Pier delle Vigne, o della
Vigna, nacque a Capua alla fine del XII secolo (1190 circa).
Storici della letteratura lo vogliono
allievo del maestro Bene da
Firenze allo Studium dell'Università di Bologna (da una
lettera di Terrisio d'Atina).
Entrato nella corte dell'imperatore Federico II di Svevia nel
1220, con la mansione di
notaio, fu nominato giudice nel 1225. La carica prevedeva, a quel
tempo, anche la mansione di responsabile di
missioni diplomatiche. Successivamente, ebbe una
grande importanza
nella stesura delle Costituzioni di Melfi,
così chiamata perché fu
emanata dal castello della cittadina lucana da Federico II, nel
1231. Fu un codice di leggi, ritenuto fondamentale nella
storia del diritto. L’ascesa di
Pier delle Vigne
nella Corte federiciana continuò brillantemente,
tanto che, nel 124,7 fu nominato protonotario della Magna Curia,
capo della
cancelleria imperiale e logoteta, cioè, il funzionario che
redigeva il bilancio e tutti
i conti dello Stato.
Purtroppo la sua carriera e la sua vita
giunsero al capolinea, quando, due anni dopo (1249), fu
arrestato a Cremona,
portato nella Rocca di Federico II di San Miniato e
quì accecato. La motivazione del fatto è incerta e ha dato adito a
parecchie supposizioni. Un testo giuntoci ipotizza un accusa di
congiura o di corruzione. Per le conseguenze (una
possibile infezione) o forse per suicidio, morì poco dopo. Anche la
sua fine non è attestata da documenti certi.
A livello della
sua produzione letteraria Pier delle Vigne è considerato di grande
importanza nella letteratura del medioevo redatta in latino. Operò
anche nel settore poetico nella Scuola siciliana, utilizzando il
volgare isolano. Con sicurezza gli sono attribuibili solo due
canzoni ed un sonetto sulla natura dell'amore. Il suo scritto più
notevole è l'Epistolario latino, steso applicando le
regole della retorica
delle artes dictandi. Tuttavia la sua fama è dovuta non
per le sue opere ma perché citato nella Divina Commedia di Dante
Alighieri. Nel canto XIII dell’Inferno, infatti, si legge:
“L'animo
mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.” Dante e Virgilio lo
incontrano nella selva dei morti suicida. I versi si riferiscono
all’infamante accusa di tradimento, da Dante non creduta vera, e lo
assolve.
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