Per lingua volgare nell’Europa occidentale del medioevo si
definiva la lingua del vulgus,
cioè parlata dal popolo. Essa si era formata dopo la caduta
dell’impero romano. In un periodo di massima chiusura di ogni
comunicazione, con i barbari che imperversavano, le singole comunità
si formarono il loro dialetto. In parte essi originavano dalle
lingue preromane, in parte dal latino, in parte dalle popolazioni
confinanti e in parte dagli influssi delle varie tribù barbariche.
Tra i nobili, la Chiesa cattolica e come lingua ufficiale rimase il
latino, ma non più quello dell’epoca classica. D’altra parte, anche
nell’antica Roma, il latino parlato dalle classi agiate e
culturalmente più elevate e quello della comune popolazione
differivano. Il latino delle classi meno agiate era denominato "sermones
vulgares"). Da tutti questi dialetti si sono formate le lingue
romanze, oggi divenute lingue di Stato, come l’italiano, il francese
o lo spagnolo.
Se non si può dare una data di nascita della
lingua volgare, gli studiosi concordano che già dal secolo VIII,
l’uso del volgare è divenuto necessario per la comprensione
reciproca, anche basandosi su una serie di documenti ritrovati che
ne fanno uso. Tra questi i più importanti sono: l'Indovinello
veronese (dell’800 circa), il Giuramento
di Strasburgo, redatto in volgare francese e tedesco (dell’842), i
Placiti cassinesi (del 960 circa), e
la Guaita di
Travale
(del 1158).
Nell'XI secolo, il volgare appare in una molteplicità di
scritti e documenti, di tipo giuridico, ecclesiastico e mercantile,
che ne comprovano, ormai, l’uso continuo.
L’uso del volgare
e una prima forma di letteratura italiana lo abbiamo a partire dal
XIII secolo. I testi in volgare testimoniano la volontà d’essere
compresi in tutta la penisola italiana. Di questo periodo l’analisi
poggia sugli scritti di Francesco d'Assisi (1181-1226) e della
scuola poetica
siciliana (1250 circa). Di quest’ultima, lo scritto
più famoso (e forse il più importante) in volgare siciliano è
"Rosa fresca aulentissima" di Cielo d’Alcamo.
Francesco De
Sanctis, nella sua
Storia della letteratura italiana (XIX secolo), rileva, che,
in realtà il volgare siciliano era così denominato perché esistente
nel Regno di Sicilia. Gli autori della Scuola, infatti,
utilizzavano, oltre al siciliano, diversi volgari meridionali, tra
cui il volgare napoletano, (detto
pugliese). Quindi, queste prime opere risentono dell’influenza
dei vari dialetti locali, anche se esiste la volontà di decantare
una lingua comune comprensibile su tutta la penisola. Andrea da
Grosseto, nel 1268,
traduce dal latino al volgare (il primo a farlo) i Trattati
morali scritti da Albertano da Brescia. L’autore stesso definisce il
suo trattato italico.
Nel secolo successivo
appaiono i grandi poeti toscani, come Dante (1265-1321),
Petrarca (1304-1374) e Boccaccio (1313-1375).
Gli autori fanno uso
di un volgare toscano corretto di alcune espressioni non presenti
nei dialetti di altre regioni. Il frutto del loro lavoro è la
nascita della lingua italiana. Tuttavia, in questa prima fase la
nuova lingua è utilizzata solo in ambiti ristretti, come quelli
artistici e letterari.
In realtà, il volgare come lingua
comune non attecchisce subito. Se si esclude la zona toscana, le
classi nobili e gli studiosi del resto d’Italia continuano nell’uso
del latino. A facilitarli è la riscoperta delle opere della
classicità, fino allora chiuse nelle biblioteche o nelle abbazie,
che sfocerà nel Quattrocento nell’Umanesimo. Ciononostante, durante
il XV secolo, la lingua volgare si affianca al latino. Gli stessi
ricercatori della classicità divengono bilingue, creando testi in
latino per una cerchia ristretta e testi in volgare , per una
comprensione e diffusione più ampia. A volte si trovano testi in
tutte e due le lingue. La situazione si protrarrà fino alla metà del
Cinquecento, quando il volgare soppianterà la lingua classica.
Merito di ciò è la progressiva diffusione di testi stampati in
tipografia in lingua volgare. Il latino continuerà a sopravvivere
come lingua religiosa e come lingua franca per gli
ambasciatori, per i letterati e gli scienziati. Grandi della
scienza, nei secoli successivi hanno continuato a diffondere le loro
ricerche utilizzando il latino. Tra questi, ricordiamo Newton,
Eulero e Gauss. La lingua franca diverrà, in seguito, il francese e
ore l’inglese.
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