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Premessa
Il mondo dei Nebrodi
Cenni storici
La scultura dei Nebrodi
L'architettura medievale
L'architettura rinascimentale
  Il territorio: geologia
Il territorio: morfologia
Il territorio: idrografia
Il territorio: vegetazione e flora
Il territorio: fauna

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 Conosciamo i Nebrodi
   IL TERRITORIO DEI NEBRODI:
   L'AMBIENTE NATURALISTICO, ANTROPICO,
   STORICO E   CULTURALE
 

Per saperne di più  

 
   
 
  La scultura dei Nebrodi    
     
     

Testo di Francesco Cimino


 

 
I NEBRODI PER IMMAGINI
Cattedrale di Patti, il sarcofago della regina Adelasia.
 
Foto di Chiara Samugheo

 











 
Il figlio di Domenico, Antonello Gagini, pur abitando a Messina e poi a Palermo, è di casa nei Nebrodi, con tal mole di contratti da non riuscire a tener loro fede, se molte opere sono di collaborazione o perfezionate dai figli e dalla bottega.

Da uno dei tanti contratti (6 Luglio 1527) si apprende come Antonello avesse con la regione interessi non soltanto artistici ma anche commerciali, infatti trasporta per la vendita i suoi vini della tenuta di Carini, bene dotale della seconda moglie Antonia Valena, a Brolo, luogo di facile attracco per le navi adibite anche al trasporto delle statue. Assecondando così quel bernoccolo per gli affari che aveva portato marmorari lombardi e carraresi di stanza a Palermo, nei viaggi a vuoto a Carrara per il rifornimento dei marmi, a caricare prodotti alimentari dell’isola, come vini, zuccheri e cannamele, arance e caciocavalli.

La scultura di Antonello, contemplativa e serena, ed ancora legata a schemi quattrocenteschi, è in ritardo nei confronti del secolo nel quale opera e di cui gli unici equivalenti possono riscontrarsi in Andrea Sansovino ed in Raffaello. Anche se l’aneddottica (Susinno 1724) riferisce pareri favorevoli espressi dal Buonarroti nei confronti del maestro siciliano, se non altro circa l’arte del drappeggio, la problematica michelangiolesca non sfiorò mai il civis messanensis o Panormi intento in una sua imperturbabile visione di edonismo formale.

Fra le molte opere inviate nei Nebrodi, riteniamo forse solo la statua dell’ex convento di S. Maria di Gesù di San Piero Patti quasi del tutto originale, giacché quelle commissionate più tardi furono terminate dagli eredi.

Eseguita nel 1515, come risulta dall’iscrizione sulla base che è siglata dall’arme degli Orioles: leone rampante su monte tripartito.

Sebbene non sia rimasta traccia documentaria nel Di Marzo, forse a causa della commissione privata del nobile, noto per la sua devozione, si hanno fondate ragioni per ritenere si tratti di opera autografa, spedita da Palermo dal maestro intento in quegli anni alla redazione della tribuna del Duomo, ma attivo anche per la committenza laica.

La natività sulla base, simile a quella della Madonna di S. Leoluca di Vibo Valentia (Monteleone) ne accentua i valori pittorici e di trasparenza atmosferica, quasi da stiacciato donatelliano e ne costituisce la parte più originale. Oltre ad essere il modello per le versioni successive. La delicatezza dell’incarnato, il virtuosismo del modulo compositivo e la scioltezza dei drappeggi, dissipano i dubbi sulla paternità dell’opera derivata da quella di Domenico e scuola dell’Annunziata di Napoli e poi ripresa dall’altra di bottega della matrice di Polizzi Generosa.

 
 

     

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