PATERNO'
La
Storia, a volte, disegna dei tracciati
e dei valori che poi, nel tempo, si perdono.
E’ il caso di Paternò. La città era prediletta
dalle regine aragonesi, divenendo, poi, il
feudo dei principi Moncada. Oggi
la cittadina etnea si distingue per la
produzione delle arance rosse
Sanguinelle e per
i suoi ficodindia. Il Parco dell’Etna, con
Paternò, svela un paesaggio nascosto, forse
lo stesso dell’antica nobiltà…
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L’epoca contemporanea
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Nella Sicilia nella prima metà dell’Ottocento vi
furono sommosse e insurrezioni che segnarono e formarono la spinta
verso l’unità italiana. Vi furono rivolte nel 1820, 1837 e nel 1848.
Paternò non si tirò indietro, partecipando ad ogni tentativo
antiborbonico. Perfino nel 1860, verso l’arrivo di Garibaldi, si
registrò un’insurrezione popolare. Il 17 maggio, i tumulti permisero
a volontari garibaldini di scontrarsi con un reparto borbonico,
al comando del colonnello
Mella, e avere la
meglio. La strada aperta portò Garibaldi, poi, a conquistare
Catania. Il Generale stesso tornò, nel 1864, a Paternò, osannato
dagli abitanti.
Dopo l’unità d’Italia, il paese soffriva
ancora di epidemie di colera, essendo vicino al fiume Simeto e,
praticamente, nella pianura di Catania. Vennero fatti progetti di
bonifica della pianura alla fine del secolo, attuati, però, solo nei
successivi decenni del XX secolo. Con l’aumento della superfice
coltivabile, furono create vaste aree ad agrumeti. Questa
opportunità attrasse contadini e braccianti dai paesi limitrofi e
dalle province di Messina ed Enna. Nella prima metà del
Novecento, Paternò conobbe un periodo più protettivo solo negli anni
successivi al 1936, dopo le Sanzioni economiche, quando il fascismo
avviò la politica autarchica. La produzione agrumaria venne
incentivata, coinvolgendo anche le zone di Paternò (non vi era più
concorrenza straniera). Nel primo conflitto mondiale furono 600 i
paternesi a perdere la vita nelle trincee, ma fu il secondo
conflitto a provocare una dura rovina. Nella conquista dell’isola
siciliana da parte degli Alleati, si registrarono pesanti
bombardamenti a Paternò. Dal 14 luglio del 1943 fino al 3 agosto,
aerei anglo-americani bombardarono il paese etneo. Con il ritiro
delle truppe tedesche e l’arrivo dei soldati inglesi, la situazione
si normalizzò. La realtà seguente era disastrosa: ben l’80% del
paese era in rovina. Sotto le
macerie furono trovate più di 4.000 vittime, e si contarono ben
2.320 feriti. Questi dati, comunque, sono stati contestati
dal giornalista
paternese Ezio Costanzo, che, dopo attente ricerche demografiche,
ritiene che i morti causati dai bombardamenti non abbiano superato
le 500 vittime.
Ricostruzione e nuova urbanistica
Alla fine
della guerra, la vera ricostruzione avvenne negli anni tra il ’60 e
’70 del secolo. Venne applicata una nuova urbanistica e
l’edificazione di alcuni nuovi quartieri. In quegli anni la
ricostruzione fu anche disordinata e spesso abusiva. Quando il piano
regolatore fu rispettato i risultati sono stati apprezzabili. E’ il
caso del quartiere Ardizzone, a nord di Paternò, ricco di servizi e
verde urbano. Negli anni novanta lo sviluppo del centro in
periferia, però, ha causato lo spopolamento del centro storico,
quasi dimezzato come numero di abitanti (dal dopoguerra agli anni di
fine secolo). Sul dito di Paternò nel 2005 fu prevista la
realizzazione di un termovalorizzatore per lo smaltimento dei
rifiuti. Più o meno in un area archeologica e naturale come quella
del Simeto. Dopo tre anni di contestazione popolare, la Regione
siciliana ha annullato il progetto (anche in odore di mafia).
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