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Premessa
Il mondo dei Nebrodi
Cenni storici
La scultura dei Nebrodi
L'architettura medievale
L'architettura rinascimentale
  Il territorio: geologia
Il territorio: morfologia
Il territorio: idrografia
Il territorio: vegetazione e flora
Il territorio: fauna

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 Conosciamo i Nebrodi
   IL TERRITORIO DEI NEBRODI:
   L'AMBIENTE NATURALISTICO, ANTROPICO,
   STORICO E   CULTURALE
 

Per saperne di più  

 
   
 
  La scultura dei Nebrodi    
     
     

Testo di Francesco Cimino


 

 
I NEBRODI PER IMMAGINI
Naso, Chiesa di Santa Maria del Gesù, annessa al Convento dei Minori Osservanti, portale
 
Foto di Chiara Samugheo

 









 
In base a precise analogie di questo inconfondibile stile, possiamo attribuire allo scultore anche una custodia della Chiesa Madre del vicino Castel di Lucio, con la Madonna ed Angeli nel registro superiore e SS. Pietro e Paolo in quello inferiore, fatta eseguire nel 1544 dal prete Matteo de Amato ed una Madonna nell’Annunziata di Motta d’Affermo, che unisce allo schema antonelliano di maniera una briosa resa dei particolari.

Ma già la scultura seguiva il nuovo corso avviato dai toscani giunti a Messina ed attivi anche nel campo dell’architettura, come Fra’ Angelo Montorsoli "capo maestro dell’Ecclesia Maggiore" per sette anni dal 1550, e già aiuto di Michelangelo a Roma, nella tomba di Giulio 110, e a Genova del raffaellesco Perin del Vaga in Palazzo Doria.

Seguito dal fiorentino Martino Montanini che nel ‘57 subentra al servita nella carica di capo mastro scultore del Duomo. Con lui si rafforza il manierismo michelangiolesco ed il gusto antiquario di un classicismo prezioso, già presente in pittura nell’arte di Cesare, da Sesto e Polidoro da Caravaggio e la folta schiera di seguaci messinesi.

I bassorilievi si fanno trasparenti e duttili come cera, in rapporto con la contemporanea scultura spagnola presente a Napoli e nel viceregno.

Con l’arrivo del terzo toscano, il carrarese Andrea Calamech, nominato dal Senato messinese protomastro scultore del Duomo (1563), ed incaricato della ristrutturazione del tessuto urbano della città, attraverso risanamenti viari, restauri ed arredo edilizio, secondo la nuova estetica manierista, si forma una nutrita bottega, composta non soltanto dal figlio Francesco e dai nipoti, Lorenzo, Lazzaro e Jacopo, ma anche da artisti locali come Rinaldo Bonanno, nato verso il 1545-6 a Raccuia ed allievo prima, all’età di quattordici anni, del Montanini, e poi di Andrea Calamech del quale nel 1527 sposa la figliola.

Il Bonanno è la sola personalità autoctona, nel mare della scultura di importazione che riesca ad emergere, sullo scorcio del secolo, a Messina.

Allo scarno catalogo delle opere fornito dal Susinno (1724) e dal Di Marzo, studi recenti hanno consentito di dare nuove aggiunte e precise connotazioni allo scultore per lo più impegnato in committenze sacre e funerarie (tomba di Giovanni Retana nella Cattedrale), arredo urbano di archi effimeri e fontane, distrutte dall’ultimo terremoto (M. Accascina 1961-64, M. Fallico, 1966-68, B. Saccone, 1960).

Fra le prime opere del Bonanno, il S. Sebastiano marmoreo della Matrice di Raccuia, con scene dal martirio sul plinto seguito da un altro, su scala minore, forse bozzetto nella chiesa madre di Alì superiore, entrambe del 1565 (S. La Barbera Bellia 1984).

Del ‘75 è la Madonna della grazia, del monastero di S. Maria di Ficarra che nel movimento di rotazione del busto porge all’adorazione dei fedeli un bambinello rampante, secondo gli schemi di maniera del Montorsoli (Madonna del popolo di Tropea), che però vengono addolciti dalla assuefazione onnipresente alle forme antonelliane.

Una serie di Vergini dai drappeggi orizzontali segue lo schema di quella di Ficarra nel dinamismo nervoso del bambinello e nel manto teso come uno schermo a nascondere il profilo del bacino, dilatato, tanto da denominare una di esse, quella della Matrice di Sinagra: Madonna di lu partu, commissionata evidentemente dai Lucchesi-Palli, baroni di quella terra, di cui si nota lo stemma ai lati del piedistallo.

In essa è più vistosa la dipendenza gaginiana, come lo è in quella della Chiesa Madre di Naso, che riteniamo della stessa mano; mentre la Madonna del Lume, sull’altar maggiore della Matrice di S. Angelo di Brolo, pur evidenziando un’identica tipologia, si diversifica nella resa più analitica e nervosa del panneggio.

 
 

     

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