Ma già la scultura seguiva il nuovo corso avviato dai toscani giunti a
Messina ed attivi anche nel campo dellarchitettura, come Fra Angelo Montorsoli
"capo maestro dellEcclesia Maggiore" per sette anni dal 1550, e
già aiuto di Michelangelo a Roma, nella tomba di Giulio 110, e a Genova del
raffaellesco Perin del Vaga in Palazzo Doria.
Seguito dal fiorentino
Martino Montanini che nel 57 subentra al servita nella carica di capo mastro
scultore del Duomo. Con lui si rafforza il manierismo michelangiolesco ed il gusto
antiquario di un classicismo prezioso, già presente in pittura nellarte di Cesare,
da Sesto e Polidoro da Caravaggio e la folta schiera di seguaci messinesi.
I bassorilievi si fanno
trasparenti e duttili come cera, in rapporto con la contemporanea scultura spagnola
presente a Napoli e nel viceregno.
Con larrivo del terzo
toscano, il carrarese Andrea Calamech, nominato dal Senato messinese protomastro scultore
del Duomo (1563), ed incaricato della ristrutturazione del tessuto urbano della
città, attraverso risanamenti viari, restauri ed arredo edilizio, secondo la nuova
estetica manierista, si forma una nutrita bottega, composta non soltanto dal figlio
Francesco e dai nipoti, Lorenzo, Lazzaro e Jacopo, ma anche da artisti locali come Rinaldo
Bonanno, nato verso il 1545-6 a Raccuia ed allievo prima, alletà di
quattordici anni, del Montanini, e poi di Andrea Calamech del quale nel 1527 sposa la
figliola.
Il Bonanno è la sola
personalità autoctona, nel mare della scultura di importazione che riesca ad emergere,
sullo scorcio del secolo, a Messina.
Allo scarno catalogo delle
opere fornito dal Susinno (1724) e dal Di Marzo, studi recenti hanno consentito di dare
nuove aggiunte e precise connotazioni allo scultore per lo più impegnato in committenze
sacre e funerarie (tomba di Giovanni Retana nella Cattedrale), arredo urbano di archi
effimeri e fontane, distrutte dallultimo terremoto (M. Accascina 1961-64, M.
Fallico, 1966-68, B. Saccone, 1960).
Fra le prime opere del
Bonanno, il S. Sebastiano marmoreo della Matrice di Raccuia, con scene dal martirio
sul plinto seguito da un altro, su scala minore, forse bozzetto nella chiesa madre di Alì
superiore, entrambe del 1565 (S. La Barbera Bellia 1984).
Del 75 è la Madonna
della grazia, del monastero di S. Maria di Ficarra che nel movimento di rotazione del
busto porge alladorazione dei fedeli un bambinello rampante, secondo gli schemi di
maniera del Montorsoli (Madonna del popolo di Tropea), che però vengono addolciti dalla
assuefazione onnipresente alle forme antonelliane.
Una serie di Vergini dai
drappeggi orizzontali segue lo schema di quella di Ficarra nel dinamismo nervoso del
bambinello e nel manto teso come uno schermo a nascondere il profilo del bacino, dilatato,
tanto da denominare una di esse, quella della Matrice di Sinagra: Madonna di lu partu, commissionata
evidentemente dai Lucchesi-Palli, baroni di quella terra, di cui si nota lo stemma ai lati
del piedistallo.
In essa è più vistosa la
dipendenza gaginiana, come lo è in quella della Chiesa Madre di Naso, che
riteniamo della stessa mano; mentre la Madonna del Lume, sullaltar maggiore
della Matrice di S. Angelo di Brolo, pur evidenziando unidentica tipologia,
si diversifica nella resa più analitica e nervosa del panneggio. |