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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
Altri poeti della Scuola
Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
Guelfi e ghibellini
 
Alcamo e la sua storia
Il castello d'Alcamo e le
antiche mura

Il castello di Calatubo
La Chiesa Madre ed altre chiese
Riserva naturale Bosco di Alcamo

Video su Federico II e la
Scuola siciliana

Video su Alcamo
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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

    L’invenzione del Sonetto

   
     
     

 

 

Rappresentazione di una lezione universitaria verso il 1350, di Laurentius de Voltolina, seconda metà del XIV sec

sailko 
Foto da Wikimedia Commons

 





 

Il termine “sonetto” ha origine dal provenzale sonet (suono, melodia), all’armonia dei versi, infatti, si affiancava, come nella canzone, un accompagnamento musicale. Gian Giorgio Trissino, già riteneva che sonetto stava per "piccolo suono" e poiché “suono” allora voleva dire canto, potrebbe essere tradotto in  “piccolo canto”.

La sua metrica si sviluppa su quattordici versi endecasillabi, divisi in due gruppi: il primo ("fronte") composto di due quartine, o a rima alternata o incrociata e, il secondo ("sirma"), in due terzine a rima varia. Un esempio della sequenza metrica di un sonetto, può seguire lo schema: ABBA - ABBA | CDEEDC, oppure, ABAB- ABAB - CDE - EDC, ma i possibili schemi possono essere molti, con varie disposizioni o modifiche sostanziali del numero e tipo di righe.
Giacomo da Lentini, l’inventore, derivò la metrica probabilmente modificando o una “stanza” di una “canzone” di allora, o, come sostiene Niccolò Tommaseo, dell'unione di due strambotti, che erano componimenti poetici formati da due ottave, ma che nel sonetto perdono la coppia di versi finali.
Di per sé il sonetto, come abbiamo visto, ha schemi diversi nell’alternanza della rima, quindi è molto flessibile secondo le necessità. Lo schema iniziale della Scuola siciliana, tuttavia, venne modificato dal Dolce stil novo toscano, ed è quello divenuto di riferimento nelle epoche successive.

Poiché nel Duecento si dava molta importanza ai simbolismi, vedi i significati impliciti contenuti nella Divina Commedia, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la stessa metrica creata da Giacomo da Lentini, possa nascondere simboli nascosti.
Facciamo un esempio: il numero 4 (le quartine) simboleggiavano la Terra con i suoi punti cardinali e la materialità della vita; il numero 3 (le terzine), invece, rappresentava il cielo, la santissima trinità e la perfezione divina. L’unione del 4 con il 3, cioè il 7, indicava il concetto di Universo, che non era altro che l’unione di Cielo e Terra. Quindi il sonetto nasconderebbe in sé valore poetico e filosofico insieme.
Se il sonetto ha avuto grande importanza nella letteratura italiana, è stato recepito e, a volte, anche modificato. Lo troviamo nella letteratura portoghese, spagnola, francese, tedesca e, non da ultima, inglese. In quest’ultima è stato utilizzato da Milton e Shakespeare, che ne costruì la versione di tre quartine e un distico conclusivo.
In Italia il sonetto è entrato prepotentemente nella letteratura con grande utilizzo anche per generi diversi da quello lirico. Abbiamo il genere giocoso con Cecco Angiolieri, o la la politica e la filosofia di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella, oppue la satira della società e dei costumi di Carlo Porta, di Giuseppe Gioachino Belli e di Trilussa. I più “integralisti” nell’uso della metrica originale sono stati, tra gli altri, Sanguineti, Zanzotto, Fortini o Pasolini.
E’ struttura nel genere del prosimetro, (gruppo di scritti resi in prosa o in versi), come nella Vita Nova di Dante Alighieri. E’ stato applicato, anche, come "corona" o "collana" di sonetti, come da Giosuè Carducci in Ça irà.

 
 

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