Jacopo
da Lentini,
detto anche Giacomo da
Lentini, faceva per mestiere il notaio, ma siccome era un
funzionario nella corte di Federico II, sviluppò la sua parte
creativa, il poeta, nella Scuola poetica siciliana, divenendone uno
dei maggiori esponenti, tanto da essere universalmente accreditato
dell’invenzione metrica del sonetto. Era
soprannominato "Il Notaro", tanto che Dante Alighieri lo cita
con questo termine in un canto del Purgatorio della Divina Commedia.
Altresì, appare come notaio della corte nel codice Vaticano Latino
3793, redatto alla fine del XIII secolo a Firenze, che, come abbiamo
visto, è il testo più importante per quanto riguarda la scuola
poetica. Di lui si possiedono diversi atti notarili, riferiti a
varie città del Regno di Sicilia, retto da Federico II, datati tra
il 1233 ed il 1240, oltre ad una sua
lettera a papa
Gregorio IX. Un documento, del 1240, cita tale "Iacobus de
Lentino" (che si
ritiene essere lui),
comandante del
castello di Garsiliato di
Mazzarino. Le informazioni riguardanti la sua vita sono comunque
scarse. Diverso il discorso per il Giacomo da Lentini poeta. Gli
si attribuiscono 16 canzoni (di metriche diverse) e 22 sonetti, di
cui due incerti. Il comune riferimento alla poesia provenzale
(nei temi e nelle forme),
fu da lui rivisitata e trasposta tramite l’uso del volgare
“siciliano” colto. Da lui (e dagli altri della Scuola) ebbe
inizio la lirica d'arte italiana. Dante, nella Divina
Commedia e nel De
vulgari eloquentia, lo considera il "caposcuola"
della cosiddetta Scuola Poetica Siciliana, e viene da Dante citato
un suo componimento come esempio di uno stile chiaro ed
ornato. L’importanza
di Giacomo da Lentini si deduce anche dalla
posizione di apertura
nel Canzoniere Vaticano latino 3793.
La sua produzione
lirica, come tutta quella della Scuola, si sviluppa tra il 1233 al
1241, quindi in un arco di tempo limitato. Tuttavia, la Scuola
siciliana rappresentò, ai tempi, una grande novità, distinguendosi
dalle altre metodologie, basate sulla lirica provenzale in lingua
occitana, comune nelle corti feudali dell’Italia del nord.
All’attività amministrativa che si svolgeva all'interno della
Magna Curia di Federico II, si affiancò quella letteraria,
culturale. Durante il suo regno, infatti, si ebbe un grande sviluppo
intellettuale, artistico e scientifico, simile a quello che si ebbe,
ma secoli dopo, nella corte dei Medici a Firenze nel rinascimento.
La fondazione dello Studium napoletano, ha portato alla
moderna Università federiciana di Napoli. Numerosi furono i
“colleghi” poeti di Giacomo nella Scuola. Per
citarne alcuni:
Rinaldo d'Aquino, Pier delle Vigne, Guido e Odo delle Colonne,
Giacomino Pugliese, Jacopo Mostacci, l'Abate di Tivoli.
L’amore è l’unico tema trattato nella Scuola, secondo la
tradizione dell’amor cortese,
dove la donna assurge a figura sublime, contenente in sé ogni
valore e qualità, mentre, l’uomo, viceversa, è l'amante-vassallo,
che denuncia la propria indegnità e nullità di fronte alla donna a
cui si prostra.
Il tema dell’amore, tuttavia, viene declinato in maniera diversa.
Utilizzando una raffinata retorica, abbiamo le disquisizioni
teoriche, morali e filosofiche, sulla natura di esso, ma anche con
sviluppi narrativi o dialogati. Vengono adottati, sotto il profilo
tecnico, diverse possibilità stilistiche, che adottano le strutture
metriche della canzone, della canzonetta popolaresca e del discorso,
oltre all’invenzione originale del sonetto.
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