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Premessa
Il mondo dei Nebrodi
Cenni storici
La scultura dei Nebrodi
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L'architettura rinascimentale
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 Conosciamo i Nebrodi
   IL TERRITORIO DEI NEBRODI:
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  La scultura dei Nebrodi    
     
     

Testo di Francesco Cimino


 

 
I NEBRODI PER IMMAGINI
Piraino, la Torre delle Ciavole.
 
Foto di Chiara Samugheo

 









 
La Madonna di San Piero ha una corrispondente in quella della Catena, nella matrice di Librizzi, sino all’86 inedita, terminata prima del 1537 daI figlio Antonino (Barricelli 1986).

Anch’essa senza contratto di allocazione, ma già dal Di Marzo reputata originale, una Madonna del Soccorso, o della mazza, nel San Giacomo di Capizzi, con la data 1517 scolpita sul basamento con il Presepe e l’Apostolo patrono, articola tridimensionalmente lo schema quattrocentesco di Domenico, in corrispondenza con l’altra, pure di Antonello, di Salemi.

Il 9 settembre 1520, Pietro da Pittignano, della terra del S. Salvatore di Fitalia, commissiona allo scultore una Vergine per la Chiesa del S.S. Salvatore (Di Marzo doc. LXXVIII) che ricalca il modello di Seminara in Calabria e di Collesano (Kruft.) e che dà l’avvio alla più impegnativa ordinazione della grande cona d’altare terminata nel ‘28. (Di Marzo Il Doc. CXXII).

Del ‘33 è il contratto (Di Marzo 110 Doc. CXXXI) per l’Annunziata della chiesa omonima di Caprileone, da eseguire, secondo quanto prescrive il latino maccheronico del testo "ad instar alterius maginis fatte per ipsum magistrum Antonellum in terra Tortoreti, ut dicitur, meglorando chi pegiorando, cum historia nativitatis Maria Virginis in Scabello", e cioè l’Annunziata della badia di S. Chiara di Tortorici, seguita cronologicamente da quella dell’Annunziata di Longi con contratto del Il Settembre 1534.

Soltanto l’Annunziata di Tortorici fu terminata da Antonello, giacché delle due, quella di Caprileone che pure come variante del primo modello, è una delle immagini più spirituali e diafane dello scultore, fu perfezionata dalla scuola, riteniamo con l’ausilio del figlio Antonino, date le referenze con la scultura di Librizzi. Mentre quella di Longi fu portata a termine da Antonino con il fratello Giacomo, che perfezionò il contratto del padre ormai "infirmus et nequensfacere servitium" nel Novembre 1536 (Di Marzo, II°, Doc. CLXXXV).

La fortuna della versione rosselliniana del presepe prosegue nelle opere monumentali di Antonello, come il retablo marmoreo per la chiesa di Santa Cita a Palermo, terminata nel ‘17 ed il cui consenso dovette essere pari a quello che accompagnò il simulacro di Trapani se, Giovan Michele Spatafora, barone di Roccella Valdemone, allogò il 13 Ottobre 1526, allo stesso maestro, una pala d’altare a soggetto presepiale, per la matrice del paese, con espresso riferimento a quello di S. Cita. Morto Antonello, l’opera venne consegnata da Giacomo Gagini nel 1540.

Le commissioni monumentali ad Antonello proseguono con la già citata cona per la chiesa madre di S. Salvatore di Fitalia, (18 Ottobre 1527 Di Marzo 110 Doc. CXXII) di circa tre metri di altezza. Nella forma tripartita di tempio rinascimentale a tre navate che racchiude Maria e i Santi Pietro e Paolo, con Eterno nella cimasa e presepe nel basamento, riprende in scala maggiore il tabernacolo della matrice di Tusa (1525) mentre l’iconografia è quella di un poco noto trittico nel S. Salvatore di Naso che unisce elementi tardo quattrocenteschi ad una dichiarata cultura antonelliana.

Il tabernacolo di Tusa, non documentato, è stato attribuito dal Kruft ad Antonello e seguace. Potrebbe trattarsi del figlio Antonino, vista la levigatezza del modellato dai valori tonali.

L’imponenza architettonica della cona-retablo suggerisce spesso quella miniaturizzata del tabernacolo che attorno allo sportello conserva la gloria di angeli e cherubini, che aveva caratterizzata la produzione del padre Domenico.

Il tabernacolo di Mirto fu commissionato ad Antonello nel 1530 (Di Marzo 110 Doc. CXX) creduto disperso dallo studioso: un tabernacolo conforme a dun altro già eseguito per S. Nicola di Tortorici l’anno precedente, probabilmente sparito assieme alla chiesa nel corso dei terremoti del 1682 e del 1754.

Ritrovato dal La Corte Cailler nel 1908 è ancora nella matrice, pur estrapolato dal suo contesto, esibisce ancora la data 1540, che lo denuncia opera successiva alla morte del maestro e quindi di atelier.

Preceduto dalla ordinazione nel ‘34 da parte del barone di Galati Blasco Lanza, di una Madonna della Grazia (Di Marzo, 110 doc. CXXX VII) che il Kruft ritiene di scuola, nel ‘35 un S. Francesco che riceve le stimmate con S. Leo intento nella lettura, per l’omonimo convento di Tortorici, una delle poche figure maschili di repertorio, richieste dalla committenza, molto precisa e tassativa anche nello stabilire dei particolari strutturali, quali l’aggancio del serafino al muro per mezzo di "unum frustum marmoris, quodfrustum possit salvari intus parietem, ita quod imago dicti seraflni cum suo trono possit stare tota et integra extra dictum perietem", e che però, malgrado dette precauzioni, già al tempo del Di Marzo, aveva preso il volo...

Il gruppo da consegnare l’Aprile successivo al contratto, per la sopraggiunta morte dello scultore, o mese indicato per la consegna, fu terminato nel 1559, presumibilmente dal figlio Giacomo (Kruft 1980).

 
 

     

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