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Quale, invece, fosse la reale provenienza delle maestranze attivatesi nell’edificazione dei monumenti svevi non è ancora chiara. L’espulsione della comunità araba in Sicilia ha segnato la scomparsa delle maestranze locali più attive delle epoche precedenti. Andò così perduta l’unicità dello stile, favorendo una differenziazione che caratterizzò ogni singolo monumento in base all’area in cui venne costruito. Federico II dovette attingere altrove. Bellafiore sostiene l’ipotesi secondo la quale l’imperatore, di fronte all’esigenza di reclutare nuova manodopera, si sia rivolto all’Ordine Cistercense. Ciò sarebbe testimoniato, attraverso analisi delle opere, dalla definizione degli spazi, dai tratti delle sculture architettoniche, dal taglio dei materiali, dalla fattura e dal disegno dei portali e delle finestre, e, comunque, molto rimane ancora dello stile romanico. Un degli aspetti che accomuna i vari castelli, e che rimanda alla tradizione normanna, è l’idea del recinto che circonda e protegge uno spazio all’interno. Ma, sebbene in seno alla corrente architettonica sveva siciliana insistano certi caratteri delle precedenti epoche, dovuti soprattutto all’azione delle maestranze locali, alcuni tratti dello stile gotico, che ormai imperversava in Europa, giungono anche in Sicilia. Agnello insiste nell’idea, unanimemente condivisa, che siano stati i Cistercensi (come già i Cluniacensi in epoca noramnna) ad introdurre in Sicilia le forme nordiche. Si affermano comunque alcune importanti novità: lo snellimento delle dinamiche ogivali, prima depresse e tendenti adesso verso nuove formule archiacute; oppure l’introduzione di imponenti costoloni a ravvivare le volte a crociera; o, ancora, per quanto riguarda le decorazioni, l’irrompere di fantasiose decorazioni floreali che interrompono il rigore dei gusti bizantini o dei rigidi motivi arabi.
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