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Paternò, la città delle regine e dei principi

Introduzione
Il toponimo di Paternò
Hybla Major ed Imessa
Le antiche etnie: i Siculi
I primordi e la nascita di Paternò
Le regine e Paternò
L'epoca contemporanea
La famiglia dei Moncada
Antiche architetture
La religiosità a Paternò
Dialetto e folclore
Il vulcano Etna
Il Parco dell'Etna
L'arancia rossa di Sicilia
Il ficodindia dell'Etna

Video su Paternò
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PATERNO'

      La Storia, a volte, disegna dei    tracciati
   e dei valori che poi, nel tempo, si perdono.
   E’ il caso di Paternò. La città era prediletta
   dalle regine aragonesi, divenendo, poi,
   il feudo dei principi Moncada.  Oggi la
   cittadina etnea si distingue per la produzione
   delle arance rosse Sanguinelle e per i suoi
   ficodindia. Il Parco dell’Etna, con Paternò,
   svela un paesaggio nascosto, forse
   lo stesso dell’antica nobiltà…

   

    L’epoca contemporanea

   
     
     

 

 

Uno scorcio della Via Vittorio Emanuele nella zona delle Palme, alla fine del XIX secolo

Da un'antica guida del 2008 a cura del Touring Club Italiano
Foto da Wikimedia Commons

 
 





 

  Nella Sicilia nella prima metà dell’Ottocento vi furono sommosse e insurrezioni che segnarono e formarono la spinta verso l’unità italiana. Vi furono rivolte nel 1820, 1837 e nel 1848. Paternò non si tirò indietro, partecipando ad ogni tentativo antiborbonico. Perfino nel 1860, verso l’arrivo di Garibaldi, si registrò un’insurrezione popolare. Il 17 maggio, i tumulti permisero a volontari garibaldini di scontrarsi con un reparto borbonico, al comando del colonnello Mella, e avere la meglio. La strada aperta portò Garibaldi, poi, a conquistare Catania. Il Generale stesso tornò, nel 1864, a Paternò, osannato dagli abitanti.

Dopo l’unità d’Italia, il paese soffriva ancora di epidemie di colera, essendo vicino al fiume Simeto e, praticamente, nella pianura di Catania. Vennero fatti progetti di bonifica della pianura alla fine del secolo, attuati, però, solo nei successivi decenni del XX secolo. Con l’aumento della superfice coltivabile, furono create vaste aree ad agrumeti. Questa opportunità attrasse contadini e braccianti dai paesi limitrofi e dalle province di Messina ed Enna.
Nella prima metà del Novecento, Paternò conobbe un periodo più protettivo solo negli anni successivi al 1936, dopo le Sanzioni economiche, quando il fascismo avviò la politica autarchica. La produzione agrumaria venne incentivata, coinvolgendo anche le zone di Paternò (non vi era più concorrenza straniera).
Nel primo conflitto mondiale furono 600 i paternesi a perdere la vita nelle trincee, ma fu il secondo conflitto a provocare una dura rovina. Nella conquista dell’isola siciliana da parte degli Alleati, si registrarono pesanti bombardamenti a Paternò. Dal 14 luglio del 1943 fino al 3 agosto, aerei anglo-americani bombardarono il paese etneo. Con il ritiro delle truppe tedesche e l’arrivo dei soldati inglesi, la situazione si normalizzò. La realtà seguente era disastrosa: ben l’80% del paese era in rovina.  Sotto le macerie furono trovate più di 4.000 vittime, e si contarono ben
2.320 feriti. Questi dati, comunque, sono stati contestati dal giornalista paternese Ezio Costanzo, che, dopo attente ricerche demografiche, ritiene che i morti causati dai bombardamenti non abbiano superato le  500 vittime.

Ricostruzione e nuova urbanistica
Alla fine della guerra, la vera ricostruzione avvenne negli anni tra il ’60 e ’70 del secolo. Venne applicata una nuova urbanistica e l’edificazione di alcuni nuovi quartieri. In quegli anni la ricostruzione fu anche disordinata e spesso abusiva. Quando il piano regolatore fu rispettato i risultati sono stati apprezzabili. E’ il caso del quartiere Ardizzone, a nord di Paternò, ricco di servizi e verde urbano. Negli anni novanta lo sviluppo del centro in periferia, però, ha causato lo spopolamento del centro storico, quasi dimezzato come numero di abitanti (dal dopoguerra agli anni di fine secolo).
Sul dito di Paternò nel 2005 fu prevista la realizzazione di un termovalorizzatore per lo smaltimento dei rifiuti. Più o meno in un area archeologica e naturale come quella del Simeto. Dopo tre anni di contestazione popolare, la Regione siciliana ha annullato il progetto (anche in odore di mafia).

 
 

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