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Premessa
Il mondo dei Nebrodi
Cenni storici
La scultura dei Nebrodi
L'architettura medievale
L'architettura rinascimentale
  Il territorio: geologia
Il territorio: morfologia
Il territorio: idrografia
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 Conosciamo i Nebrodi
   IL TERRITORIO DEI NEBRODI:
   L'AMBIENTE NATURALISTICO, ANTROPICO,
   STORICO E   CULTURALE
 

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  La scultura dei Nebrodi    
     
     

Testo di Francesco Cimino


 

 
I NEBRODI PER IMMAGINI
"Sant’Orsola e le diecimila vergini" di Francesco Ferlito nella chiesa madre di Piraino.

 
Foto di Chiara Samugheo

 








 
La Madonna della Catena, dal Rosario ed ora nella Matrice di Alcara Li Fusi presenta forti somiglianze con la Madonna del latte della Galleria Regionale della Sicilia, attribuita a Domenico e scuola (R.De Loghu 1962); e a quella della provvidenza di S. Mauro Castelverde, documentata nel 1480 come opera di Domenico in relazione con l’altra di S. Francesco d’Assisi a Palermo.

Nella Madonna di Alcara Li Fusi si nota lo stesso ovale di tipo lauranesco, lo stesso sguardo triste e pensoso, la stessa stilizzazione nelle mani da manichino, la stessa caratterizzazione tipologica del bambinello appollaiato instabilmente sull’avambraccio materno.

Le referenze con il Laurana sono evidenti anche nell’impostazione prospettica vicina alla Madonna di scuola lauranesca di Castelvetrano (B. Patera 1965).

Si tratta quindi di opera di grande qualità uscita dalla bottega del maestro lombardo.

Un altro lombardo: Gabriele di Battista o da Como, già introdotto come costruttore e marmoraro nella committenza palermitana, solo, o più spesso con altri soci e con il genero, lo scultore carrarese Giuliano Mancino, giunto nella capitale nel 1499, continua il repertorio stilizzato desunto da Domenico.

Una Madonna della catena nella Matrice di Mirto, in relazione con la già citata Madonna del soccorso di S. Mauro Castelverde, e creduta dispersa (A.W. Kruft 1976) o variamente attribuita con qualche sfasamento temporale, riteniamo debba essergli restituita, giacché, oltre alle referenze stilistiche ben precise, esiste persino l’atto di allogazione (19 Marzo 1499) G. de Battista e Domenico Pellegrino vendono a Theo Protopapa una Vergine con Bambino per la Chiesa Madre, Not. Matteo Ventimiglia, Reg. 1363 (F. Meli, 1959). Il Kruft non cita questo documento, ma un altro del 1500 identico, negli atti del notaio Giacomo Lucido Reg. 1874 dell’Archivio di Stato di Palermo, forse perfezionamento del primo contratto.

Un’altra Vergine del Soccorso con lo stemma dei Filangeri sulla base, nella chiesa di S. Maria dell’aiuto a S. Marco d’Alunzio, gli è stata attribuita parzialmente dal Kruft (plinto e bambinello postulante) mentre il resto sarebbe di un collaboratore che si ispira alla Madonna di Domenico Gagini in S. Francesco di Palermo per lo schema, e a quella di Marsala per lo stile, mentre nella grotta presepiale della base, riferibile a Gabriele, sono evidenti i refusi iconografici con il fonte del Museo Pepoli di Trapani.

Dello stesso Gabriele de Battista, la Madonna della presentazione del Duomo di Taormina eseguita in società con Andrea Mancino, e che per l’impostazione prospettico-spaziale del bambinello è una delle prove più alte della scultura del lombardo, ci ha permesso l’attribuzione della sua variante medita nella matrice di Ucria, da S. Maria della Scala. Entrambe in relazione con quella di Giorgio da Milano in S. Maria di Gesù a Termini Imerese.

Anche una Madonna del lume della matrice di S. Angelo di Brolo, con drappeggi metallici, tipici dei lombardi della cerchia dei Mantegazza scesi verso il Sud dopo aver fatto tappa a Napoli (A. Barricelli 1973) come quel Lazzaro Maffiolo, il cui nome ricorre nei documenti del Di Marzo, presenta afferenze anche con la scultura di Gabriele nell’impostazione anatomica, dimostrando quanto essa fosse nota per essere imitata.

Le pieghe spezzate ed appiattite, le mani attaccate al polso in maniera rigida, le dita lignee da marionetta compaiono in altre Madonne dei Nebrodi come quella della Matrice di Militello Rosmarino eseguita certo in collaborazione con Andrea Mancino, giacché il viso è tipologicamente simile a quello della Madonna di Caccamo del 1500, opera certa del carrarese.

Andrea Mancino, anche lui forse carrarese, come quel Giuliano omonimo, pure marmoraro che ne sposò la nipote.

Allievo e "socio" di Domenico Gagini per un anno, prima che la morte cogliesse il grande maestro nel 1492, collaboratore prima del figlio di lui Giovannello Gagini, affidatogli dal padre, ed alla sua prematura scomparsa, del suocero Gabriele di Battista in lavori di decorazione architettonica come colonne e capitelli del chiostro di S. Francesco e dei Palazzi Abatellis ed Aiutamicristo a Palermo.

 
 

     

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