Cielo d'Alcamo, è
conosciuto altresì come
Ciullo d'Alcamo.
Come capita per personaggi antichi (Cielo d’Alcamo è del XIII secolo) si
hanno diversi nomi con diverse derivazioni. L’appellativo Ciullo
potrebbe essere diminutivo di Vincenzullo, o deriverebbe dal
volgare siciliano come deformazione grottesca caratteristica dei
nomi giullareschi del Duecento. Per altri studiosi, Ciullo
originerebbe da Cheli, diminutivo invece di Michele. Da
questo si passò a Celi e
successivamente, in Toscana, deformato in Cielo.
Anche il secondo nome,
d’Alcamo, esisterebbero diverse derivazioni. La più ovvia è
certamente che il poeta fosse nato ad Alcamo, cittadina siciliana
della provincia di Trapani. Altri ricercatori ipotizzano sia una
modificazione da antichi cognomi, come Dal Camo,
Dalcamo. In ogni caso
“Alcamo” era un nome attestabile nella Palermo del XIII secolo, che
derivava proprio dal toponimo.
Da alcuni documenti sappiamo comunque con certezza che nacque in
Sicilia da famiglia colta.
Rosa fresca aulentissima
Dalle pochissime notizie su Cielo d’Alcamo, sembrerebbe essere stato un
giullare che aveva rapporti con la
Magna Curia di
Federico II. L’opera e l’attribuzione del componimento, famosissimo, di
Rosa fresca aulentissima
è attestata solo dall'erudito
del Cinquecento
Angelo Colocci, che probabilmente si basava sulla conoscenza di
testi, che a noi non sono giunti (ricordiamo che ci si riferisce per
la Scuola siciliana quasi esclusivamente al Canzoniere Vaticano
latino 3793). E’ chiaro, quindi, che l’attribuzione del celebre
componimento ed altre poesie, non è confermata da più documenti, se
non da quello citato. Giullare o poeta che fosse, Cielo d’Alcamo
doveva essere persona sicuramente molto colta. Il componimento
tradisce riferimenti al genere cortese e a tutta la letteratura ad
esso collegata. La figura della “pastorella” non è un’invenzione del
poeta, ma una delle figure più tipiche dell’amor cortese (il
signore
che dialoga con
una pastorella,
di cui è innamorato).
Il tema della “Rosa”, non può essere che un riferimento (e una
citazione) del Roman de la Rose, testo
chiave per tutto il genere cortese. Il suo autore, quindi, non
improvvisava, ma aveva perfetta conoscenza della letteratura
dell’epoca. Altra questione è l’impostazione giullaresca della
poesia, che “gioca” con riferimenti ironici alle opere degli stessi
colleghi della Scuola. L’uso del dialetto principalmente siciliano,
presenta contaminazioni ad altri dialetti della penisola. Il brano
poi sembra essere, più che una poesia da accompagnare con della
musica, un vero e proprio mimo giullaresco, cioè da recitare
pubblicamente in una rappresentazione.
“La tassa sullo stupro”
Nei versi 21-25 di Rosa fresca aulentissima si
recita::
"Se
i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
Una
difensa mèt[t]oci di dumili' agostari;
non
mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha 'n Bari.
Viva lo 'mperadore, graz[i'] a Deo!
intendi, bella, quel che ti dico eo?"
Dalla lettura dei versi gli
studiosi determinano la data del componimento. Può essere stata
scritta solo tra il
1231, data della promulgazione delle Costituzioni
Melfitane, e il 1250, data della morte dell’imperatore Federico II.
La datazione ipotizzata prende spunto dall’interpretazione del
riferimento agli "agostari".
Questi ultimi sarebbero, infatti, una multa altissima sancita da
Federico II in caso di
stupro, realizzata in favore dei nobili. Pagando questa tassa e
gridando "viva l'imperatore" al momento dello stupro, non poteva
essere perseguito (la "difensa" citata nei versi). Se non si pagava
la tassa poteva essere impiccato sul posto. Guarda un po’ cosa
inventavano ai tempi. Altro che amor cortese…
Il primo ad
accorgersi dell’eccezionalità
di Rosa fresca aulentissima
fu il De Sanctis (nell’Ottocento), che lo indicò come esempio della
poesia giullaresca o della poesia satirica
toscana (che verrà subito dopo), giudicandolo di una naturalezza e
novità, che lo pongono vicino alla poesia moderna. Il nobile, che
corteggia la pastorella, nel dialogo espresso nel volgare siciliano,
le offre il suo amore con parole dolci e sublimi, contemporaneamente
a parole da bordello. La ragazza, prima rifiuta drasticamente, per
poi cedere alla fine del componimento. Vi è tutta l’ironia
giullaresca, ma garbata ed arguta. Peccato che proprio con la Scuola
siciliana di Federico II, inizia la storia della poesia italiana,
che lascia alle spalle la tradizione letteraria dei giullari, che
confluirà, comunque, nell’opera degli Zanni, attori girovaghi,
che improvvisavano nelle
piazze del Cinquecento. Con questi la tradizione popolare creò la
successiva commedia dell’Arte, che si basava, anch’essa,
sull’improvvisazione.
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