Tra gli aspetti curiosi
legati alle parlate delle isole linguistiche è il bilinguismo. Esso
nasce dal semplice fatto che i parlanti siciliani non capivono il
linguaggio, ad esempio, gallo-italico. Per loro questi ultimi erano
"i francisi", cioè "i francesi": siciliani stranieri in
terrasaiciliana. I nativi di queste aree presero, perciò, a parlare
nei campi e in famiglia, il gallo-italico, e in paese o con gli
altri siciliani, in dialetto siciliano. Agli inizi del
Novecento, il gallo-italico divenne una lingua a se strante, tanto
che alcuni poeti locali iniziarono ad utilizzarlo per le loro
composizioni. E’ il caso di
Antonino Ranfaldi, di
Aidone, che in una sua composizione testimonia del loro bilinguismo
con “i forestieri”. Oggi, i forestieri sono quelli che parlano
italiano, piuttosto che gli altri siciliani, confermando quello che
avviene ovunque, con la conoscenza dell’italiano e del proprio
dialetto.
Una situazione diversa si registra per i comuni
posti molto all’interno dell’isola. La loro posizione isolata ha
contribuito al mantenimento della parlata originaria. E’ il caso, ad
esempio, di Nicosia, Sperlinga, San Fratello e Novara di
Sicilia. Qui l’antico dialetto è divenuto fonte di orgogliosa
identità paesana, elemento di coesione e di diversità. L’antica
lingua è protetta e conservata, isola reale che li distingue e li
associa. L’antico dialetto è diffuso in tutti gli strati sociali
come lingua d’appartenenza e riconoscimento. Naturalmente e a
maggior ragione, in questi paesi si utilizza il bilinguismo.
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