Leonardo Fibonacci,
così detto da “filius del Bonacci”, si chiamava, in realtà,
Leonardo Pisano.
Nacque e morì, infatti, a Pisa, anche se fece parte della Magna
Curia di Federico II.
Negli ultimi secoli dell’impero romano
e nella primo parte del Medioevo, le scienze esatte, ed in particolare
la matematica, erano alquanto decadute. Fu il Fibonacci, unitamente
ad altri matematici, a ridare spunto e forza al campo matematico,
operando come ponte d’incontro tra la cultura occidentale e quella
orientale musulmana, che, a differenza della prima, non aveva
registrato alcuna flessione. Riuscì ad operare in tal senso per
volontà del caso. Suo padre, Guglielmo dei Bonacci,
era un ricco mercante pisano, che, rappresentando la comunità dei
mercanti della Repubblica marinara di Pisa, si trasferì con
la famiglia a Bugia nella zona della Cabilia in Algeria. Qui il giovane
Fibonacci ebbe la fortuna di studiare, appassionandosi, le teorie
matematiche che andavano diffondendosi nel mondo arabo. In questa
realtà la matematica trovava uso anche tra i mercanti. Cosicché egli
viaggiò molto, come mercante in primis, ma anche scoprendo le nuove
teorie e calcolo del mondo scientifico orientale (giunse anche a
Costantinopoli). Molti nuovi aspetti non erano esclusiva araba, ma
trovavano fonte nella lontana India, che aveva un’impostazione
culturale completamente diversa da quella mediterranea. Diversi
furono i maestri arabi da cui attinse, ma soprattutto da Muhammad
ibn Musa al-Khwarizmi, Abu Kamil. Tuttavia non si limitò a
diffondere il sapere orientale in occidente, Fibonacci entrò nel
merito della matematica apportandovi anche il suo contributo. La sua
fama e il suo talento giunsero altresì alle orecchie dell’imperatore
Federico II, che lo chiamò per lavorare nella sua Magna Curia, come
matematico di corte. Ottenne,
successivamente, dalla Repubblica di Pisa il titolo di "Discretus
et sapiens magister Leonardo Bigollo"ed un vitalizio che gli permise
un tranquillo approfondimento della sua materia. Morì probabilmente
nella stessa città di Pisa.
Nel 1202 pubblicò il
Liber abaci, che poi
riscrisse in vecchiaia (su richiesta del filosofo
scozzese Michele Scoto),
inserendo nel testamento di ripubblicarlo dopo la sua morte. In questo
testo egli propone l’introduzione della scrittura dei numeri con il
sistema indiano che migliorava il calcolo al posto della scrittura
latina. In esso appare anche il numero “0”, invenzione della
matematica indiana. Lo chiamò zephirus,
derivandolo dall'arabo sifr, che, a sua volta, proviene dal
termine indiano śūnya, che in quella lingua vuol dire
vuoto. Nell’uso, i
veneziani presero a chiamarlo zevero, da cui nasce il termine
italiano zero. Sempre in questo testo Fibonacci
introduce la barretta frazionaria (con poco successo) e criteri di
divisibilità, regole di calcolo di radicali quadratici e cubici e
molto altro, riportando le conoscenze arabe da lui apprese in
giovinezza. Questo testo che fu fondamentale per la matematica in
occidente, comprendeva anche un capitolo sul calcolo commerciale o
per problemi nel cambio, che fu ai tempi, forse, quello più
importante e che lo fece poi, un po’ alla volta, accettare da tutti.
D’altra parte nel testo Fibonacci non si limita a riportare
teoricamente il suo sapere matematico, ma in termini pratici ne dà
ampia dimostrazione (con svolgimento di calcoli) delle migliorie
inconfutabili da lui proposte.
Incredibilmente le novità,
introdotte dal Fibonacci, non furono accettate subito. Si disse che
apportavano confusione o, addirittura, potessero trasmettere
messaggi in codice. Poiché i numeri nella scrittura indiana erano
chiamati cifre, ne deriva
il termine oggi usuale di “messaggi cifrati”. Questo avveniva nel
1289 a Firenze, dove il nuovo calcolo fu addirittura vietato. Siccome
allora la cultura occidentale utilizzava i numeri romani e il
sistema di numerazione greco, il calcolo si facevano usando un
abaco. E’ ovvio che alla lunga i sistemi proposti dal
Fibonacci ottennero, con la propria evidenza, un successo completo.
Tuttavia, non bisogna pensare che la cultura araba fosse del
tutto sconosciuta nel mondo occidentale. Molte erano le persone con
una grande cultura che lo utilizzavano. L’esempio su tutti è quello
di del monaco Gerberto, poi divenuto papa col nome di Silvestro II (dal
999 al 1003). Questo non lo divulgò, ma lo introdusse in alcuni
conventi, dove facilitò la comprensione a monaci amanuensi che
avevano a che fare con trascrizioni di opere scientifiche.
Altresì veniva impiegato, all’epoca del Fibonacci, nelle scritture
notarili del perugino
Notar Raniero.
Se la prima edizione del libro rivoluzionario
Liber Abaci è
andata perduta, la ristampa del 1228 fu ripubblicata nel 1857 a Roma
in una edizione curata da Baldassarre Boncompagni. Tra i
trattati da lui scritti, oltre al Liber abaci,
vi è la Practica geometriae in cui il Fibonacci applica
l'algebra alla risoluzione di problemi geometrici, e molti
altri. Tra questi, ne dedicò uno anche all’imperatore Federico II.
Ma la sua creazione più importante e nota è stata la sequenza
aritmetica da lui elaborata, che si chiama ancora oggi con il suo
nome. Esiste una pubblicazione denominata
"Fibonacci Quarterly" e un asteroide che
si chiama “6765
Fibonacci”.
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