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Il Rinascimento in Sicilia

Il Rinascimento in Sicilia?
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IL RINASCIMENTO IN SICILIA

        Anche se della stagione
    rinascimentale in Sicilia oggi ne
    rimane poco, sia per i terremoti che
    per l’eccessivo sminuzzamento,
    ciò che abbiamo “grida” la bellezza
    stilistica e culturale di questo grande
    periodo storico siciliano, molto
    spesso sottovalutato.

   

    Il Rinascimento in Sicilia?

   
     
     

 

 

la tribuna della cattedrale di Palermo in una stampa del XVIII secolo Opera del Gagini - Stampa di Gramignani (1761)

Foto da Wikimedia Commons

 





  

In genere, il Rinascimento si fa coincidere con la l’affermarsi di nuovi spunti artistici presenti a Firenze e a Roma. Anche in Sicilia, tuttavia, gli influssi classici del centro Italia si fecero sentire. Fu un’affermazione più lenta e progressiva, contaminata dalla cultura aragonese e spagnola e dalla cultura tardomedievale ancora presente nell’Isola. Durante i secoli XV e XVI, infatti, la Sicilia ebbe una dominazione prima aragonese e poi dell'impero asburgico di Carlo V e del successivo Regno di Spagna.

Può sembrare strano il parlare di rinascimento in Sicilia. Un pregiudizio, nato in epoca risorgimentale, volle i territori dell’Italia meridionale come isolati (e quindi poveri) dal resto della storia e cultura europea. Così l’arte locale, che va dal periodo del Vespro, fino al XIX secolo, non è stata sufficientemente studiata e valutata. Solo verso gli ultimi decenni del secolo scorso, si è fatta maggiore attenzione alla realtà artistica meridionale sviluppata da maestri provenienti dal nord Italia e dalla nascita di importanti botteghe locali.

La perdita dei beni architettonici
Tra le altre cause che hanno cancellato la produzione artistica siciliana, vanno considerati i continui terremoti, gli incendi, le incurie ed i rifacimenti, che hanno impoverito (ma non svalutato) il panorama culturale di quei secoli nell’Isola. Basti pensare alla città di Messina, che nel Cinquecento era una realtà riccamente trainante nei commerci e nell'economia isolana, oltre ad essere tra le più aperte alle novità e agli influssi culturali, dovuto al suo ruolo di cerniera con il continente. I continui terremoti (del 1562, 1649, 1783, 1894 e 1908) hanno quasi azzerato tutti i capolavori, soprattutto  architettonici, che essa conteneva. Ugualmente nella Val di Noto i terremoti (del 1542, 1693, 1757, 1848), hanno cancellato il passato e dato avvio ad una ricostruzione molto invasiva (anche se di gran pregio) che alla memoria, molto spesso,  si è sovrapposta, come, ad esempio, la tribuna della Cattedrale di Palermo di Antonello Gagini, che fu eliminata nel corso degli sviluppi del XVIII secolo. L’opera era ritenuta il manifesto del Cinquecento siciliano.
La produzione edile di architetti come Andrea Calamech e Camillo Camilliani è andata, anch’essa, quasi tutta perduta.

I beni testuali e archivistici
Se i beni architettonici del Cinquecento hanno subito un durissimo colpo, ancor di più fu sofferta la perdita di beni archivistici e librari dell’epoca. I terremoti, l’incuria e gli incendi hanno cancellato una parte della storia isolana.
La
cultura umanistica rinascimentale, che si sviluppò in Sicilia, fu di primaria importanza, con studi dal greco, dal latino, dall'arabo e dall'ebraico. Tra gli studiosi e letterati siciliani, si possono annoverare Antonio Beccadelli (detto il Panormita), Lucio Marineo Siculo, Giovanni Aurispa, Antonio Cassarino, Pietro Ranzano, tutti ampiamente riconosciuti per il loro valore, anche fuori della Sicilia. Da ricordare la presenza a Messina, nel ‘500, di letterati come Costantino Lascaris e, anche se per poco, di Pietro Bembo.

 
 

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