In genere, il Rinascimento si fa
coincidere con la l’affermarsi di nuovi spunti artistici presenti a
Firenze e a Roma. Anche in Sicilia, tuttavia, gli influssi classici
del centro Italia si fecero sentire. Fu un’affermazione più lenta e
progressiva, contaminata dalla cultura aragonese e spagnola e dalla
cultura tardomedievale ancora presente nell’Isola. Durante i secoli
XV e XVI, infatti, la Sicilia ebbe una dominazione prima aragonese e
poi dell'impero asburgico di Carlo V e del successivo Regno di
Spagna.
Può sembrare strano il parlare di rinascimento in
Sicilia. Un pregiudizio, nato in epoca risorgimentale, volle i
territori dell’Italia meridionale come isolati (e quindi poveri) dal
resto della storia e cultura europea. Così l’arte locale, che va dal
periodo del Vespro, fino al XIX secolo, non è stata sufficientemente
studiata e valutata. Solo verso gli ultimi decenni del secolo
scorso, si è fatta maggiore attenzione alla realtà artistica
meridionale sviluppata da maestri provenienti dal nord Italia e
dalla nascita di importanti botteghe locali.
La perdita dei beni architettonici
Tra le altre cause che hanno
cancellato la produzione artistica siciliana, vanno considerati i
continui terremoti, gli incendi, le incurie ed i rifacimenti, che
hanno impoverito (ma non svalutato) il panorama culturale di quei
secoli nell’Isola. Basti pensare alla città di Messina, che nel
Cinquecento era una realtà riccamente trainante nei commerci e
nell'economia isolana, oltre ad essere tra le più aperte alle novità
e agli influssi culturali, dovuto al suo ruolo di cerniera con il
continente. I continui terremoti (del 1562, 1649, 1783, 1894 e 1908)
hanno quasi azzerato tutti i capolavori, soprattutto
architettonici, che essa conteneva. Ugualmente nella Val di Noto i
terremoti (del 1542, 1693, 1757, 1848), hanno cancellato il passato
e dato avvio ad una ricostruzione molto invasiva (anche se di gran
pregio) che alla memoria, molto spesso, si è sovrapposta, come, ad
esempio, la tribuna della Cattedrale di Palermo di Antonello Gagini,
che fu eliminata nel corso degli sviluppi del XVIII secolo. L’opera
era ritenuta il manifesto del Cinquecento siciliano. La
produzione edile di architetti come Andrea Calamech e Camillo
Camilliani è andata, anch’essa, quasi tutta perduta.
I beni testuali e archivistici
Se i beni architettonici del Cinquecento hanno subito un durissimo
colpo, ancor di più fu sofferta la perdita di beni archivistici e
librari dell’epoca. I terremoti, l’incuria e gli incendi hanno
cancellato una parte della storia isolana. La cultura umanistica
rinascimentale, che si sviluppò in Sicilia, fu di primaria
importanza, con studi dal greco, dal latino, dall'arabo e
dall'ebraico. Tra gli studiosi e letterati siciliani, si possono
annoverare Antonio Beccadelli (detto il Panormita), Lucio Marineo
Siculo, Giovanni Aurispa, Antonio Cassarino, Pietro Ranzano, tutti
ampiamente riconosciuti per il loro valore, anche fuori della
Sicilia. Da ricordare la presenza a Messina, nel ‘500, di letterati
come Costantino Lascaris e, anche se per poco, di Pietro Bembo.
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