezio, strategos del tema di Opsician, tra l’altro anche
contro la sua stessa volontà. A Costantinopoli la pensavano diversamente e
nominarono il “vero” imperatore, il figlio di Costante, che fu chiamato
Costantino IV Pogonato. A dirimere la questione furono le armi: Costantino
si scontrò con Mecezio vincendolo presso Targia. L’armeno, fatto
prigioniero, morì decapitato, e Costantino, per eliminare qualsiasi dubbio o
speranza, prese il corpo del padre e lo riportò a Costantinopoli.
Ma la Sicilia non era contenta del governo bizantino e nel primo
tentativo di trovare l’autonomia dell’isola, si ebbero le rivolte del 718,
capitanata da Sergio, e del 781, capitanata da Elpidio, entrambe, però,
soffocate nel sangue. Nel 726 l’imperatore bizantino Leone Isaurico,
iconoclasta, ordinò la distruzione di tutte le immagini sacre. In realtà lo
scopo di un simile editto non era solo finalizzato alle immagini, ma,
soprattutto, a limitare il potere della Chiesa di Roma e la presa che la
religione aveva sulle masse popolari. Tant’è che nel 732, l’imperatore
decise che la Chiesa siciliana fosse di pertinenza del
patriarcato di Costantinopoli, con la relativa confisca dei beni
della Chiesa romana. I siciliani si opposero a tali provvedimenti e ne
nacquero disordini e rivolte. Papa Gregorio II e, successivamente, papa
Gregorio III, contrastarono i decreti bizantini, mentre l’impero d’oriente
perdeva potere sulle provincie italiane. Tutto questo fino al concilio di
Nicea, nel 787, che decretò la liceità del culto delle immagini. Nell'815,
tuttavia, l'imperatore Leone V Armeno
tentò di riprendere la strada dell’
iconoclastìa. Lo scontro
tra Roma e Costantinopoli proseguì fino all'843, quando l'imperatrice
Teodora pose fine al diverbio accettando la visione e la volontà papale.
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