Alla corte palermitana di Federico II vennero accolti artisti e
scienziati provenienti da tutta l'Italia. Vi erano matematici (il
pisano Leonardo Fibonacci), naturalisti, astrologi come Michele
Scoto, filosofi, medici, musici, teologi. Tra i letterati non
mancarono i poeti che rivoluzionando la poesia, crearono modalità e
regole, perseguite successivamente dai poeti di tutta l'Europa.
L'esempio più eclatante è l'invenzione del sonetto, composto
da due quartine e da due terzine. L'inventore fu Jacopo da Lentini,
notaio alla corte di Federico II, vero caposcuola per l’abbondanza
della sua produzione poetica.
La definizione "scuola
siciliana" si deve allo studioso tedesco Alfred Gaspary, che nel
1874 pubblicò il volume La scuola poetica siciliana del
tredicesimo secolo.
Naturalmente il termine
“scuola” non sta ad indicare una vera e propria scuola
istituzionale, ma intesa come movimento culturale. I poeti di
essa, che operarono nel decennio 1230-1240, furono i primi
«trovatori» italiani, che nell'uso della lingua italiana si
dimostrarono i primi letterati italiani. Lo stesso Dante, già nel
1304, ne indicò l'attività precorritrice nel suo trattato letterario
intitolato De vulgari eloquentia. Tra le innovazioni vi è
anche la scissione definitiva tra la poesia e la musica, perchè i
versi non andavano più cantati (come ancora nella poesia
stilnovistica) ma recitati, e l'ideale della perfezione stilistica e
quello dell’amore «cortese», vero contenuto delle loro liriche.
Come scuola prese
spunto dalla poesia provenzale. Nelle composizioni poetiche,
trattando dell’amor cortese, non si riscontrano temi come la guerra,
essendo quello federiciano un regno pacifico e prospero, molto
ordinato (da una raccolta di leggi detta
delle costituzioni di
Melfi) e ben governato(con
uno stato moderno, accentrato e burocratico).
Ciò non vuol dire che Federico II fu un Re imbelle, ma che
utilizzava la forza solo in rare occasioni. Riuscì persino a
realizzare la sesta crociata, senza combatterla. I suoi esperti
ambasciatori riuscirono ad intessere un
rapporto culturale
con il
sultano al-Malik al-Kamil, realizzando degli accordi, in una specie
di scambio filosofico-culturale. Non per niente fu uno dei suoi
protetti, il matematico Leonardo Fibonacci, che importò in occidente
l’uso dello zero matematico, fino ad allora sconosciuto. Federico II
fu un uomo di grande cultura. Parlava
non solo francese e tedesco, imparato in famiglia (era uno
svevo con madre normanna), ma anche il greco, il latino, l'arabo, e
l'ebraico. Per la sua conoscenza anche del
volgare siciliano
i suoi poeti lo utilizzarono, valorizzandolo, per sua scelta.
Nel suo lascito culturale, a parte la scuola poetica, vi
furono una scuola
retorica a Capua, una medica a Salerno(la prima nel suo genere) e
un'Università a Napoli (famosa per gli studi giuridici).
Federico II partecipò concretamente alla scuola stessa, componendo
un trattato sulla falconeria (attività che amava) dal
titolo De arte venandi cum avibus. E’ un saggio per alcuni di
livello simbolico e filosofico, che fa parte, a tutti gli
effetti, della produzione della Scuola siciliana.
Tra i
componenti della "scuola" oltre a Federico II e ai suoi figli, Enzo
re di Sardegna, e Federico d’Antiochia, si possono contare tra i
siciliani: Jacopo da Lentini, Cielo d’Alcamo, i poeti messinesi,
quali Guido e Oddo delle Colonne, Mazzeo di Rico, Stefano
Protonotaro, Ruggeri d’ Amici, Tommaso di Sasso, Rinaldo d’Aquino e
i poeti palermitani Ranieri e Ruggerone. Tra i poeti italiani che
frequentarono la scuola poetica siciliana troviamo: il lombardo
Inghilfredi, il romano Abate di Tivoli, Pier della Vigna di Capua e
Giacomino Pugliese avellinese, i liguri Percivalle Doria e Paganino
da Sarzana, il calabrese Folco Ruffo e i toscani Arrigo Testa,
Compagnetto da Prato, e Jacopo Mostacci da Pisa. Da rilevare un
particolare interessante. Quando si parla di poeti di corte, si
pensa subito alle corti delle Signorie rinascimentali. In realtà, ai
tempi del dominio svevo non esisteva un vero e proprio “mestiere” di
poeta. Tutti i partecipanti alla Scuola siciliana erano funzionari
di corte, o burocrati, impegnati in attività e funzioni di
organizzazione, di cancelleria e di amministrazione. Le liriche
composte si riferivano, più che altro, alla libertà dello spirito e
della cultura. Se la letteratura italiana nasce a Palermo, alla
corte federiciana, testimoniato non solo da Dante, come abbiamo
visto, ma anche dal Petrarca nel prologo delle Epistolae
Familiares, e nel Trionfo d’amore, proprio a causa della
morte di Federico II nel 1250 e dai cambiamenti che ne seguirono, la
letteratura si spostò in Toscana, acquisendo nomi del calibro di
Dante, Petrarca e Boccaccio.
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