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Premessa
Il mondo dei Nebrodi
Cenni storici
La scultura dei Nebrodi
L'architettura medievale
L'architettura rinascimentale
  Il territorio: geologia
Il territorio: morfologia
Il territorio: idrografia
Il territorio: vegetazione e flora
Il territorio: fauna

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 Conosciamo i Nebrodi
   IL TERRITORIO DEI NEBRODI:
   L'AMBIENTE NATURALISTICO, ANTROPICO,
   STORICO E   CULTURALE
 

Per saperne di più  

 
   
 
  L'architettura medievale    
     
     

Testo di  Anna Barricelli


 

 
I NEBRODI PER IMMAGINI
Alcara Li Fusi.
 
Foto di Chiara Samugheo

 









 
Il S.S. Salvatore di San Marco d’Alunzio ha un impianto diverso dalle altre due chiese della regione, presentando una pianta basilicale a tre navate, prive di transetto sporgente ed absidi allineate e separate da archi a sesto acuto con ghiere a rincassi decorate da una dicromia strutturale nell’accostamento di mattoni laterizi a blocchi di pietra calcarea, secondo un gusto di origine bizantina reperibile anche in chiese delle contee più lontane, come i Santi Giovanni e Paolo ad Agrò.

L’espansione dei conventi basiliani segue il corso delle fiumare dal versante ionico del messinese ed attraverso i valichi si dirama nel versante tirrenico. Nella Vai Demenna sono documentati ben ventisette monasteri.

L’ordine basiliano, allo stesso modo di quello benedettino, nell’Italia peninsulare, dissodò e mise a cultura buona parte degli impervi scoscendimenti dei Nebrodi, introducendo essenze arboree ancora persistenti.

Molti villaggi, frazioni e casali della regione, conservano tuttora, nel toponimo, nella organizzazione planimetrica ed urbanistica, un chiaro assetto monastico-rurale, con chiesa, frantoi, stalle e mandria, stesso appellativo usato per la casa madre di rito greco.

Altro elemento aggregante per i cenobi fu la viabilità che utilizzava parte di quella romana ormai in disuso (tramandata tuttavia dalla toponomastica).

Parallelo allo sviluppo dei cenobi basiliani dell’entroterra montuoso, e favorito dagli stessi monarchi Normanni, quello dei monasteri benedettini, non certo da paragonarsi come numero a quelli della parte occidentale dell’isola, ma, di non minore importanza, come nel caso del monastero del S.S. Salvatore di Patti, fondato dal Conte Ruggero con decreto dato in Mileto nel 1088.

La pergamena dell’investitura temporale dell’abbazia delineava i confini territoriali: dalla grande scala della vecchia città e cioè dal comprensorio di Tindari, malgrado vi sorgesse un monastero fortificato, illustrato ancora, sullo scorcio del XVI secolo, da Tiburzio Spannocchi. Solo di recente il ritrovamento nello sterro di una sala ipogea (adiacente la cattedrale) di un capitello binato con motivi zoomorfi (che già mettemmo in rapporto con un altro proveniente dal chiostro di Cefalù) suggerisce l’esistenza anche a Patti di un convento benedettino coevo a quello cefaludese, suffragando così la tradizione e la documentazione che vogliono l’abbazia fondata al tempo del Conte Ruggero. Un altro capitello tetrastilo ritrovato nella torre normanna adiacente al corpo Nord-Ovest della cattedrale, sembra evidentemente combaciare con le colonnine del portale antico rimesso in luce durante restauri in corso di esecuzione.

In esso un’arcaica figurazione della sirena, come è rappresentata nella pittura vascolare greca: uccello con testa femminile, più simile alla successiva rappresentazione dell’ar-pia, è tradizione classica, ribadita dalla bifrontalità delle teste che si incuneano nell’angolo del capitello sorreggendo l’abaco, con soluzione architettonica romanica in rapporto ancora con l’antefissa del tempio.

Il demone centrale, dalla cui bocca fuoriescono serpenti, èin dipendenza iconografica con regioni lontane dell’Italia settentrionale e centrale e dimostra come il raggio di espansione ditali repertori decorativi fosse esteso, tramandato nei monasteri benedettini e poi cluniacensi, da testi usati dai lapicidi come il Liber monstrorum e dai bestiari francesi ed italiani in dipendenza dal Phisiologus.

Le traduzioni classicheggianti nell’allegoria femminile del peccato ci ricordano che Patti gravitava ancora nell’area dell’antica Tindaris, che era stata la primitiva diocesi, e presso la quale dovevano essere presenti molti più reperti archeologici di quanti ne siano tuttora conservati, specie dopo lo spoglio in favore dei principali musei siciliani. Cosa confermata dall’utilizzo per la scultura di un frammento erratico con ancora in vista sul verso la parola DIVI.

 
 

     

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