Come
abbiamo visto, alla fine del Quattrocento, non si erano ancora
innescate le trasformazioni linguistiche del nuovo periodo
rinascimentale. Vi erano, tuttavia, alcuni caratteri duraturi della
cultura siciliana, che se ne avevano rallentata l’espansione
dall’altra ne avrebbero caratterizzato il successivo periodo
storico. Tra questi, senz’altro, la posizione centrale del clero,
sia come principale committenza, sia come serbatoio di
religiosi-artisti. In questo periodo, inoltre, le grandi città
isolane, come Palermo e Messina (ma anche Catania e Siracusa) si
caratterizzano per la maggiore dinamicità artistica e costruttiva, e
per questo attraggono
artisti dalla penisola con un coinvolgimento culturale maggiore
delle manovalanze locali. Con un panorama più ampio di fronte a sé,
i maestri siciliani affrontano viaggi verso le capitali culturali
italiane, come Roma e Firenze, ampliando un dibattito che così
coinvolge i vari operatori siciliani.
Agli inizi del
Cinquecento, il classicismo rinascimentale non porta in Sicilia alla
costruzione di architetture rilevanti, ma, più che altro, investe la
filosofia costruttiva degli edifici. E’ il caso della
sacrestia del
Duomo di Siracusa, o delle cappelle annesse alle chiese
locali. Di queste, ne esistono attualmente un gran numero. Tra
queste: la cappella dei Confrati in Santa Maria di Betlem a Modica,
la cappella
Naselli in San Francesco a Comiso, la cappella della Dormitio
Virginis in Santa Maria delle Scale a Ragusa. o la cappella dei
Marinai nella Chiesa dell'Annunziata a Trapani, realizzata da
Gabriele di Battista. Purtroppo delle realizzazioni maggiori
esiste ben poco. La memoria ci tramanda di magnificenze: costruzioni
come la facciata rinascimentale del Duomo di Siracusa, che andò
perduta col terremoto
del 1693, oppure la monumentale tribuna della Cattedrale di Palermo,
opera di Antonello Gagini, che fu cancellata alla fine del
Settecento. La costruzione della
tribuna della
Cattedrale di Palermo, oltretutto, richiese parecchi anni di
costruzione e non poche fatiche: iniziata nel 1510 dal progettista,
Antonello Gagini, fu ultimata, nel 1574, dai figli Antonino,
Giacomo e Vincenzo Gagini.
La pittura
Lo scambio culturale tra la Sicilia ed il continente si palesa
maggiormente nell’ambito pittorico. Nel 1517 arriva a Palermo il
quadro di
Raffaello Andata al Calvario (che poi prese il nome di
Spasimo di Sicilia). Nell 1519 si trasferirono a Palermo
Vincenzo da Pavia e, successivamente, Orazio Alfani e da Napoli,
Mario di Laurito, che diffusero la "maniera" moderna di
dipingere. Contemporaneamente, artisti siciliani si attivarono fuori
dall’Isola, come
Giacomo Santoro (a Roma e Spoleto) e Tommaso Laureti (a Roma e
Bologna).
L’intenso dibattito fu fecondo per la
formazione di pittori siciliani, tra questi,
ricordiamo,
Vincenzo degli Azani e Girolamo Alibrandi. Quest’ultimo che operava
a Messina, fu certamente influenzato dall’arte di Cesare da Sesto,
che trasferitosi nella città dello Stretto, vi portò uno stile a
cavallo tra Raffaello e Leonardo da Vinci. Sempre a Messina, nel
1529 (dopo il
Sacco di Roma), giunse Polidoro da Caravaggio, che vi rimase sino
alla morte. Di lui si ricordano le decorazioni effimere che furono
realizzate in occasione dell’arrivo di Carlo V in città, nel 1535.
Tra i suoi allievi vi fu Deodato Guinaccia.
La scultura
Abbiamo visto come la scultura occupi un posto privilegiato nel
Rinascimento siciliano, dove si espresse con composizioni marmoree,
ma anche in stucco e in legno (come da tradizione locale). A
Palermo per tutto il XVI secolo opera la bottega dei Gagini, che
fornisce una committenza privata con una produzione standard di
bottega (come i tabernacoli in marmo cinti da angeli), e realizza,
contemporaneamente, prestigiosi incarichi. A capo di
essa vi era
Antonello Gagini, figlio di Domenico. A differenza del padre e del
Laurana, Antonello fu molto più ispirato dalle nuove idee, sempre
informato del dibattito in corso, tanto da superare lo stile passato
del padre. La sua ricerca lo portò anche a Roma, dove operò a
fianco dello
stesso Michelangelo, e a Messina. Grande centro di produzione
artistica, la bottega dei Gagini, oltre ai figli di Antonello, formò
nuovi scultori e artisti, tra cui Giuliano Mancino, Antonio e
Bartolomeo Berrettaro, Vincenzo Carrara, Fedele Da Corona.
Messina, a differenza del resto della Sicilia, è molto più aperta
alla cultura romana e toscana. Si incaricano prestigiosi autori per
grandi commesse cittadine.
Giovanni Angelo Montorsoli,
già
allievo di Michelangelo, dal 1547 al 1557, lavora in città con una
propria bottega, dove realizza opere che vinceranno il tempo ed i
terremoti, quali
la Fontana di Orione e la Fontana del Nettuno, ancora godibili a
Messina. Con lui collaborò Martino Montanini, a Messina dal
1547 al 1561, che divenne poi capomastro del Duomo. Montorsoli formò
artisti locali del calibro di Giuseppe Bottone. Altro arrivo
importante a Messina (nel 1563)
è quello di Andrea Calamech, allievo di Bartolomeo Ammannati. Come
per i Gagini, nella sua bottega lavoravano il figlio Francesco il
nipote Lorenzo Calamech e il genero Rinaldo Bonanno. Tra gli
artisti toscani che furono presenti nella città dello stretto,
ricordiamo inoltre: Michelangelo Naccherino e Camillo Camilliani.
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