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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
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Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
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Scuola siciliana

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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

    Il matematico Leonardo
    Fibonacci

   
     
     

 

 

Ritratto di Leonardo Fibonacci

PD-OLD - 12 aprile 2004
Foto da Wikimedia Commons

 






 

Leonardo Fibonacci, così detto da “filius del Bonacci”, si chiamava, in realtà, Leonardo Pisano. Nacque e morì, infatti, a Pisa, anche se fece parte della Magna Curia di Federico II.

Negli ultimi secoli dell’impero romano e nella primo parte del Medioevo, le scienze esatte, ed in particolare la matematica, erano alquanto decadute. Fu il Fibonacci, unitamente ad altri matematici, a ridare spunto e forza al campo matematico, operando come ponte d’incontro tra la cultura occidentale e quella orientale musulmana, che, a differenza della prima, non aveva registrato alcuna flessione.
Riuscì ad operare in tal senso per volontà del caso. Suo padre,
Guglielmo dei Bonacci, era un ricco mercante pisano, che, rappresentando la comunità dei mercanti della Repubblica marinara di Pisa, si trasferì con la famiglia a Bugia nella zona della Cabilia in Algeria. Qui il giovane Fibonacci ebbe la fortuna di studiare, appassionandosi, le teorie matematiche che andavano diffondendosi nel mondo arabo. In questa realtà la matematica trovava uso anche tra i mercanti. Cosicché egli viaggiò molto, come mercante in primis, ma anche scoprendo le nuove teorie e calcolo del mondo scientifico orientale (giunse anche a Costantinopoli). Molti nuovi aspetti non erano esclusiva araba, ma trovavano fonte nella lontana India, che aveva un’impostazione culturale completamente diversa da quella mediterranea. Diversi furono i maestri arabi da cui attinse, ma soprattutto da Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, Abu Kamil. Tuttavia non si limitò a diffondere il sapere orientale in occidente, Fibonacci entrò nel merito della matematica apportandovi anche il suo contributo. La sua fama e il suo talento giunsero altresì alle orecchie dell’imperatore Federico II, che lo chiamò per lavorare nella sua Magna Curia, come matematico di corte. Ottenne,  successivamente, dalla Repubblica di Pisa il titolo di "Discretus et sapiens magister Leonardo Bigollo"ed un vitalizio che gli permise un tranquillo approfondimento della sua materia. Morì probabilmente nella stessa città di Pisa.

Nel 1202 pubblicò il Liber abaci, che poi riscrisse in vecchiaia (su richiesta del filosofo scozzese Michele Scoto), inserendo nel testamento di ripubblicarlo dopo la sua morte. In questo testo egli propone l’introduzione della scrittura dei numeri con il sistema indiano che migliorava il calcolo al posto della scrittura latina. In esso appare anche il numero “0”, invenzione della matematica indiana. Lo chiamò zephirus, derivandolo dall'arabo sifr, che, a sua volta, proviene dal termine indiano śūnya, che in quella lingua vuol dire vuoto. Nell’uso, i veneziani presero a chiamarlo zevero, da cui nasce il termine italiano zero. Sempre in questo testo Fibonacci introduce la barretta frazionaria (con poco successo) e criteri di divisibilità, regole di calcolo di radicali quadratici e cubici e molto altro, riportando le conoscenze arabe da lui apprese in giovinezza. Questo testo che fu fondamentale per la matematica in occidente, comprendeva anche un capitolo sul calcolo commerciale o per problemi nel cambio, che fu ai tempi, forse, quello più importante e che lo fece poi, un po’ alla volta, accettare da tutti. D’altra parte nel testo Fibonacci non si limita a riportare teoricamente il suo sapere matematico, ma in termini pratici ne dà ampia dimostrazione (con svolgimento di calcoli) delle migliorie inconfutabili da lui proposte.

Incredibilmente le novità, introdotte dal Fibonacci, non furono accettate subito. Si disse che apportavano confusione o, addirittura, potessero trasmettere messaggi in codice. Poiché i numeri nella scrittura indiana erano chiamati cifre, ne deriva il termine oggi usuale di “messaggi cifrati”. Questo avveniva nel 1289 a Firenze, dove il nuovo calcolo fu addirittura vietato.
Siccome allora la cultura occidentale utilizzava i numeri romani e il sistema di numerazione greco, il calcolo si facevano usando un  abaco. E’ ovvio che alla lunga i sistemi proposti dal Fibonacci ottennero, con la propria evidenza, un successo completo.

Tuttavia, non bisogna pensare che la cultura araba fosse del tutto sconosciuta nel mondo occidentale. Molte erano le persone con una grande cultura che lo utilizzavano. L’esempio su tutti è quello di del monaco Gerberto, poi divenuto papa col nome di Silvestro II (dal 999 al 1003). Questo non lo divulgò, ma lo introdusse in alcuni conventi, dove facilitò la comprensione a monaci amanuensi che avevano a che fare con trascrizioni di opere scientifiche. Altresì veniva impiegato, all’epoca del Fibonacci, nelle scritture notarili del perugino Notar Raniero.

Se la prima edizione del libro rivoluzionario
Liber Abaci  è andata perduta, la ristampa del 1228 fu ripubblicata nel 1857 a Roma in una edizione curata da Baldassarre Boncompagni.
Tra i trattati da lui scritti, oltre al Liber abaci, vi è la Practica geometriae in cui il Fibonacci applica l'algebra alla risoluzione di problemi geometrici, e molti altri. Tra questi, ne dedicò uno anche all’imperatore Federico II. Ma la sua creazione più importante e nota è stata la sequenza aritmetica da lui elaborata, che si chiama ancora oggi con il suo nome. Esiste una pubblicazione denominata  "Fibonacci Quarterly" e un asteroide che si chiama “6765 Fibonacci”.

 
 

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