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Guglielmo II detto “il Buono” (non a caso), è passato alla storia
per la sua misura e tolleranza, per il suo amore per l’arte e per la
sua generosità. Nella sua corte si riunivano artisti, dame ed avventurieri di ogni cultura e di ogni religione. A tal proposito si narra che, durante il terribile terremoto, che distrusse Catania, ma avvertito anche a Palermo, alcune dame della sua corte per la paura invocarono Allah. Poiché la religione ufficiale era quella cristiana, temettero una punizione. Guglielmo II, invece, le rassicurò con la celebre frase: «Ognuno preghi il Dio in cui crede». Esempio di tolleranza enorme rispetto ai tempi. Nel campo artistico arricchì Palermo con edifici divenuti famosi per la loro bellezza, come la reggia e il duomo di Palermo, il chiostro e il tempio di Monreale, l’ultimazione del castello della Zisa, e la costruzione di quello della Cuba. Diede a Palermo anche i celebri giardini, citati dal Boccaccio in una storia del suo Decamerone (la VI novella della v giornata), in cui si parla di «case bellissime di un giardino di Palermo, il quale chiamavan la Cuba». Durante il suo regno commise un grave errore che costò caro ai normanni siciliani. Egli diede il permesso alle nozze di sua zia Costanza d’Altavilla con Enrico VI di Svevia, figlio del Barbarossa (27 gennaio 1186). Consigliato male dall’arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamil e senza ascoltare il cancelliere Matteo d’Aiello. Poiché la zia era erede del regno, aprì in pratica le porte alla casata tedesca. |
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