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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
Altri poeti della Scuola
Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
Guelfi e ghibellini
 
Alcamo e la sua storia
Il castello d'Alcamo e le
antiche mura

Il castello di Calatubo
La Chiesa Madre ed altre chiese
Riserva naturale Bosco di Alcamo

Video su Federico II e la
Scuola siciliana

Video su Alcamo
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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

   La scuola poetica siciliana

   
     
     

 

 

L'incontro di Federico II e al-Malik al-Kāmil durante la sesta crociata

 
Foto da Wikimedia Commons

 






 

Alla corte palermitana di Federico II vennero accolti artisti e scienziati provenienti da tutta l'Italia. Vi erano matematici (il pisano Leonardo Fibonacci), naturalisti, astrologi come Michele Scoto, filosofi, medici, musici, teologi. Tra i letterati non mancarono i poeti che rivoluzionando la poesia, crearono modalità e regole, perseguite successivamente dai poeti di tutta l'Europa. L'esempio più eclatante è l'invenzione del sonetto, composto da due quartine e da due terzine. L'inventore fu Jacopo da Lentini, notaio alla corte di Federico II, vero caposcuola per l’abbondanza della sua produzione poetica.

La definizione "scuola siciliana" si deve allo studioso tedesco Alfred Gaspary, che nel 1874 pubblicò il volume La scuola poetica siciliana del tredicesimo secolo.  Naturalmente il termine “scuola” non sta ad indicare una vera e propria scuola istituzionale, ma intesa come movimento culturale. I poeti di essa, che operarono nel decennio 1230-1240, furono i primi «trovatori» italiani, che nell'uso della lingua italiana si dimostrarono i primi letterati italiani. Lo stesso Dante, già nel 1304, ne indicò l'attività precorritrice nel suo trattato letterario intitolato De vulgari eloquentia. Tra le innovazioni vi è anche la scissione definitiva tra la poesia e la musica, perchè i versi non andavano più cantati (come ancora nella poesia stilnovistica) ma recitati, e l'ideale della perfezione stilistica e quello dell’amore «cortese», vero contenuto delle loro liriche.

Come scuola prese spunto dalla poesia provenzale. Nelle composizioni poetiche, trattando dell’amor cortese, non si riscontrano temi come la guerra, essendo quello federiciano un regno pacifico e prospero, molto ordinato (da una raccolta di leggi detta delle costituzioni di Melfi) e ben governato(con uno stato moderno, accentrato e burocratico). Ciò non vuol dire che Federico II fu un Re imbelle, ma che utilizzava la forza solo in rare occasioni. Riuscì persino a realizzare la sesta crociata, senza combatterla. I suoi esperti ambasciatori riuscirono ad intessere un rapporto culturale con il sultano al-Malik al-Kamil, realizzando degli accordi, in una specie di scambio filosofico-culturale. Non per niente fu uno dei suoi protetti, il matematico Leonardo Fibonacci, che importò in occidente l’uso dello zero matematico, fino ad allora sconosciuto. Federico II fu un uomo di grande cultura. Parlava  non solo francese e tedesco, imparato in famiglia (era uno svevo con madre normanna), ma anche il greco, il latino, l'arabo, e l'ebraico. Per la sua conoscenza anche del  volgare siciliano i suoi poeti lo utilizzarono, valorizzandolo, per sua scelta. Nel suo lascito culturale, a parte la scuola poetica, vi furono una scuola retorica a Capua, una medica a Salerno(la prima nel suo genere) e un'Università a Napoli (famosa per gli studi giuridici).
Federico II partecipò concretamente alla scuola stessa, componendo un trattato sulla falconeria (attività che amava) dal titolo De arte venandi cum avibus. E’ un saggio per alcuni di livello simbolico e filosofico, che fa parte, a tutti gli effetti, della produzione della Scuola siciliana.

Tra i componenti della "scuola" oltre a Federico II e ai suoi figli, Enzo re di Sardegna, e Federico d’Antiochia, si possono contare tra i siciliani: Jacopo da Lentini, Cielo d’Alcamo, i poeti messinesi, quali Guido e Oddo delle Colonne, Mazzeo di Rico, Stefano Protonotaro, Ruggeri d’ Amici, Tommaso di Sasso, Rinaldo d’Aquino e i poeti palermitani Ranieri e Ruggerone. Tra i poeti italiani che frequentarono la scuola poetica siciliana troviamo: il lombardo Inghilfredi, il romano Abate di Tivoli, Pier della Vigna di Capua e Giacomino Pugliese avellinese, i liguri Percivalle Doria e Paganino da Sarzana, il calabrese Folco Ruffo e i toscani Arrigo Testa, Compagnetto da Prato, e Jacopo Mostacci da Pisa.
Da rilevare un particolare interessante. Quando si parla di poeti di corte, si pensa subito alle corti delle Signorie rinascimentali. In realtà, ai tempi del dominio svevo non esisteva un vero e proprio “mestiere” di poeta. Tutti i partecipanti alla Scuola siciliana erano funzionari di corte, o burocrati, impegnati in attività e funzioni di organizzazione, di cancelleria e di amministrazione. Le liriche composte si riferivano, più che altro, alla libertà dello spirito e della cultura.
Se la letteratura italiana nasce a Palermo, alla corte federiciana, testimoniato non solo da Dante, come abbiamo visto, ma anche dal Petrarca nel prologo delle Epistolae Familiares, e nel Trionfo d’amore, proprio a causa della morte di Federico II nel 1250 e dai cambiamenti che ne seguirono, la letteratura si spostò in Toscana, acquisendo nomi del calibro di Dante, Petrarca e Boccaccio.

 
 

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