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Premessa
Il mondo dei Nebrodi
Cenni storici
La scultura dei Nebrodi
L'architettura medievale
L'architettura rinascimentale
  Il territorio: geologia
Il territorio: morfologia
Il territorio: idrografia
Il territorio: vegetazione e flora
Il territorio: fauna

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 Conosciamo i Nebrodi
   IL TERRITORIO DEI NEBRODI:
   L'AMBIENTE NATURALISTICO, ANTROPICO,
   STORICO E   CULTURALE
 

Per saperne di più  

 
   
 
  La scultura dei Nebrodi    
     
     

Testo di Francesco Cimino


 

 
I NEBRODI PER IMMAGINI
Sant’Angelo di Brolo: "Il Sangue di Cristo" detto anche "Le anime del Purgatorio" di Tomaso da Tortorici.

 
Foto di Chiara Samugheo

 








 
Che il Mancino fosse un marmoraro e non un architetto, lo dimostrano le sculture eseguite in collaborazione con Antonio Vanella, come il ciborio marmoreo del Duomo di Nicosia, che in un primo tempo era stato commissionato a Gabriele de Battista e che poi venne eseguito dai due soci dal 1497 al ‘99.

Anche il timpano del portale della chiesa madre di Santa Lucia del Mela, che fornisce il modello per quello del Duomo di Mistretta datato 1848 ed attribuito variamente ad Andrea e Giovanni da Milano (Bellafiore 1963) allo stesso e Giovannello Gagini (Accascina 1959) ed al solo Andrea (Kruft 1976), è una delle opere più riuscite del carrarese, che evidenzia i caratteri del suo stile, quali la sfericità lauranesca dei capi, i bordi dei drappeggi a festoni paralleli ed appiattiti, l’arricciatura metallica dei capelli, reperibili in altre sculture sacre dei Nebrodi, come l’medita S. Margherita del convento delle Clarisse di Tortorici che ha forti affinità con l’Annunziata della chiesa omonima di Ucria.

Fra gli altri toscani immigrati, anche il carrarese Antonio Vanella socio di Andrea Mancino, con il quale lavora, come si è visto per la custodia di Nicosia.

Maria Accascina (1959,1960) ritenne lo scultore collaboratore di gran lunga inferiore al socio, anzi, semplice scalpellino, "dalla vita grama, come era stata grama la sua scultura, lavorando in zone periferiche".

Il tabernacolo di marmo ad una sola nicchia, nell’Annunziata di Ficarra, non specificato dalla studiosa, come non lo fu dal Di Marzo, che afferma di non averlo reperito, malgrado lo strumento rogato in Palermo il 23 Giugno 1514, con il quale si promette ad un Antonio Piccolo di quella terra, un tabernacolo di marmo bianco con sportello dorato, invece è tuttora in situ e ci rivela, oltre che una mano felice, una sintesi compositiva legata agli stilemi più caratterizzanti di Domenico Gagini, nella levigatezza plastica della materia (Barricelli 1986). Una statua dello stesso marmoraro si trova nella cattedrale di Patti, in una nicchia alla sommità del coro, si tratta di una Vergine con iscrizione sul basamento che ne indica l’autore: hoc opus fecit M. Ant. Vanelli Paomi, di fattura un po’ legnosa e più in armonia con le opere di Domenico che di Antonello Gagini, è d’altra parte perfettamente consona alla custodia di Nicosia, specie nella tipologia dei volti e nei riscontri formali del panneggio angoloso dello scultore, in ritardo con i tempi, ma non privo di dignità professionale.

Un altro carrarese era giunto frattanto a Messina nel 1513, Giovan Battista Mazzolo, "capomastro" de la ecclesia maggiore attivo anche nella scultura funeraria, sino al catanese.

Lo troviamo inaspettatamente anche a Raccuia, dove Bernardo Lanza gli commissiona il 5 Gennaio 1530, (Di Marzo, 18 JJO e doc....) un gruppo raffigurante l’annunciazione da spedire via mare e da consegnare "in maritima civitas Pattarum, seu Broli aut S. Juliani", cosa che fu fatta dopo tre anni.

Il gruppo tuttora conservato nella chiesa omonima non fu il solo ad essere spedito dallo scultore, giacché un’altra statua mariana, da lui siglata, per S. M. di Gesù, si trova ora nella stessa chiesa.

In entrambe le opere si evidenzia uno stile aspro, con quelle rigidezze e sfaccettature formali già messe in relazione con l’attività degli scultori lombardi della cerchia dei Mantegazza.

 
 

     

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